Sri Lanka - una settimana tra tour, templi, mare e contatti con lo splendido popolo singalese

stato: sri lanka (lk)

Data inizio viaggio: martedì 21 ottobre 2003
Data fine viaggio: mercoledì 29 ottobre 2003

Abbiamo appreso tramite conferma del tour operator Azemar (con cui abbiamo viaggiato), che il Dickwella, il nostro Hotel in pieno Sud dello Sri lanka, è stato totalmente spazzato via dagli tzunami e dal maremoto che ha devastato l'asia questo fine dicembre 2004. E' attualmente in ricostruzione, ma il villaggio ha subito danni gravissimi e molte persone sono morte.
Vi invito perciò a leggere con estrema attenzione il racconto, per riflettere e non dimenticare la gente meravigliosa che popola lo Sri lanka e che è stata così duramente colpita dal maremoto. Non so neanche più se quei ragazzi e quei cari bambini di cui parlo e che ho conosciuto siano ancora tutti vivi...
Ho attivato un forum sul mio sito per trattare appositamente del Dickwella e dintorni:
www.ivanweb.net

Condividi questo articolo se ti è piaciuto...

Il viaggio

martedì 21 ottobre 2003

Siamo a Elmas, sono le tre del pomeriggio appena passate. Il nuovo aeroporto di Cagliari, da poco ampliato, è del tutto irriconoscibile. Adesso finalmente assume sembianze più internazionali! Abbiamo poco da aspettare: un veloce check-in ed il volo è puntuale alle 16:10 per Milano Malpensa.
Arriviamo dopo un'ora e poco più. Sbrighiamo con calma le formalità e il ritiro dei bagagli, del resto abbiamo molto da attendere. L'agenzia ha cortesemente chiamato ieri comunicando un bel ritardo di un'ora e mezza per il volo Milano Malpensa - Colombo. Anziché partire alle 23:00 tocca aspettare fino a mezzanotte passata. Facciamo un bel giro di perlustrazione per tutto l'aeroporto e scegliamo un posticino tranquillo dove aspettare. Stefania compra qualche giornale, più o meno culturale, e inizia a leggere. Nella noia, giro qualche ripresa con la videocamera per documentare questa lunga attesa. Almeno c'è l'entusiasmo del viaggio, sappiamo che ne vale la pena e che al ritorno sarà molto peggio, visto che dobbiamo passare l'intera notte buttati da qualche parte in aeroporto! Consultiamo ripetutamente il monitor delle partenze: finalmente compare il nostro volo. Raggiungiamo l'area gruppi cercando il nostro tour operator Azemar. Ci viene consegnata tutta la documentazione del viaggio, l'itinerario, i voucher per i resort e i biglietti aerei. Ci regalano persino uno zaino non proprio bellissimo con quei colori azzurro-marron e la scritta Azemar, e un borsello sullo stesso stile. Sistemiamo nel borsello tutta la documentazione ma dello zaino proprio non sappiamo cosa farne! Ci coglie impreparati, abbiamo già i nostri, così troviamo il modo di infilarlo nella valigia di Stefania alla bene e meglio. Andiamo a fare il check-in, ci liberiamo dei bagagli (due valigie più un borsone per l'attrezzatura da snorkelling), e attendiamo impazienti gli ultimi minuti prima del volo.
Il decollo arriva addirittura all'una di notte, giusto in tempo per tentare una sofferta dormita in aeroplano. Il volo Eurofly è comunque tutto sommato comodo, senz'altro più dei piccoli posti della China Airlines che abbiamo preso per andare in Thailandia l'anno scorso. Inutile dire che dal finestrino non si vede niente, è buio pesto, così non rimane che consolarsi con il monitor del sedile per vedere se c'è qualche film interessante e per scrutare la posizione dell'aereo che inizia a tracciare lentamente la linea bianca del tragitto sulla cartina e a macinare quelle oltre 4000 miglia che ci separano dallo Sri-Lanka. Vengono spente finalmente le luci e possiamo riposare abbassando i sedili.

Colombo. Tour per la città. Visita templi induista e buddista. Alloggio al "Trans Asia" Hotel

