Dove il tempo si è fermato
stato: niger (ne)
Data inizio viaggio:
sabato 7 agosto 2004
Data fine viaggio:
venerdì 3 settembre 2004
Il più celebre detto popolare assicura che i secoli, in quest'angolo d'Africa, non passino davvero mai. Viaggio, con finalità benefiche, nel cuore meno turistico del Paese, terra di colori e gente pronta a dividere il nulla in cui vive
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sabato 7 agosto 2004
E' un mondo silenzioso quello del deserto nigerino. Un silenzio fatto di argilla impastata con paglia, mura sbriciolate, dune color ocra e sabbia gialla che incontra la roccia nera. Un mondo popolato di artigiani che forgiano gioielli luccicanti e di donne che lavano stoffe e tessuti dalle mille sfumature. Un universo misterioso ma pronto, per chi lo sa ascoltare, a svelare le storie più incredibili: quelle di avventurieri, di schiavi e mercanti, di esplorazioni senza ritorno, di gente inghiottita dal deserto e sparita per sempre. Ma anche storie prese a prestito dalla quotidianità. Come l'incontro con oasi affollate di palme da dattero, villaggi di zeribe, fennec e moula moula. Il tutto incrociando le piste dell'Azalai, la famosa via del sale che ancora oggi è regno incontrastato dei tuareg dell'Air. E' un lungo viaggio in fuoristrada - una Toyota KZJ 90 a tre porte, equipaggiata con gomme BF Goodrich All Terrain e attrezzatura da campeggio Ferrino - percorrendo oltre 8000 chilometri (di cui la metà su sterrato) attraverso la Tunisia e la Libia per poi raggiungere il Niger, uno dei più affascinanti Paesi africani, e risalire infine dall'Algeria. Un intero mese nella terra degli ultimi uomini liberi, dove il tempo, come recita un detto "ha deciso di non passare mai"...
MADAMA, Niger:
L'ingresso ufficiale in Niger è a Madama (coordinate 21° 57' nord e 13° 39' est), a 500 metri sul livello del mare, dove i resti di un vecchio fortino militare dominano su un'immensa distesa di sabbia che d'inverno ospita decine di camion carichi di uomini, donne e merci di ogni genere. A sinistra, proseguendo sulla rotta, il monte Emi Fezzane ci accompagna verso la prima vera destinazione del viaggio: un tour di oltre 200 chilometri fra le sabbie inesplorate del Plateau di Tchigai, dove pinnacoli di roccia bianca si innalzano dalla sabbia iridescente che lascia affiorare in superficie frecce di selce e pietre tonde nere perfettamente lisce, antichi utensili neolitici. Una splendida conca di sabbia con palme e tamerici, poi un paesaggio lunare, simile a quello di Marte, fanno scoprire i segni del passaggio di uomini e animali: nel tragitto che porta verso Dirkou, fra pietraie e tratti di sabbia soffice come talco che mette a dura prova le fuoristrada, incontriamo "moschee di carovane" e resti di vecchie costruzioni in pietra, forse ripari per dromedari e capre. Dietro la caratteristica forma a pan di zucchero del Pic Zumri, appare il palmeto dell'oasi di Seguedine (20° 12' nord e 12° 59' est) che costeggiamo in direzione sud. Poi a 50 km da Dirkou una splendida oasi preannuncia quello che sarà il paesaggio costante sino ad uno dei villaggi più tipici del Ténéré: palme da dattero e gigantesche tamerici. Non è cambiato nulla dall'ultima volta che siamo stati da queste parti: a dare il benvenuto a Dirkou è sempre il posto di blocco militare con la bandiera a strisce orizzontali che si muove al vento ed i militari con mitra e occhiali da sole. Questa volta siamo ospiti di Boubacar Djaram Mohamed, neo sindaco del paese - e della sua famiglia - che ci invita a trascorrere la giornata nella sua abitazione, dove una tettoia in paglia e alberi profumati di mimosa offrono un prezioso riparo dal caldo. Al calar del sole percorriamo le vie del paese, curiosando fra le botteghe che espongono stoffe variopinte, pane appena sfornato, datteri, spezie di ogni genere e cavallette fritte. L'atmosfera di Dirkou, con il muezzin che invita alla preghiera, i bambini in strada a far correre vecchi giocattoli di latta arrugginita e le donne che sorridono, lascia davvero senza parole. Proprio come quella dell'oasi di Bilma, 30 km a sud di Dirkou, dove attraversiamo con le fuoristrada il villaggio fortificato ed il palmeto. E' poi la volta di Zoo Baba (18° 14' nord e 13° 03' est), suggestiva oasi ospitata in una conca di sabbia dorata dove all'ombra di due grandi acacie incontriamo le donne del villaggio. Mentre ci mostrano frecce di selce e ossidiana, collane con amuleti, coltelli finemente cesellati, piccoli contenitori di paglia e "coloquintide" (la famosa zucca del deserto), sotto i loro abiti variopinti intravediamo gli occhi vispi e sorridenti dei bambini più piccoli.
