Magico e placido Mekong

stato: laos (la)

Data inizio viaggio: mercoledì 13 aprile 2011
Data fine viaggio: mercoledì 20 aprile 2011

Arrivati nell'estremo nord della Thailandia, siamo pronti ad attraversare il Mekong e ad entrare in Laos.Sull’altra sponda ci aspettano i militari laotiani, che per 35 dollari ci incollano un visto sul passaporto e ci fanno un sorriso. Siamo a Huay Xai, nell’etremo nord del paese.

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Sul Mekong fino a Luang Prabang

mercoledì 13 aprile 2011

È un piccolo paesino, scasso se ce n’è uno (ma poi mi sarei ricreduto, c’è di peggio), dove insieme ad un’altra cinquantina di turisti backpackers, aspettiamo di imbarcarci su un battello che in un paio di giorni dovrebbe portarci a Luang Prabang. Due giorni bellissimi anche se lunghissimi, vissuti sui sedili sfondi di questo barcone, dal quale possiamo ammirare il fantastico panorama che ci circonda. Seminacoste tra le palme e le fitta vegetazione, le sponde del Mekong celano interi villaggi di capanne, ci regalano la vista di decine di pescatori, ci mostrano i bufali d’acqua, che non ci degnano di uno sguardo e continuano a fare quello che più gli piace: farsi accarezzare dalle onde mentre sonnecchiano.
L’ipnotica monotonia del viaggio viene interrotta solo dalla sosta serale al villaggio di Pak Beng. Huay Xai al confronto è una metropoli. Ci saranno venti case in tutto, e quattro o cinque guest house, che sono lì pronte ad ospitare i turisti che sono obbligati a fermarsi. Non c’è nemmeno un molo e per arrivare in città bisogna arrampicarsi, fiaccati dagli zaini, su per una parete di roccia che non fa sconti. Ma per fortuna nemmeno danni.
C’è un ristorante indiano, a Pak Beng, dove abbiamo cenato piuttosto bene, e dove gli unici altri due commensali erano due ragazzi italiani, come noi capitati lì un po’ per caso. C’è anche molto silenzio, a Pak Beng, perché in giro non c’è nessuno. E anche se ci fosse non lo vedremmo, perché non esiste illuminazione pubblica, e per spostarsi dal ristorante alla guest house bisogna arrancare nel buio.

Luang Prabang, un vero gioiello

venerdì 15 aprile 2011

La mattina dopo, immersi nella nebbia, ripartiamo in direzione Luang Prabang. Otto ore di nav-gazione su un Mekong sempre più bello e luminoso, finalmente baciato dal sole, e arriviamo in quella che può sicuramente essere considerata la città più bella del Laos, e sicuramente una delle più belle di tutto il sudest asiatico. Luang Prabang, con i suoi wat, con i suoi stupa, con i suoi tantissimi giovani monaci buddhisti, con il mercato notturno, gli elefanti, le cascate, le grotte, gli orsi neri asiatici, è davvero uno spettacolo di posto. Dove però infuria una terrificante battaglia dell’acqua. Il tragitto dal molo all’albergo è una stillicidio: a ogni fermata il tuk tuk (una specie di apecar con cassone che funge da economico taxi) viene inondato d’acqua e quando arriviamo a destinazione noi, e gli zaini, siamo fradici. Resteremo fradici per tutti e tre i giorni che scegliamo di spendere in città. Anzi, il pomeriggio successivo, dopo le visite di rito ai siti più belli, nel pomeriggio ci godiamo lo spettacolo della sfilata di capodan-no e poi, comprato un fucile ad acqua e indossati i costumi, ci siamo buttati nella mischia per un paio d’ore di secchiate e innocue fucilate.
Prima di lasciare Luang Prabang spendiamo una mezza giornata a divertirci con un elefante, che dopo averci portato a spasso per un’oretta, ci lasciano coccolare e nutrire a nostro (e suo) piacimento.

Vientiane, polvere e luccichii

lunedì 18 aprile 2011

La tappa successiva è Vientiane, capitale del Laos, che raggiungiamo dopo un massacrante viaggio in autobus di oltre 10 ore. Il chilometri in realtà non sono tantissimi (meno di 400), ma l’autobus arranca a fatica sulle colline del Laos cen-trale, e il viaggio sembra infinito.
Il primo impatto con Vietniane è avvilente: la città è brutta, sporca e in diversi punti cade a pezzi. La situazione non cambia nemmeno al secondo impatto, ma dopo averla girata ben bene abbiamo trovato comunque qualche motivo per apprezzarla. Soprattutto il Pha That Luang, simbolo del Laos, è davvero bellissimo. E poi in un ristorantino fuori dai normali circuiti turistici abbiamo mangiato dei noodle al pesce in salsa piccante davvero eccezionali, specialmente se accompagnati dall’immancabile Beerlao, l’unica birra disponibile in Laos. Vientiane, in fondo, non ha moltissimo da offrire, ma dà un’immagine di sé, e del Laos tutto, che ti porti a casa: una città, un paese, tranquillo, malandato ma nemmeno troppo, che sopravvive ma ancora non vive, che si accontenta ma non lo farà in eterno. Per l’Asia, una storia già vista.
Il tempo a disposizione sta per finire, e per andarcene dal Laos (non senza qualche rimpianto perché avremmo avuto bisogno di 4-5 giorni in più per poter vedere anche la parte meridionale, quella al confine con la Cambogia) prendiamo un aereo che ci riporta a Bangkok.