mercoledì 22 ottobre 2003

Difficile dire che ore sono, i finestrini dell'aereo sono ancora chiusi e siamo in mezzo all'oceano indiano in coincidenza di qualche fuso orario. Il personale ci serve la colazione e attendo sonnecchiando l'arrivo a Colombo. Apriamo finalmente i finestrini. Si vede ancora solo mare ma la mappa segna che l'aereo sta arrivando a destinazione. Inizia la discesa verso la capitale dello Sri lanka. L'atterraggio avviene alle 14:30 ora locale, per cui, tolte le cinque ore di fuso orario, diventano quasi nove ore di volo da Milano.
L'aeroporto di Colombo appare spartano ed essenziale. Ritiriamo in fretta i bagagli e cambiamo allo sportello 50 euro per prevenire le spese iniziali. Il cambio appare buono a 107,59 per un totale di 5379,5 rupie. Molto superiore a quello citato nella Lonely Planet ormai risalente a qualche anno fa. Ci ritroviamo così all'uscita, dove si riunisce il nostro gruppo di italiani dell'Azemar sotto l'unica guida di Gianfranco, un ragazzo sulla trentina. Tutti insieme sappiamo ora chi sono i nostri compagni di viaggio: una coppia di ragazzi come noi, Luca e Marzia, una coppia di signori, Ambrogio e Gabriella, due ragazze, Doriana e Patrizia, e poi ancora un'altra signora, Franca, e un altro ragazzo, Mauro. Dieci in tutto, provenienti da diverse parti d'Italia e di età diverse.
Aspettiamo Gianfranco che sbriga qualche commissione e formalità, per avviarci finalmente al nostro bus. Due ragazzi, tra i tanti in fila che non aspettano altro, come usanza da queste parti, portano le valigie al nostro posto per cento metri e spendiamo subito le nostre prime 50 rupie di mancia. Fa parecchio caldo e il sole picchia.
Saliamo sul nostro autobus, del tutto simile ai nostri italiani, che risulta praticamente vuoto essendo solo in dieci! Durante il primo tratto, Gianfranco ne approfitta per presentarsi e spiegare alcune cose su usi, costumi e tradizioni locali. Prima di tutte: non spaventarsi per la guida tremenda dei singalesi, che superano e si infilano da tutte le parti senza apparente ragione, non risparmiando di tagliare la strada di netto e suonare il clacson a più non posso. Ce ne rendiamo subito conto nei primi chilometri...
A questo punto, essendo il volo in ritardo, ci ritroviamo a dover azzardare una scelta non da poco: al posto di andare subito in hotel come previsto inizialmente dal programma, e poi fare il giro della città compreso nel pacchetto, Gianfranco propone di optare prima per il tour, visto che sono già le tre e mezza del pomeriggio e alle sei in punto fa buio. Dopo un giorno di viaggio intero, soprattutto per noi che da Cagliari abbiamo dovuto aspettare tante ore a Milano, risulta un po' massacrante, ma decidiamo comunque all'unanimità di non perdere la possibilità di vedere Colombo. Il sogno di una bella doccia, un lauto riposo e di un pasto decente è solo rimandato: del resto, siamo in vacanza bisogna essere super attivi!
Dopo un'ora di tragitto passiamo di fronte al nostro hotel. Difficile dire quanti chilometri abbiamo fatto dall'aeroporto, di sicuro è invece lineare affermare che la città di Colombo appare sterminata tra un susseguirsi continuo di case, negozi, veicoli di ogni genere (dai carretti ai tuk-tuk, agli autobus sgangherati alle utilitarie, assai rari le auto lussuose). Me l'aspettavo assai più piccola e contenuta, ma probabilmente è molto estesa per la mancanza di palazzi alti. Per il resto il panorama è quello tipico dei paesi orientali: tanti mercatini, bancarelle colorate, traffico indemoniato.
La nostra prima tappa è un tempio induista. Appena scendiamo dal bus l'impatto non è davvero dei migliori, devo dire assai più duro e crudo di quello che si avverte passeggiando per le strade di Bangkok. Alle catapecchie decadenti si affiancano angoli di immondezzaio totale, dove gatti e cani randagi, quasi tutti con evidenti segni di malattie e in condizioni precarie, cercano qualcosa da mangiare. Per fortuna non ci sono anche persone. Tutto questo in appena cento metri di strada che ci separano dal tempio. Speriamo che il resto della città non sia tutto così!
Osserviamo esterrefatti la facciata del tempio, ricca di statue e sculture che fuoriescono da tutte le parti creando giochi di profondità superbi e colorati. Subito dei mendicanti appostati iniziano ad avvicinarsi al nostro groppo, in chiaro atteggiamento d'elemosina. Pochi centesimi di euro per questa gente sono soldi che valgono. Gianfranco ha spiegato nell'autobus che il loro stipendio medio mensile varia tra i venti ai cinquanta dollari per chi è più fortunato. Dare cento rupie di mancia, che equivalgono più o meno a un euro, vuol dire regalare un'intera giornata di duro lavoro ad un singalese. E' anche vero che chiedere l'elemosina non è mai bello, come non è bello vedere queste povere persone dalle facce sofferenti e tirate, spesso a petto nudo e scalze, tutte intorno a te che aspettano di ricevere qualcosa.
Lasciamo le scarpe all'ingresso ed entriamo nel tempio. La parte visitabile non è molto grande, si fa solo il giro di qualche stanzone. Gli affreschi e l'interno in generale sono un po' lasciati andare, ma in tempi migliori doveva davvero essere bello e splendente. Un signore anziano ci segue e improvvisa qualche parola in inglese per fare una sorta di guida. Inutile dire che all'uscita chiede la mancia, la quale Gianfranco ci informa comunque non essere affatto obbligatoria in nessun caso. Mentre riprendo le scarpe lascio così venti rupie al signore, che non pare molto contento o soddisfatto e continua a chiedere con un atteggiamento che quasi mi indispettisce.
Torniamo al bus e proseguiamo per un altro tempio, stavolta buddista, quello di Gangaramaya. L'ingresso è a pagamento e costa 100 rupie a testa. Beh, almeno così si mettono le cose in chiaro da subito: si paga e niente mancia! L'entrata è stravagante, con tanti gingilli, statuette e doni sparsi ovunque. All'interno pare una sorta di museo, con oggetti e reliquie di ogni genere, alcune molto colorate e alquanto bizzarre. L'antico si fonde col moderno senza vie di mezzo. Usciamo all'aperto in un cortile interno, di fronte a centinaia di statue disposte in modo organizzato ed equidistanti che creano un bel colpo d'occhio. Di lato un'auto d'epoca perfettamente conservata rende ancora più l'idea del museo stravagante. Un'altra sala di oggetti e sbuchiamo in un altro cortile con un gigantesco albero Bodhi. Dopo qualche spiegazione di Gianfranco in italiano e della guida del tempio in inglese, torniamo infine all'autobus.
La nostra prossima meta è un grosso negozio di souvenir, dove Gianfranco consiglia di guardare per iniziare a rendersi conto dei prezzi. Di passaggio, prima di arrivare, possiamo osservare velocemente dai finestrini alcuni monumenti tipici di Colombo, quali il tempio sul lago, il Trade Center, persino l'originale Municipio costruito come identica copia della Casa Bianca!
Arriviamo dunque al nostro negozio, diviso in tre piani, ognuno ricco di numerosi oggetti e souvenir di ogni genere: statuette in legno, maschere tipiche, stoffa e batik, vestiti, parei, dipinti, prodotti artigianali, spezie, cartoline, davvero di tutto. Nonostante io e Ste avessimo promesso prima di entrare di non spendere nulla, visto che questo è solo il primo negozio che visitiamo, non possiamo non essere colpiti da innumerevoli cosettine che farebbero davvero gola da portare a casa. E' così la nostra scelta finale ricade su un simpaticissimo e davvero per noi originale elefantino, ricavato scolpendo una noce di cocco, con tanto di proboscide e tratti dipinti in nero. Meraviglioso! Il suo costo è di 360 rupie (3,5 euro).

per motivi di spazio il racconto continua su: www.ivanweb.net

Visita ad un centro tartarughe marine. Arrivo al Dickwella village.