Verso le dune:
La prossima meta verso cui ci dirigiamo è l'oasi di Fachi con le sue saline e la scuola coranica. Ad accompagnarci sono dune arabescate, morbidi "dorsi di balena" ed emozionanti passaggi fra pietraie dove la 90, modello passo corto di Casa Toyota, sembra essere davvero a suo agio. A Fachi (18° 09' nord e 11° 36' est), uno dei più bei siti del Sahara nigerino per il paesaggio, le carovane di dromedari e i diversi gruppi etnici, visitiamo le saline dove lavorano uomini e donne del villaggio. La salamoia - ci spiega un giovane tuareg - conferisce colori vivaci, dall'ocra al marrone scuro, alle vasche squadrate e incorniciate da un bordo bianco dove la pellicola di cristalli che si forma sulla superficie dell'acqua viene spezzata più volte al giornpo con un grande bastone di legno. Osservare le donne intente ad estrarre e confezionare in pani cilindrici e tondi il sale destinato alle oasi del Sahel - le slaine di Faci sono fra le più importanti in assoluto, perchè l'oasi è il punto di sosta dell'Azalai, la carovana che da tempo immemorabile trasporta il sale da Bilma ad Agadez per essere poi scambiato con té, miglio e tessuti - è davvero una scena d'altri tempi. Prima di ripartire da Fachi non può certo mancare la visita alla scuola coranica frequentata da una sessantina di alunni, per lo più maschi. Gli abiti colorati, le pettinature bizzarre che lasciano sul capo rasato solo qualche ciuffo di capelli neri, il sorriso che fa spiccare il bianco dei denti: ecco i bambini dell'oasi. Che vanno a scuola con le loro tavolette di legno scritte con inchiostro nero da destra verso sinistra. Una scrittura antica, quella utilizzata nella locale scuola coranica, forse una delle ultime oasi al mondo ad utilizzarla. Dalla cattedra - un piano rettangolare di argilla - il marabutto dirige i suoi scolari seduti a terra a semicerchio nella recita di un versetto del Corano. E' il loro modo per salutarci e augurarci un buon rientro.
