Esplorando l'Isla Hispaniola
località: santo domingo, las galeras, rio san juan
stato: repubblica dominicana (do)
Data inizio viaggio:
martedì 1 giugno 2004
Data fine viaggio:
sabato 5 giugno 2004
Dall'aeroporto imbocchiamo l'autopistas Las Americas, arteria stradale molto scorrevole che, in soli 25 chilometri, conduce direttamente a Santo Domingo, ma sbagliamo l'uscita per la zona Colonial. Ci ritroviamo così immischiati nel traffico caotico del mercado Modelo. Avanziamo a passo d'uomo in mezzo ad una confusione di pedoni e a frenetici ambulanti. Motociclette, auto e camion che procedono a suon di clacson, gua gua (taxi collettivi) che si fanno strada infilandosi in ogni dove aiutati dallo sbracciarsi e dall'imprecare dei controllori dei biglietti. Stanchi e dopo ben dieci ore di volo non è proprio il massimo ritrovarsi nel bel mezzo del congestionato traffico di Santo Domingo, tuttavia, alla fine, giungiamo all'hotel Palacio, una vecchia dimora coloniale oggi trasformata in un elegante albergo.
La visita del "quartiere coloniale" della capitale, dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità, è d’uopo. Santo Domingo, prima capitale dell'America Latina, fu fondata nel 1496 da Bartolomeo, fratello di Cristoforo Colombo e così chiamata in onore del padre Domenico. Nel parque de Colón troviamo la statua dell'ammiraglio Colombo: impossibile, per noi italiani, non emozionarsi davanti al braccio proteso che indica idealmente la terra appena avvistata. La zona tra la fortezza di Osama e la Iglesia de las Mercedes è rimasta autentica: vi si respira l'aria di quei tempi e la luce è ancora quella del mondo coloniale. Davanti all'Alcazar immagino i potenti di allora che al suo interno prendevano le decisioni per colonizzare il resto delle Americhe. Durante la visita incontriamo lustrascarpe e ambulanti, venditori di biglietti della lotteria e pittori naif, sono ovunque, come le pseudo guide che si offrono di continuo, tormentandoci fastidiosamente.
Lasciamo il quartiere storico per vedere, non più a piedi ma in auto, l'altra Santo Domingo, quella del dittatore Rafael Trujillo. Visitiamo il faro Colombo (Colon) prosopopea del regime totalitario del Generalissimo. Il mausoleo dedicato al gran navigatore è tanto kitsch e megalomane da essersi guadagnato un posto d'onore tra i monumenti della città. Vediamo, poi, l'altare della patria, il palazzo presidenziale, l'enorme statua di San Antonio e percorriamo per intero l'avenida George Washington, il malecon, che corre lungo il mare. Vediamo, credo, la più grande galleria al mondo: sui marciapiedi molti artisti espongono opere dai colori forti, caldi ed allegri, tanto che è impossibile non acquistare almeno una tela.
Lasciamo la capitale prendendo l'autopista 1, unica autostrada del paese, che collega il sud con il nord. La percorriamo per appena ottanta chilometri fino a Pietra Blanca, quanto basta per mettersi le proverbiali mani nei capelli. Sulla principale rete stradale della Repubblica dominicana vediamo transitare ogni mezzo di locomozione e, oltre agli autotreni e alle automobili com'è ovvio aspettarsi, vediamo circolare biciclette, carri trainati da buoi e, addirittura, persone che indifferenti al pericolo avanzano sullo spartitraffico che divide le corsie dei due sensi di marcia. Sembra abbastanza finché non notiamo delle motociclette correre sulla corsia d'emergenza… ma in senso contrario!