giovedì 23 ottobre 2003

Alle 7:30 ci troviamo tutti all'ingresso. Arriva il bus e partiamo. Le prime due ore e mezzo di viaggio sono tutte nel centro abitato, un continuo scorrere di case basse e bancarelle, persone che vanno a lavoro, scolaresche, gruppi di persone in chissà quali manifestazioni locali che ai nostri occhi appaiono, a dir poco, folcloristiche. Non capisco più ormai se siamo ancora a Colombo, in periferia, o chissà dove.
Finalmente si vede l'oceano, con scorci sempre più frequenti. Stiamo seguendo pari pari la costa, tra paesaggi ripetitivi e pianeggianti, ma in alcuni punti pure molto belli e suggestivi. Le abitazioni diradano lasciando spazio ad una lussureggiante vegetazione verde di alte palme, mentre i sorpassi, per noi azzardati e senza senso, si ripetono costanti su una strada ad appena due corsie, stretta e non certo in perfette condizioni. Fatti da un autobus poi appaiono ancora più inopportuni, ma così è la guida nello Sri lanka! Tutto sommato però non si corre ad alta velocità, e non ci si ferma praticamente mai per l'assenza di semafori o ingorghi. Si tiene una velocità costante sui 40-50 chilometri orari: tutto ciò che va più lento viene superato, compresi veicoli, automezzi, altri autobus, che siano su rettilineo o in curva. Ovviamente discorso analogo vale per chi va più veloce di noi, che non si risparmia di operare il sorpasso del nostro bus tra suonate continue di clacson e virate brusche per rientrare in corsia.
Sostiamo di passaggio ad un centro tartarughe, per osservare la crescita e l'allevamento di questi meravigliosi animali centenari. Il biglietto d'ingresso costa 100 rupie (1 euro). Da un pezzo di terreno, protetto da un recinto, sbucano dei bastoncini di legno: qua sono deposte le uova delle tartarughe, ci viene spiegato dalla guida. Più avanti invece una vasca contiene centinaia di piccolissimi esemplari appena nati che si fanno le prime nuotate. Ne prendiamo una in mano per accarezzarla, è bellissima! In altre vasche ancora ci sono quelle più grandi, le quali mostrano un guscio stupendo, che pare disegnato dalla mano di un grande artista. Si fanno accarezzare tranquillamente senza ritrarre la testa, sono abituate alla presenza umana. Siamo proprio di fronte ad una bella, lunghissima spiaggia oceanica, con sabbia d'orata e tratti di un bel prato verde acceso sovrastato da alte palme di cocco. Scopriremo presto che questo è il tipico paesaggio costiero singalese.
Lasciato il centro, proseguiamo il tragitto sostando solamente un'altra volta per la cosiddetta pausa "toilette", del resto doverosa dopo ore e ore di autobus... E' una sorta di market che vende stuzzichini e bibite di vario genere. Durante l'attesa mi guardo intorno alla strada: siamo davvero in un altro mondo, che non assomiglia per niente a quello occidentale!
Passiamo Galle, importante città costiera del Sud dal punto di vista commerciale per la sua posizione, storico per il forte portoghese, e culturale per i caratteristici pescatori. Ne vediamo alcuni in mare, pescando, appesi a quel loro singolare trampolo che li ha resi tanto famosi.
Passiamo anche Matara e, superato il punto estremo meridionale dello Sri lanka, giungiamo finalmente dopo pochi chilometri a Dickwella, un modesto e piccolo paese di pescatori e artigiani. Il nostro hotel, che prende il nome dello stesso villaggio, è sulla strada principale. Entriamo che sono le 14:30: sono passate sette ore dalla nostra partenza! Il primo impatto non è per niente male e nonostante abbia visto le stupende foto panoramiche da Internet, rimango comunque sorpreso dalla bellezza di questo posto.
Veniamo accolti con una allegra cerimonia di rito che consiste, tra suoni di tamburi e strani strumenti a fiato, nell'accendere una candela ed esprimere un desiderio. Tocca prima alle donne e poi agli uomini. Beviamo un drink dissetante e veniamo accompagnati in stanza, la n° 37, la quale risulta accogliente, spaziosissima, con finestra e uscita anche dalla parte opposta verso il prato verde che dà sulla spiaggia. L'arredamento è tutto in legno, le lenzuola sono decorate con petali colorati, e un grande sole dipinto risplende sorridente sopra il nostro letto. Che dire, siamo contenti ed eccitati come inizio va benissimo!
Mi affaccio alla finestra e scorgo due sdraio per prendere il sole ed un appendino per stendere i vestiti, poi un ragazzo in lontananza mi saluta e mi dice di andare da lui. Ma non c'è tempo di esplorare adesso, non apriamo ancora le valigie e usciamo subito a pranzare visto che sono le 15:00 passate. Percorriamo il pittoresco vialetto coperto, anch'esso tutto di legno, che dalla reception porta alla nostra e alle altre stanze e più avanti al centro del villaggio, dove c'è una bella piscina, due palme altissime e una sala all'aperto dove si tengono i pasti quando fa bel tempo, come in questo caso. Delle simpatiche e colorate rappresentazioni di pavoni ed elefanti sui muri, con tanto di senso di profondità da farle apparire quasi sculture, rendono il tutto molto gradevole alla vista.
Troviamo anche stavolta tutto il gruppo già a tavola: ma questi sono dei fulmini! Andiamo a verificare immediatamente che il menù sia di nostro gradimento. Le pietanze non sono numerosissime ma c'è il nostro caro e amato forno a legna con un cuoco pronto a preparare delle invitanti pizze. Perché rifiutare una proposta così allettante? Durante il pranzo Gianfranco parla un po' di come è costituito il villaggio, cosa possiamo fare, degli orari da rispettare e così via. Suggerisce che è sempre meglio, come in tutti gli hotel, non lasciare denaro contante in giro per la stanza, ma di non preoccuparsi minimamente per altre cose, anche di valore, poiché una denuncia per furto da queste parti è considerata molto grave e sarebbe la rovina del dipendente che tiene caro al suo lavoro e alla sua dignità. Spiega poi che i tour sono tutti di mezza giornata e si svolgono durante il pomeriggio. A tal proposito possiamo scegliere tra diverse alternative e stabiliamo subito, per cominciare, i giorni in cui vogliamo fare le due gite incluse nel pacchetto, quella a Matara e quella al tempio di Mulkirigala.
Torniamo così in stanza, riposiamo qualche minuto e usciamo per una passeggiata sulla spiaggia da soli, prima del tramonto. Il posto è davvero bello: la spiaggia d'orata si perde sulla sinistra fino all'orizzonte insieme alle altissime palme che la costeggiano, le quali a tratti arrivano fino all'oceano perennemente mosso. Sulla destra invece gli scogli segnano la punta del Dickwella, dove le onde si infrangono con fragore provocando alti spruzzi d'acqua. In riva come in mare notiamo alcune barche di pescatori locali, dalla strana forma e costruzione. Il posto sull'imbarcazione è piccolo, al massimo per due o tre persone, lungo e stretto, tutto da un lato.
Torniamo al centro del villaggio, dietro la piscina, dove un muro bianco segna la recinzione del Dickwella verso l'altra spiaggia dove il sole tramonta. Qui l'arco di spiaggia è più piccolo e riparato, ciò non toglie che l'oceano sia comunque sempre mosso e anzi, all'orizzonte, alquanto suggestivo con possenti onde che si infrangono sugli scogli. Qua si vedono molti più pescatori al lavoro, mentre al cancello che dà sulla spiaggia d'orata veniamo catturati dai bambini locali, che iniziano a parlare in italiano, sorprendendoci non poco. Sono in tre, un maschietto e due femminucce, ma la più sveglia è la bambina che porta il nome di Nilani.
I bambini si mostrano molto simpatici e, tra qualche parola in italiano e gesticolazioni varie, riusciamo a scoprire i loro nomi, quanti anni hanno, dove vivono e cosa fanno.
Alle sei in punto il sole tramonta, regalandoci uno splendido e breve spettacolo di un colore rosso intenso, che non manchiamo di documentare con tante fotografie e riprese. Non resta che tornare in stanza e aspettare la cena.

Tour a Mawella per vedere il "Blow Hole", il soffione dell'oceano.