Li dove c'era un albero:
La tappa successiva del viaggio ci porta al mitico Albero del Ténéré, un'enorme thala - indicata anche sulla Michelin 953, vecchia conoscenza dei viaggiatori africani - sradicata nel 1973 da un camionista libico. Oggi, al suo posto ci sono due tristi copie in metallo mentre lo storico tronco dell'albero si trova conservato nel museo di Niamey. E' ora di addentrarci nell'Air. I graffiti rupestri di Anakom, dove centinaia di rocce sono testimoni dell'arte di milioni di anni fa, ci fanno osservare le sagome di struzzi, elefanti, giraffe e uomini di quel tempo. Un paesagio spettacolare quello offerto dal Kori Anakom, dove fra sabbia gialla, rocce scure, cespugli e acacie, il timido gracchiare delle rane rivela da qualche parte la presenza di acqua. Dieci chilometri e lo scenario continua a stupire: siamo ad Agamgam, famosa per le sue acque limpide e fresche, incastonate fra rocce e palme. Con le fuoristrada entriamo ad Arakaou, grandioso anfiteatro naturale noto anche come le "chele del granchio" per la sua forma caratteristica: enormi dune, alte sino a 200 metri, si sono insediate all'interno della caldera fatta di roccia di granito nero del Takolokouzet. Percorrendo la trafficata pista dei camion affollata di vecchi mezzi Mercedes carichi di gente e merci, ci dirigiamo ad Agadez. Dopo il villaggio di Anguezziz, con le sue caratteristiche capanne di paglia e le botteghe ai bordi della strada, a 40 km da Agadez ci imbattiamo in acquitrini e pozze d'acqua, causa delle intense piogge dei giorni precedenti, che siamo costretti a superare con più lunghe deviazioni. Non siamo più fra dune e rocce ma piuttosto nel bel mezzo di una zona paludosa con cespugli, alberi di capperi giganteschi, greggi di capre e mucche.
domenica 8 agosto 2004
La croce d'Agadez:
Agadez (16° 58' nord e 7° 59' est) ci accoglie con le sue strade affollate di gente, con le case in terra cruda seccata al sole e con il tetto piatto, i suoi alberghi (fra cui l'Hotel de la Paix, un quattro stelle in Avenue de Bilma inaugurato nel giugno 2002 dal presidente del Niger oppure il camping Escale sulla strada che porta ad Arlit). Fra le visite da non perdere la Grande Moschea in stile sudanese, costruita nel 1500 con il minareto che sfoggia travi in legno, classico esmpio di architettura del Sahel, l'affollato mercato dei tuareg e il labirinto di viuzze del Vieux Quartier. Nelle botteghe della città si possono acquistare tipici prodotti di artigianato locale del Niger: sandali e cuscini in cuoio, selle da dromedario, monili in argento (fra cui la famosa Croce d'Agadez), oggetti in pietra saponaria, sculture in legno. La città è anche il punto di partenza per un nuovo tour nell'Air che attraverso i villaggi di Azel, Sabon Gari, Dabaga (dove ongi 15 giorni si tiene il più importante mercato dell'Air) e Abardek porta a Tewar, suggestivo paese a 865 metri sul livello del mare, incastonato fra i monti Baguezane. Destinazione scelta con gli amici dell'associazione no profit "Sahara el Kebira" per portare ai bambini della scuola locale materiale scolastico, vestiti e giochi. Ahmed Tali, direttore della scuola di Tewar, assieme all'anziano capo villaggio, ci accompagna alla scoperta del piccolo centro: la nuova scuola costruita grazie all'aiuto dell'associazione "Bambini nel Deserto", il giardino coltivato a cipolle e miglio di Roman, i pozzi automatizzati, le palme da dattero ed una gigantesca acacia, luogo di ritrovo degli abitanti del villaggio, ribattezzata "Gao".
Sulla strada del ritorno:
Rientrando ad Agadez, su una gigantesca montagna di rocce nere, un gruppo di babbuini sembra volerci salutare. Il viaggio in Niger sta per concludersi. Percorriamo i 220 chilometri che ci separano da Arlit per poi raggiungere la frontiera di Assamaka, dopo altri 180km su di un pistone di sabbia molle misto a pietre. L'ingresso in Algeria da In Guezzam, poi Tamanrasset, l'Assekrem, El Golea e la frontiera algerina di Taleb Larbi. Entriamo in Tunisia da Hazoua per dirigerci verso Tunisi. Alle nostre spalle lasciamo le oasi con le palme da dattero, i villaggi con la gente, gli spettacolari tramonti, le dune mozzafiato con la certezza di tornarci presto. Perchè come recita un vecchio detto tuareg: "Si può anche viviere qualche volta sotto una tenda, ma la cosa migliore è dormire sotto il cielo per guardare negli occhi le stelle...".