Continuiamo il viaggio verso la penisola di Samanà. Attraversiamo paesi di campagna tranquilli e sedentari, la cui pace è spezzata dal volume sparato al massimo delle casse antidiluviane di bar e discoteche che scandiscono le note di tutto il repertorio del merengue. La gente è cordiale e sorridente a dispetto della povertà in cui vive. Gruppi di bambini giocano a "baseball", dei giovani a "biliardo", degli anziani a "domino", ecco i passatempi preferiti dei dominicani. In ogni paese, inoltre, esiste almeno un'arena, seppur piccola, per il combattimento dei galli. Tra le varie scene di vita quotidiana di cui siamo testimoni, colpiscono le donne in bigodini e pantofole che passeggiano sul ciglio della strada per espletare le incombenze di ogni giorno. Le case hanno colori rosa, marroni, rossi, gialli, blu ora tenui e ora sgargianti, e interrompono i verdi delle risaie, delle piantagioni di tabacco e banane. Com'è lontana Santo Domingo…
La costa nord della penisola di Samanà è un susseguirsi di mezzelune sabbiose praticamente deserte incorniciate da fitte distese di palme e un mare cristallino. A Las Galeras non sono il mare e la sabbia ad attirare l’attenzione quanto, piuttosto, i rustici tavoli di una spartana trattoria e l'adiacente bar rinomato per preparare ottimi cocktail. Ordiniamo un "cocoloco" e una "piñacolada". L’indomani percorriamo venti chilometri per raggiungere Playa Rincon. La strada è un continuo saliscendi in mezzo al verde, fino allo sterrato finale di soli cinque chilometri, ma in pessime condizioni. Il mare non si vede, ma si percepisce, soltanto all'ultimo vediamo l'acqua, le onde e il sole all'orizzonte. La spiaggia, si dice, tra le dieci più belle dei Caraibi, non è attrezzata e soltanto ai due estremi delle baracche offrono un pasto. Fino a tarda mattinata siamo gli unici esseri viventi a godere di questo spicchio di paradiso. Poi arrivano i gestori dei fatiscenti ristoranti, un primo gruppo di turisti via mare, poi un secondo, poi alcuni quad dalla nostra stessa strada. Lasciata playa Rincon, nel pomeriggio ci imbarchiamo per Cayo Levantado, da un molo ubicato pochi chilometri prima di Samanà. Salpiamo con una piccola imbarcazione, senza giubbotti salvagente, nonostante il mare sia mosso. Il Cayo è una sorta di atollo maldiviano nel cuore dei caraibi.
Di buon mattino visitiamo il piccolo e caratteristico mercato di Samanà. All'inizio ci aggiriamo tra i banchi un po' timorosi essendo gli unici turisti, poi le apprensioni svaniscono tra un pescivendolo che ci chiama per mostrarci con orgoglio i grossi pesci da lui pescati e una bella fanciulla, sorridente, che vende della frutta ancora più bella. Prima di andarcene acquistiamo da un simpatico giovane un cd contenente i maggiori successi di merengue che una volta saliti in auto spariamo ad alto volume. Quando giungiamo ad El Limon i locali sembrano divertiti a vedere due gringos ascoltare la loro musica e a così alto volume. Di qui raggiungiamo a cavallo la famosa cascata. Il sentiero per arrivarci è fangoso per via della pioggia caduta nei giorni precedenti e letteralmente immerso da una folgorante natura. Lungo il sentiero, tra una selva di piante e frutti che non conosciamo, sembra di cavalcare in un epoca senza tempo. La cascata si annuncia con un fragoroso rumore: l'avventura vale proprio la pena!
Torniamo sulla costa e ci fermiamo alla spiaggia di El Portillo con un bellissimo mare di colore verde - blu. All'incirca al centro della spiaggia, dal mare, emerge un reef corallino. Esattamente sulla parte opposta, due "Kite Surf" aleggiano nel cielo colorandolo. Proseguiamo lungo mare fino a Las Terrenas che ormai non conserva più l'atmosfera autentica decantata sulle guide. Il turismo sta via, via dilagando. Non si può dire lo stesso delle spiagge nei suoi immediati dintorni: Playa Bonita e Cosòn sono infatti deserte e selvagge e senza nulla da invidiare alla più famosa playa Rincon.
Di ritorno sulla brutta sterrata piena di buche incontriamo una donna con in testa un vassoio di ciambelle. Ci fermiamo e approfittiamo per assaggiare un tipico prodotto locale: ciambelle di pane di cocco.
Arriviamo a Rio San Juan quando è ormai buio accompagnati neanche a dirlo dalla solita pioggerellina serale. L'ultimo giorno ritorniamo nell'entroterra a Jarabacoa famoso per le numerose cascate, come il Salto di Jamanoa. Lungo il percorso, tra una piantagione di canna da zucchero e l'altra, uomini con il machete cammino lungo la strada. Sono haitiani che vanno al lavoro, come noi dopo domani.
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