venerdì 24 ottobre 2003

Torniamo in stanza e alle 9:30 vediamo alcuni del nostro gruppo passare. Li raggiungiamo e iniziamo la lunga camminata verso l'arco di spiaggia d'orata, che parte dal Dickwella e si prolunga per ben tre chilometri fino all'orizzonte. Insieme a noi vengono alcuni ragazzi dell'hotel, e altri tre del posto, i cosiddetti "Beach Boys". Rimaniamo un po' allibiti dall'immediato battibecco che nasce tra questi ultimi e Gianna, con varie accuse a tratti anche pesanti per varie vicende successe qualche giorno fa. Cerchiamo, nel limite del possibile, di lasciare estranea la discussione e non rovinarci lo splendido paesaggio che ci circonda. La spiaggia è a tratti larga e a tratti quasi scompare sotto le altissime palme e fitta vegetazione retrostante, costringendo a camminare piacevolmente sull'acqua calda, quasi a temperatura corporea. C'è molto vento e l'oceano è mosso, per cui non siamo ispirati a fare il bagno anche se il fondale è molto basso e non comporterebbe alcun pericolo. Il sole purtroppo è per la maggior parte del tempo coperto dalle nuvole, ma a tratti, quando viene fuori, regala sul mare splendidi colori con tonalità che vanno dal verde smeraldo all'azzurro più intenso. Non si vede un solo turista su tutta la spiaggia fino all'orizzonte! Ci siamo solo noi e qualche raro singalese del posto che va a pescare, a fare il bagno al proprio cane o una passeggiata romantica con l'ombrellino.
I primi animali che incontriamo sono dei cagnolini, molti cuccioletti e altri un po' più grandi, che vivono liberamente sulla spiaggia. Sono ovviamente randagi, e non devono avere vita facile visto che presentano evidenti segni di malattie. Meglio non accarezzarli per il momento, anche se poverini paiono innocui. Poi ci imbattiamo in un paio di mucche ferme, chissà, magari a prendere il sole. Non mi era ancora mai capitato di vederle in mezzo ad una spiaggia!
Nel frattempo i battibecchi continuano e i Beach Boys tentano assiduamente di parlare anche con noi, sostenendo la loro buona fede e il fatto che non siano imbroglioni. Una situazione un po' difficile di cui non ci sentiamo di dare né giudizio né critica, dal momento che siamo appena arrivati e non conosciamo le regole di questi posti! Nel dubbio cerchiamo ancora di evitarli e non dare confidenza. Siamo colpiti comunque dal fatto che anche loro parlino bene l'italiano, con discreta conoscenza della grammatica ed un ampio vocabolario.
Il prossimo appuntamento con la fauna locale è il macaco col berretto, una bertuccia molto comune nello Sri lanka. Ce ne sono due per l'esattezza, legate ad una corda su un ramo di un albero: una beve da una specie di biberon e l'altra ci osserva indifferente. Chiediamo ad uno dei Beach Boys a fianco noi perché siano legate, poiché è evidente che ci balena subito per prima l'idea che siano messe lì apposta per i turisti. Risponde che non è così, sono là per altri motivi e presto verranno liberate come prima. Non è del tutto convincente, però gli diamo fiducia potrebbe anche aver ragione.
Rimaniamo un po' dietro al gruppo, rallentati dalle numerose foto e riprese che sono d'obbligo. Li raggiungiamo dopo un po', fermi ad ammirare un enorme riccio, piuttosto diverso dai nostri, con lunghissime aculei neri. Ci viene mostrato anche come si crea una resistentissima corda fatta con la peluria del guscio della noce di cocco, di cui non viene per sprecato proprio niente.
Passiamo alcune barche e casette di pescatori e arriviamo alla fine della spiaggia, ammirando tutto il golfo fino all'orizzonte, dalla parte opposta, dove si scorge chiaramente la pittoresca architettura del Dickwella. Franca è l'unica coraggiosa a farsi il bagno nonostante il vento, mentre il resto del gruppo, compresi noi, si accontenta di chiacchierare e guardare il bel panorama.
Si torna indietro, non prima però di osservare una stupenda aquila di mare che sorvola l'oceano in cerca del bottino quotidiano. Il resto del gruppo va avanti mentre io e Ste sostiamo diversi minuti estasiati da questo magnifico esemplare, che riesco a riprendere bene (e soprattutto a vedere!) con la mia videocamera digitale, la quale con uno zoom 20x è utilizzabile praticamente anche come binocolo!
Stavolta rimaniamo davvero molto arretrati e restano con noi solo i due Beach Boys, due ragazzi appena sopra la ventina che si chiamano Gian e Upal. La loro conoscenza dell'italiano è sorprendente e così, anche se all'inizio con un po' di diffidenza e malavoglia, intraprendiamo un lungo discorso approfondito sui loro usi e costumi. Ci spiegano che sono pescatori, ma al di fuori degli orari di pesca cercano di arrotondare qualcosa con i clienti del Dickwella. Non sono né procacciatori né venditori, fanno semplicemente da accompagnatori, ma sono in grado di procurare, a richiesta, quasi ogni cosa. Il loro modo di vivere è molto essenziale, hanno i beni di primaria necessità e lo stato li aiuta, distribuendo riso, vestiti di scuola per i bambini e così via. Ce lo spiegano appunto mentre passiamo di fronte ad un piazzale retrostante la spiaggia, dove una folla di gente aspetta in file ascoltando una voce al megafono. Nello stesso posto domani si svolgerà il mercato. Purtroppo tutto il mondo è paese e anche qua la politica gioca un ruolo a doppia faccia. Gli aiuti arrivano soprattutto in periodo elettorale, coinvolgendo molto donne e bambini che stanno in genere più in casa, mentre gli uomini sanno bene che una volta passate le elezioni tutto tornerà come prima. Rispondiamo a dovere con quello che succede in Italia, anche noi abbiamo i nostri problemi, anche se ad un livello diverso.
Alle tre pomeridiane in punto raggiungiamo la reception insieme a tutto il gruppo. Aspettiamo il pulmino con Gianfranco per il tour a Mawella, che ci è stato proposto all'economico prezzo di dieci euro a persona. Il conducente si fa attendere, e dopo mezz'ora di ritardo finalmente partiamo. La prima meta è la casa di Flavio, un italiano (ci spiega Gianfranco) che ha investito qui nello Sri lanka comprandosi un magnifico terreno con visuale mozzafiato ed ha costruito una casa con piscina a dir poco invidiabile. Per arrivarci percorriamo una strada sterrata stretta molto suggestiva, piena di buche e a strapiombo sulla costa. Rimaniamo davvero colpiti dal panorama una volta entrati nella proprietà di Flavio. La tenuta sorge su un colle verde con alte palme, con il panorama sull'oceano e su un isolotto collegato alla terraferma da un istmo di spiaggia che pare, durante l'alta marea, persino scomparire. Il mare è molto mosso sulla parte destra dell'istmo e più calmo sulla sinistra. E' qui che faremo un po' di snorkelling.
Proseguiamo per Mawella, un altro villaggio diventato turistico per via del cosiddetto "Blow Hole", il soffione dell'oceano, raro fenomeno conosciuto in soli dodici posti sul pianeta, di cui questo è il secondo per importanza. Così cita la Lonely Planet e noi ci crediamo per potercene vantare! Il tutto non è niente di più che un alto e potente spruzzo dell'oceano, il quale fuoriesce prepotentemente da una crepa sugli scogli (un vero e proprio buco) con la forte pressione che si crea a seconda delle onde e della corrente oceanica. Pare che nei periodi migliori possa raggiungere i 25 metri di altezza, che sono davvero tanti!

per motivi di spazio, il racconto continua su www.ivanweb.net

Tempio buddista di Wewurukannala Vihara. Tour: Weligama (gemme), Matara (batik)

sabato 25 ottobre 2003

Il tempio si chiama Wewurukannala Vihara, ed ha influenze miste tra il buddismo e l'induismo, che qui sembrano convivere e fondersi in sincera armonia. Il biglietto costa una cifra irrisoria per entrare, qualcosa in più per chi ha la macchina fotografica e la videocamera, ma Gian e Upal ci fanno pagare a forfait solo l'ingresso. Bisogna ovviamente togliersi le scarpe. Entriamo solo io e Ste nella parte buddista, rimanendo molto colpiti dalla pace e dall'atmosfera del luogo. I nostri improvvisati accompagnatori ci spiegano il significato di varie statue: la reincarnazione per esempio, rappresentata in una fila di oltre 50 buddha uno dietro l'altro, oppure la differenza tra la posizione del buddha morto e di quello dormiente, che si percepisce solo per l'allineamento o meno delle dita dei piedi.
Usciamo da questa prima parte del tempio ed entriamo a lato in un'altra sezione, quella dedicata all'inferno. Rimango un po' sconcertato, proprio non pensavo che esistesse il concetto di inferno anche per i buddisti, a meno che non si tratti di un'influenza induista. Le religioni non sono il mio forte! La Lonely Planet cita questa parte come una sorta di disneyland fumettistica e in effetti non è molto lontana dalla realtà. All'ingresso una serie di statue terrificanti ma allo stesso buffe nella loro realizzazione, rappresentano una atroce tortura di un uomo capovolto mentre viene segato in due, ad iniziare dalle parti basse (ahi che male, diamine!) e del diavolo con tanto di corna. Da qua in poi si susseguono dei corridoi, tutti minuziosamente dipinti da entrambe le pareti, dove nella parte superiore vi sono le malefatte compiute nella vita terrestre, e nella parte inferiore le corrispettive torture infernali. Una sorta di gigantesco inferno di Dante con qualche centinaio di gironi! Purtroppo c'è molto buio e non si riesce a riprendere bene, si vede invece chiaramente che le pitture sono un po' lasciate andare all'usura senza alcuna protezione e manutenzione, come del resto praticamente tutto qua intorno, ed è un grandissimo peccato!
Finita anche questa singolare e interessantissima visita, saliamo le scale nel vasto spazio all'aperto che prosegue verso la gigantesca e colorata statua del Buddha, ed entriamo alla sua base. Una lunga serie di gradini, spezzati a tappe da diversi stanzoni con pareti anch'esse dipinte, salgono verso la cima. Arriviamo in una prima terrazza panoramica proprio dietro la testa della statua e saliamo l'ultima rampa di scale. La vista è stupenda e merita la fatica! Osserviamo per diversi minuti la struttura del tempio, le persone piccole piccole sotto di noi, e tutta la fitta foresta di palme fino all'orizzonte. Si vede benissimo persino tutta la strada che abbiamo fatto per venire qua ed il campo di fiori di loto. Gian indica degli alberi in lontananza spiegando che là ci sono tantissimi pipistrelli e può portarci a vederli. Interessante! Però adesso non c'è più tempo, così gli promettiamo di andare domani.
Dobbiamo tornare velocemente al Dickwella per pranzo e per velocizzare i tempi prendiamo un tuk-tuk. L'autista chiede appena 50 rupie (0,50 euro) per questo tragitto e non ci pensiamo due volte. Salire in quattro più il conducente in questo piccolo mezzo a tre ruote è un'impresa divertente quanto incosciente! Sperimentiamo così questo mezzo per la prima volta nello Sri lanka, del tutto identico a quello omonimo thailandese. Sperimentiamo anche, meno piacevolmente, le buche della strada!
Dopo pranzo l'appuntamento è alle 14:30 alla reception per il tour a Matara, che risulta compreso nel nostro pacchetto viaggio. Stavolta il pulmino è puntuale e ne arrivano addirittura due per stare più comodi. La prima tappa è a Weligama: più o meno tre quarti d'ora di viaggio caratterizzata da continui sorpassi e guida sportiva del nostro autista che sembra gareggiare con il suo rivale, partito in anticipo. Le scommesse sono fatte, tra le simpatiche battute di Mauro, Luca e Marzia insieme con noi nello stesso pulmino: chi arriverà primo? Superati in extremis i nostri compagni sul Mercedes sembra ormai cosa fatta, ma il nostro autista si smonta all'ultimo sbagliando vicolo una volta arrivati a Weligama! Ritrovata la strada siamo dunque ultimi: scommessa persa.
Gianfranco ci accompagna all'interno di una abitazione, che è in realtà una vera e propria fabbrica artigianale di gemme. Ci viene offerto qualcosa da bere in un salone, dopodiché iniziamo la visita nel laboratorio retrostante, dove assistiamo alla lavorazione materiale delle pietre. Diverse persone maneggiano sapientemente precisi strumenti e pazientemente, una ad una, producono le gemme passo per passo in una mini catena di montaggio. Il prodotto finale viene poi portato in un salone più bello e rifinito, dove si svolgono le contrattazioni e le vendite. Rimaniamo ad ammirare qua questi piccoli e preziosi oggetti esposti in vetrine protette, mentre qualcuno del gruppo prova a contrattare e persino a concludere qualche acquisto.
Risaliamo nel pulmino spostandoci verso Matara, a pochi chilometri di distanza. Qua entriamo in un'altra casa-laboratorio artigianale, stavolta di batik. In un piccolo cortile all'aperto troviamo alcune donne che lavorano il tessuto, anche loro con una invidiabile pazienza e precisione, ricoprendo di cera la parte di un determinato colore del disegno, che poi va bagnato e asciugato, togliendone la cera e rimettendola sulla parte del disegno che presenta un altro colore. E' un lavoro incredibile, non avrei mai pensato che ci potesse essere tutto questo dietro quei quadri e parei di stoffa appesi al muro! Alcuni sono bellissimi anche se sono ancora incerati e quindi non conclusi. E' evidente, come ci viene spiegato, che i batik più costosi sono quelli che presentano più colori, perché ogni colore in più comporta una ulteriore "passata" nel giro della lavorazione. E ancora, fondamentale, il vero batik è solo quello che presenta lo stesso disegno a specchio girando la stoffa da una parte all'altra. Se così non è, si tratta "solo" di stoffa lavorata, ma non di batik originale. Quante cose si imparano! Il prodotto finale viene esposto in un'apposita sala dove si svolge la vendita tra le più accese contrattazioni. Vediamo qualcosa di carino ma la folla e il prezzo, intorno ai venticinque euro, ci fanno desistere per il momento dall'acquisto.

per motivi di spazio, il racconto continua su www.ivanweb.net

Pipistrelli. Lavorazione artigianale del legno. Massaggio Ayurveda. Visita casa locale. Danze locali

domenica 26 ottobre 2003

Abbiamo appuntamento con Gian e Upal in spiaggia per andare a vedere i pipistrelli. Il tuk-tuk si improvvisa una vera e propria jeep!
Ci fermiamo sulla soglia della fitta foresta, vicino ad una casa rurale, poco meglio di una baracca. Un bambino esce dalla porta e ci guarda incuriosito, timido. Gian fa cenno di osservare sulla cima degli alberi, che sono alti almeno una ventina di metri, dove si notano decine di pipistrelli dormienti a testa giù appesi ai rami. Rimaniamo a bocca aperta, ma il bello deve ancora venire. Arriva anche il conducente, parla un po' con Gian e lui ci dice che adesso vanno a scoppiare qualche sorta di petardo per farli volare. I loro visi si illuminano come quelli di due bambini pronti a fare la marachella, ma io e Ste non siamo d'accordo nel far scoppiare quei cosi, nel rispetto di quei poveri animali sonnecchianti. In realtà, ci spiegano, non sono botti pericolosi e non fanno neanche rumore. Sono innocui fumogeni che li svegliano per qualche minuto e poi torna tutto come prima. Si lanciano nella loro impresa e scompaiono dietro gli alberi della foresta. Sentiamo un brusio in lontananza e vediamo il fumo, mentre in contemporanea centinaia di pipistrelli enormi cominciano a volare e strillare sopra le nostre teste girando in tondo! Rimaniamo a bocca aperta, ce ne sono una quantità incalcolabile, molto più di quelli che si vedevano a occhio nudo! Per fortuna volano là ad alta quota e non si avvicinano. Per noi è stata una grande emozione!
Il conducente fa una divertente inversione tra il prato e il piccolissimo viottolo, dopodiché risaliamo sorbendoci nuovamente le voragini del terreno. Ripassiamo di fronte al Dickwella e Gian ci chiede se vogliamo andare a vedere una casa dove lavorano artigianalmente le statuette in legno. Ma sì perché no, ormai ci siamo! Raccogliamo anche Upal visto che andiamo dalla parte opposta al centro del paese e i controlli non ci sono. Dopo pochi minuti arriviamo di fronte ad un'altra tipica abitazione locale. Questa è assai più accogliente di quella vista prima, ma sempre molto modesta. Entriamo nel salone dove salutiamo un bambino. C'è un televisore e l'arredamento non è male. Dietro si trova il laboratorio, chiamiamolo così, del proprietario che adesso è fuori. Mi sorprende come qua siano tutti una famiglia, si entra così facilmente nelle case altrui senza mettersi alcun tipo di problema. Appare evidente che l'artigiano in questo momento è fuori e così Gian e Upal pensano loro a mostrarci come funzionano gli attrezzi del mestiere! Prendono tanto di martello e scalpello, fatti rigorosamente in legno in maniera del tutto semplice e primitiva, e mimano il gesto dello scolpire il legno ancora grezzo, prime che diventi una piccola opera d'arte. Ci sono alcuni modelli non ancora terminati che fanno capire i vari passaggi della lavorazione. E' incredibile, è tutto fatto a mano, statuetta per statuetta! Non ce ne sarà mai una uguale perché non esistono strumenti meccanici e industriali: qua si parla di lavoro artigianale puro al cento per cento!
Dopo la dimostrazione entriamo in una stanza per l'esposizione del prodotto finale. Abbiamo capito ormai che da tutte le parti funziona allo stesso modo. I lavori sono quasi tutti artigianali, che si tratti di souvenir, di gemme preziose, di legno, di abiti e così via; il concetto di fabbrica e produzione di massa non esiste, si lavora nella propria abitazione che allo stesso tempo è divisa in laboratorio e sala per l'esposizione e la vendita finale. Terminato lo spettacolino camminiamo insieme a loro dall'altra parte degli scogli, dove tramonta il sole, verso l'arco di spiaggia che finora non abbiamo ancora visto. Ci sono molti pescatori in mare su quelle strane e strette barchette che assomigliano a catamarani. Qualcuno simpaticamente saluta anche col braccio al nostro passaggio. La sabbia d'orata, le alte palme e la fitta vegetazione si susseguono esattamente come in tutta la costa vista fin'ora. Alla fine della spiaggia il paesaggio è stupendo. Alle nostre spalle si vede il Dickwella mentre di fronte il sole sta tramontando colorando tutto di giallo e rosso fuoco. Siamo attrezzati di cavalletto e lo piazziamo per fare qualche indimenticabile foto. Ne faccio una a due bambini sulla nostra destra, seduti vicino ad un edificio diroccato senza tetto. Uno abbandonato come tanti altri penso, ma Gian e Upal mi dicono che in realtà quella è la scuola! Il sole scende rapidamente non deludendo le nostre aspettative fotografiche e regalandoci un tramonto memorabile sull'oceano, alle 18:00 in punto.
Mentre torniamo indietro al calar della luce, Nilani ci invita teneramente a vedere casa sua. Siamo del tutto spiazzati e un po' titubanti, ma lei insiste prendendomi per mano e noi accettiamo. Del resto, un'occasione così non capita tutti i giorni. Attraversiamo il prato sul retro della spiaggia e finiamo sulla strada principale, che seguiamo per un breve tratto. Attraversiamo anche questa e ci ritroviamo in un piccolo e povero quartiere di case e baracche. Non c'è strada né luci, solo terra e fango. Abbiamo qualche difficoltà persino a salire all'ingresso in pendenza perché si scivola molto. La casa che visitiamo è quella di uno dei bambini: è in muratura ma è quasi un rudere. Gian ci spiega che le famiglie più povere, come questa, non hanno neanche la corrente e la luce elettrica. Scorgiamo infatti delle candele dalle aperture del muro dove in realtà dovrebbero esserci delle finestre, e alcune persone sul fondo che si lavano con un secchio. I più fortunati invece hanno persino il televisore, e lo condividono riunendosi in gruppo per vederlo. Come da noi per il rito delle partite di calcio. Siamo attenti e silenziosi, immersi in questa che per noi rappresenta la prima vera esperienza di povertà. Non mi sfiora nemmeno il pensiero di riprendere o fare qualche foto a queste persone, non è proprio il caso. Mi chiede Nilani, mentre mi guida prendendomi teneramente per mano, cosa ne penso di tutto ciò ed io, imbarazzato più che mai, rispondo cercando di essere normale con un "carino qua". Pessima uscita, ma del resto cosa si può dire in questi casi? Mi risponde sbigottita in italiano: "Carino? Questo è carino?!". Non dimenticherò mai la sua espressione mentre me lo diceva, così sorpresa e allo stesso provocatoria.
Ci spostiamo un po' più su nella sua casa. Qui c'è la corrente elettrica, ma le condizioni sono comunque pessime. Ci sediamo un po' sulla veranda osservando tutto intorno. Dopo qualche minuto arriva la mamma e altri bambini: sono i fratelli e le sorelle, ben sette in tutto! Ci fanno accomodare dentro, in una stanza di modeste dimensioni, con un letto tutto rotto e un nuvolo di zanzare ovunque. Sulle pareti ci sono delle foto appese, che loro ci mostrano tutti orgogliosi! Sono quelle fatte dai turisti o per qualche raro e grandioso evento. La mamma torna con in mano un paio di piccoli limoni e ce li offre insieme a delle conchiglie, affermando qualcosa. Gian fa da traduttore spiegando che ha detto che portano fortuna. Non chiede nulla in cambio, né soldi né altro. Dice solo se le possiamo mandare le foto dandoci l'indirizzo. Credo di non esser mai stato così commosso in tutta la mia vita e le prometto di farlo sicuramente. Intanto si fa buio ed è ora di tornare in hotel. Lasciamo i bambini e ci facciamo accompagnare da Gian e Upal, che ci aiutano nella nostra goffa discesa tra fango ed erba scivolosa. Avessimo portato almeno una pila!

per motivi di spazio, il racconto continua su www.ivanweb.net

Safari allo Yala National Park

lunedì 27 ottobre 2003

Alle prime luci dell'alba arriviamo a destinazione. Facciamo colazione con un the caldo, poi Saman va a prendere la nostra guida, che arriva con una bella e classica jeep da safari: alta, con i sedili a panca laterali per i passeggeri e aperta su 3 lati con il tetto coperto. Ci stiamo perfettamente in sei seduti comodi, con gli zaini sul pavimento. Vi sono anche i binocoli che saranno utilissimi. Percorriamo un lungo tratto di strada sterrata in pianura, ammirando il paesaggio che è stupendo. Sostiamo in un'area apposita che ci conferma definitivamente che siamo allo Yala National Park: un capannone adibito a museo faunistico mostra la cartina geografica e stradale del posto. Saliamo nuovamente sulla jeep e dopo un altro tratto di strada finalmente arriviamo al vero ingresso che si presenta come una sorta di casello stradale. Arriva il nostro battitore, che per il safari in questo parco è obbligatorio. Si siede a fianco all'autista e finalmente, alle 8:00, diamo inizio al safari!
Dopo pochi metri incontriamo subito due esemplari di scimpanzé della specie "Entello di Sri lanka", facilmente riconoscibili dalle illustrazioni della Lonely Planet. La strada sterrata è in ottime condizioni, ci aspettavamo molto peggio. Gli incontri si susseguono uno dietro l'altro, come gli scorci stupendi e mozzafiato di alcuni tratti del paesaggio, che si aprono all'improvviso dietro qualche curva. Vediamo frequentemente vari cerbiatti, cinghiali, bufali, cervi pomellati e purtroppo ci rendiamo presto conto, come davamo per scontato, di essere molto svantaggiati per le foto senza un potente teleobiettivo.
Il nostro primo obiettivo, ci spiega l'autista, è trovare gli elefanti perché più tardi, come il sole comincia a scaldare, si ritirano all'interno della foresta ed è difficile avvistarli. Gli chiediamo anche dei leopardi ma, come già sapevamo, non è un buon periodo per vederli e per trovarli bisogna rimanere diversi giorni all'interno del parco.
Troviamo in uno spiazzo un iguana che scava una fossa, e dietro un pavone maschio che apre a ruota la sua coda in segno di corteggiamento. Purtroppo non si gira mai frontalmente verso di noi e la parte più bella della coda rimane nascosta. Più avanti in ampi prati verdi con diversi laghetti troviamo gli aironi, poi i pellicani. Avvistiamo l'aquila e la mangusta, persino uno stambecco, ma di elefanti ancora nulla.
Verso le dieci e mezza raggiungiamo il confine del parco di fronte all'oceano. Parcheggiamo la jeep sotto gli alberi e scendiamo a fare due passi nella bella e lunga spiaggia d'orata. Consumiamo i nostri pacchetti della colazione mentre ammiriamo lo stupendo panorama incontaminato. L'entusiasmo del safari ha preso il sopravvento e il mal d'auto adesso mi è passato, sto molto meglio!
Riprendiamo il tragitto sui sentieri sterrati del parco esclusivamente alla ricerca degli elefanti. Superata una curva ci fermiamo ad osservare il paesaggio che per me è il più straordinario visto fin'ora: un enorme acquitrino, circondato da prato e fiori con centinaia di farfalle e qualche gruppo di cinghiali, con in lontananza alberi spettrali e secchi e una particolare cresta rocciosa. Il tutto immerso in una pace perfetta, come solo la natura sa creare.
Cominciamo ad essere seriamente preoccupati di non riuscire a vedere però i nostri amati mammiferi, visto che il sole è alto e sta facendo molto caldo. L'autista a questo punto dà il meglio di sé e tenta di seguire le tracce per un sentiero secondario. Lasciamo così la strada principale e intraprendiamo un viottolo dove finalmente la jeep può dimostrare le sue potenzialità. Passiamo un tappeto roccioso, diverse buche profonde e sfioriamo la vegetazione di striscio nei punti più stretti. Questo è il safari come l'ho sempre immaginato! All'improvviso arriva l'urlo di Gianfranco: "Eccolo! Fermo!". L'autista blocca la jeep e torna indietro. E' là per davvero l'elefante, nascosto tra la vegetazione che strappa con la possente proboscide per il suo pasto quotidiano. E' sfuggito alla vista di tutti ma Gianfranco è stato grande! A motore spento, osserviamo per vari minuti in perfetto silenzio l'animale. L'autista dice che ce ne sono altri, almeno tre; poi diventano cinque, ma io ne vedo sempre solo uno! E' incredibile ma pur così grossi gli elefanti riescono a mimetizzarsi perfettamente tra gli alberi, non l'avrei mai detto! Il nostro esemplare visibile in ogni caso sembra non avere via di uscita: l'unico sentiero libero è quello che dà sulla strada e quindi sono convinto che prima o poi dovrà venire allo scoperto. Invece rimango a bocca aperta quando lo vedo sparire tra la vegetazione, facendosi strada sradicando tutto quello che c'è intorno senza difficoltà! Certo che vederli selvatici è tutta un'altra cosa, io mi ero abituato ai docili elefanti addestrati della Thailandia. Dopo pochi minuti ecco uscirne un paio a pochi metri di distanza. Uno si nasconde perfettamente dietro un albero a mangiare: non riuscirei a riconoscerlo se non l'avessi visto entrare là! Poi finalmente esce allo scoperto l'intero branco. Fa da guida una mamma che protegge un bellissimo cucciolo, poi ne arrivano altri dietro. Seguono la strada sterrata, sono proprio di fronte a noi a pochi metri, è un'emozione grandissima! Nel silenzio profondo si sentono tutti i nostri movimenti e gli scatti delle macchine fotografiche. Ad un certo punto, proprio sul più bello mentre gli elefanti ci passano a fianco, all'improvviso sentiamo il motorino di riavvolgimento del rullino: è Saman che ha finito le foto! Fa un chiasso micidiale e cerchiamo di coprirlo subito. Per fortuna gli elefanti non se ne preoccupano.
Passato l'ultimo esemplare davanti a noi, l'autista accende la jeep per stare dietro al branco che dopo qualche decina di metri si getta nuovamente tra la vegetazione. Li abbiamo disturbati e non appena arriviamo nel punto dove sono scomparsi, troviamo ad attenderci l'enorme testa della madre capogruppo che spunta dal fitto verde con un possente e terrificante nitrato! Ci congela spaventosamente, l'autista spegne la jeep e comanda di stare zitti. Non c'era alcun bisogno di dirlo, siamo a dir poco pietrificati, comprese macchine fotografiche e cineprese varie. L'elefante è di fronte a me, Gianfranco e Stefania, ad un paio di metri in linea d'aria, proprio dal lato della jeep dove siamo seduti. Lo vediamo benissimo, è enorme, ha uno sguardo provocatorio e deciso: credo di non aver mai avuto così paura ed allo stesso tempo rispetto per nessun animale prima. Dopo pochi secondi, gira gli occhi e riprende indifferente a mangiare, ma per noi è stata una grande lezione. Siamo tutti convinti che se qualcuno avesse urlato ci avrebbe caricato e rovesciato senza troppi complimenti, poveri noi e povera jeep! L'autista ci spiega che sono tutte femmine, e diventano aggressive quando hanno i loro piccoli da proteggere. Del resto, è comprensibilissimo. Quella che vediamo è la capogruppo, che rimane sempre per ultima a controllare la situazione nei dintorni.
Durante la via del ritorno, assistiamo all'ultimo eccezionale evento del giorno: un aquila plana proprio davanti a noi e si getta a capofitto sulla strada pochi metri avanti, catturando un serpente e portandoselo sopra un albero. Il tutto dura appena qualche secondo ma è davvero una di quelle scene che pensavo si vedessero solo nei documentari!

per motivi di spazio, il racconto continua su www.ivanweb.net

Tour al tempio di Mulkirigala. Lo spettacolo finale dei fuochi in piscina.

martedì 28 ottobre 2003

Sediamo su una sedia mentre Upal ci porta un pacco di cartoline che gli abbiamo richiesto, e cominciamo a sceglierle. Dopo una ventina di minuti finalmente le trattative si concludono e raggiungiamo il numero di ben 35! Prima di rientrare lasciamo loro una mancia come ringraziamento per la compagnia, la guida e la simpatia che ci hanno regalato in questi giorni. Una volta in stanza decido di dare anche il mio cappellino a Gian (che l'aveva gentilmente chiesto come ricordo) e il mio vecchio portafoglio in pelle a Upal. Ne rimangono molto contenti e lo considerano un gesto affettivo da tenere come ricordo. Ammetto che siano stati un po' ossessivi durante questa settimana ma fanno molta tenerezza, sono dei bravi ragazzi.
E' una bella giornata di sole ed essendo ancora presto sentiamo forte il richiamo della piscina dove ci lanciamo per un breve refrigerante bagno.
Subito dopo pranzo incontriamo i bambini per lasciargli i nostri regali. C'è anche Mauro che sta dando loro dei vestitini. Noi abbiamo la stoffa da distribuire e lo zaino fornitoci dal tour operator Azemar a Milano, che abbiamo deciso di dare a loro che ne hanno sicuramente più bisogno di noi. Alle tre bambine spetta la stoffa, mentre lo zaino lo regaliamo ad un'altra bambina piccola che ci osserva da lontano, timida timida, abbracciata al padre. Una scena tenerissima e quasi commovente, così come l'ultimo saluto ai nostri cari, simpatici e allegri bambini singalesi.
Alle 15:00 in punto siamo alla reception per attender il pulmino che ci condurrà a Mulkirigala, alle pendici di una roccaforte dove è stato costruito un tempio nella roccia. Il tragitto non dura molto e una volta arrivati ci troviamo in mezzo al verde di una splendida foresta. Scorgiamo lo spuntone di roccia che è la nostra meta da scalare con oltre 500 gradini! Già dai primi passi il paesaggio si fa molto suggestivo e il panorama passa da una visuale di pochi metri tra la fitta vegetazione lussureggiante a scorci all'aperto, sempre più ampi man mano che saliamo verso l'alto.
Ad un primo terrazzamento visitiamo una sala letteralmente scolpita nella roccia. Lo sono anche le statue all'interno ci dicono, successivamente pitturate e oggi vivacemente colorate come in ogni tempio buddista. Un anziano signore si avvicina un po' a tutti chiedendo se conosciamo l'inglese. Tutti rispondono prontamente e furbescamente in modo negativo, mentre il nostro leggero tentennamento ci porterà ad avere questa persona attaccata come una patella durante il resto del percorso. Inizialmente è tranquillo, tenta di spiegarci qualcosa su storia e tradizioni del tempio, ma noi abbiamo già la guida del Dickwella. Ci fa comodo solamente perché rimaniamo staccati dal gruppo per godere in tranquillità del paesaggio e per scattare foto e riprendere a volontà.
Dopo altri gradini arriviamo ad un'altra terrazza con un ottimo panorama, dove si vede persino il nostro pulmino in fondo piccolo piccolo. Visitiamo altre due sale nella roccia, e proseguiamo per l'ultimo tratto che risulta un po' più complicato. I gradini sono anch'essi scavati nella roccia, piccoli e poco profondi, ma ci sono delle corde a cui tenersi e aiutarsi. Salta fuori il primo macaco con berretto, che osserva incuriosito la nostra ascesa. Poi, una volta sopra, ne arrivano a decine a prendere le caramelle. Corrono e saltano da una parte all'altra ma rimangono comunque diffidenti dall'avvicinarsi troppo o nel giocare con noi. Agguantano la caramella e scappano sul ramo più vicino.
Infine ancora una breve camminata conduce alla vera e propria cima della montagna, un balcone con uno strapiombo di oltre 200 metri sulla foresta! Una bella emozione, animata da un altro macaco solitario che ci segue sugli alberi e posa lì, quasi sospeso nel vuoto, a godersi lo strepitoso panorama. Sembra uno di quei posti che nella sua posizione ed isolamento pare adatto tipicamente a eremiti e monaci lontani dal mondo e dall'umanità. Purtroppo, nel vedere un signore che chiede l'elemosina attrezzato con tanto di banco, sedia e cartelli in nome del bene del tempio, mi fa sospettare che anche qui l'odore dei soldi ha rovinato l'atmosfera pura e religiosa del luogo.
Sospetto che viene confermato durante la discesa, quando il signore improvvisatosi nostra guida in inglese, comincia a parlarmi della sua numerosa famiglia da sfamare, di lasciare un aiuto per loro e le solite cose di cui ormai, dopo una settimana, cominciamo ad essere stanchi di sentire.
Il percorso del rientro prevede una sorta di giro ad anello e quindi risulta per un bel tratto diverso da quello dell'andata. Ci sono addirittura più scalini, che in tutto, sommati, sembrano essere circa 530: non male come esercizio per le gambe!
Verso le 22:00 scendiamo in zona piscina, dove ci hanno preparato delle sedie per assistere allo spettacolo. Ci hanno incuriosito molto affermando che sia stupendo. L'atmosfera è grandiosa: è calata la pace assoluta, l'acqua della piscina è immobile e funge da perfetto specchio per le luci e la temperatura è piacevole. Parte la musica e la solita presentazione di Gianfranco, che spiega la storia della rappresentazione che vedremo stanotte. E' un classico del genere: un principe ed una principessa si innamorano e vivono felici e contenti fin quando i "cattivi" non vengono a uccidere il principe e imprigionano la sua amata. Ma un angelo salverà il principe, che affronterà in duello il cattivo numero uno e libererà la sua principessa. Ebbene, nonostante il tutto possa sembrare banale e scontato, lo spettacolo non lo è affatto: tutt'altro, risulta più che mai spettacolare ed eccezionale! La musica accompagna sempre in modo appropriato il crescere della storia, ma il punto forte dello show risultano la bravura degli attori (gli animatori del Dickwella) unita agli "effetti speciali" dei fuochi e delle luci riflesse sulla piscina. Quando i protagonisti passano con la loro torcia ad accendere altri punti di fuoco e luce sparsi nel grande palcoscenico naturale della piscina, si comincia ad avvertire la magia di questo spettacolo. E quando arrivano i cattivi, dal tetto del Dickwella, volteggiando con le torce infiammate e scendendo dalle altissime palme, è un tripudio. Qualcuno, me compreso, ha sicuramente spagheggiato nel veder saltare dal tetto da un altezza di diversi metri quel ragazzo dritto in piscina, nel punto più basso della stessa, senza alcuna protezione! Per non parlare dello scontro, assolutamente memorabile ed indimenticabile, dei cattivi contro il principe, armati di spade infuocate che nulla hanno da invidiare alle spade laser di Star Wars, con la differenza che questo però è fuoco vero! L'agilità, la prontezza di riflessi e le capacità di questi ragazzi sono davvero incredibili. Chiamarli animatori mi pare del tutto riduttivo, hanno le potenzialità per fare ben altro.

per motivi di spazio, il racconto continua su www.ivanweb.net

Dickwella - Colombo

mercoledì 29 ottobre 2003

Non c'è che dire, è una bella levataccia alle 3:30 del mattino anche quando si è in vacanza! Chiudiamo le valigie definitivamente e andiamo alla reception insieme al resto del gruppo. Stavolta, al posto di un unico bus come all'andata, siamo divisi in tre pulmini che arrivano verso le quattro. Ci viene consegnato il fagotto con la colazione e prendiamo posto, cercando una posizione comoda nella speranza di fare un pisolino durante le lunghe ore che ci separano da Colombo. Speranza che viene presto vanificata dall'assurda guida del nostro autista, che nonostante le strada inizialmente poco trafficata (è ancora buio, non è spuntata neanche l'alba!) non risparmia la sua andatura sportiva tra brusche accelerate, frenate e sorpassi continui, su una strada ad una sola corsia per senso di marcia e in condizioni non certo eccellenti. Insieme a noi ci sono Luca, Marzia, Mauro. Gianfranco, davanti con l'autista, è l'unico che riesce clamorosamente a prender sonno nonostante veda la sua testa penzolare bruscamente da una parte all'altra. Comprendo che lui si è abituato ormai, a furia di fare questo tragitto tutte le settimane per andare a riportare i turisti all'aeroporto e a prelevare i nuovi arrivi da Milano.
Il viaggio si trasforma così in una sorta di incubo, che dopo qualche ora sfocia in una sarcastica barzelletta, di quelle che diventano leggende da raccontare agli amici. Intanto alle 9:30, sfiniti, arriviamo allo shop dove ci eravamo fermati il primo giorno per dare un'occhiata ai prezzi. Ne approfittiamo per sentire i commenti degli altri elementi del gruppo, identici ai nostri: guida pessima senza alcuna motivazione e nausea a volontà! Compriamo le nostre ultime cartoline e francobolli, e ci sediamo fuori a scriverle mentre aspettiamo gli altri. Chissà perché, sono convinto che manchi ancora poco per l'aeroporto, essendo già entrati da un po' nel centro abitato. Mi renderò presto conto invece che ci vogliono ancora più di tre ore!
Tre ore imbottigliati in mezzo al traffico di Colombo, con un centro abitato che sembra dieci volte più esteso di quello di Bangkok e non finire mai, in un tragitto che tengo a descrivere nei minimi dettagli. Per iniziare "imbottigliati" non vuol dire fermi in coda come da noi in genere nelle grandi città. Si cammina quasi sempre ma a velocità ridotte e tra brusche frenate, spunti da formula uno e sorpassi comandati da continue invasioni di corsia (adesso la strada è larga, sono tre o quattro corsie per senso di marcia). Tutti si comportano allo stesso modo e cioè l'equivalente di anarchia totale! Si fa l'impossibile per superare l'auto di fronte e guadagnare due metri (appunto il tanto dell'auto visto il traffico!) e non c'è ragione alcuna, visto che dopo pochi secondi si è nuovamente superati a propria volta. Le prime cinque volte che abbiamo visto auto ma sopratutto bus o camion molto più grandi del nostro pulmino tagliare la corsia e buttarsi spericolatamente addosso a noi, abbiamo temuto veramente per la nostra incolumità. Poi, superate le dieci, abbiamo capito che la tensione cominciava a tramutarsi in sarcasmo ed era inutile impanicarsi. Del resto, Gianfranco là davanti è così tranquillo! Non so per quale incredibile miracolo (che non si chiama Xamamina) non mi sia sentito male: non mi è mai successo, per me che soffro ogni mezzo sulla terra, superare una cosa del genere. Credevo che Napoli fosse un macello: ridicolo. Persino in Thailandia credevo fosse un casino: bazzecole. In confronto allo Sri lanka sono tutti autisti-modello.
Ma parliamo per l'appunto dell'autista, perché lui è il pezzo forte, il protagonista numero uno! A parte il modo egregiamente personalizzato di cambiare le marce, soprattutto la seconda, che entra con un gesto plateale e buffo, la ciliegina sulla torta è l'uso spropositato e ossessivo del clacson. Un uso continuo, assillante, che dopo ore di tragitto provoca l'ilarità mia e di Mauro, che iniziamo a scambiare tremende battute. Ma perché suona? E quante mani ha l'autista? Sta sempre cambiando le marce e sempre suonando il clacson, e in più ovviamente guida il volante. E per non avere neanche un incidente è evidente che osserva in tempo reale tutti gli specchietti per evitare di lasciarci la fiancata con gli altri pazzi là fuori. Conclusione: è bravissimo! Non si spiega altrimenti, sta guidando così da sei ore, senza un attimo di respiro: è un robot costruito per guidare!
Continuiamo per ore a ironizzare sull'utilizzo del clacson finchè, a mezzogiorno, arriviamo distrutti all'aeroporto di Colombo, dopo ben sette ore e mezza di viaggio. Gli altri componenti del gruppo non sono da meno, e sembra istintivo fare una piccola sincera preghiera di ringraziamento per essere arrivati sani e salvi e tutti interi. Un'esperienza traumatica e che lascerà il segno! Ma così come è pur vero che in un mondo di folli lo squilibrato è colui che ha il senno, mi rendo conto, riflettendoci, che probabilmente il rischio di incidentare è più basso di quel che sembra. Del resto, guidando così sono tutti abituati ad avere riflessi dieci volte più pronti dei nostri, e si aspettano che qualcuno venga addosso ad un altro in ogni momento. Ma vattelo a raccontare mentre la vivi in prima persona questa esperienza per sette ore!

il viaggio continua alle Maldive su questo stesso sito o ,per tutte le foto e maggiori informazioni, su www.ivanweb.net