Lankamale: Un viaggio fantTHAIstico!

località: bangkok; ayutthaya; sukothai; chiang mai; chiang rai; ko lanta
regione: sud est asiatico
stato: tailandia (th)

Data inizio viaggio: sabato 4 marzo 2017
Data fine viaggio: venerdì 17 marzo 2017

Direttamente dai racconti di viaggio di www.vlao.it

Il mercato galleggiante, le cascate di Erawan e le rovine di Ayutthaya

Per Vlao non è facile, dopo un lungo viaggio intercontinentale, presentarsi ai compagni proponendo subito, brutalmente, senza pietà una partenza alle sette del mattino.
Ma dalla sua ha valide ragioni e, per trasferirle agli altri, decide di avvalersi di una buona cena e di una capatina allo Sky Bar a due passi dall’albergo.
La tattica del bastone e della carota porta i suoi frutti e il golden mango che chiude il pasto abbinato alla vista dal terrazzo a picco sulla città fa digerire al Gruppothai la severa sveglia mattutina.
Con questa scelta Vlao si gioca gran parte della sua credibilità, arrivare dopo il treno al mercato sui binari di Maeklong nonostante l’alzataccia sarebbe un fallimento, ma come dice Ligabue, “chi si accontenta gode… così così” quindi è automatico che il programma del Gruppothai non può limitarsi al solo mercato galleggiante, ma deve osare di più!
Stipati a forza i bagagli nel pulmino si parte a palla di cannone affidandosi alla guida del buon Dio, così si chiama il nostro primo driver, che come obiettivo ha quello di anticipare il mitico treno, che secondo gli orari di TreniThai è dato in arrivo per le 8:30.
Per fortuna, nel tragitto, tutto fila liscio e c’è il tempo anche per una passeggiata tra le bancarelle prima che la comparsa del pendolino faccia ritirare in quattro e quattr’otto tutta la mercanzia agli scattanti ambulanti.
Ripristinate le bancarelle è ora di ripartire verso Damneon Saudak, il mercato galleggiante, tra i cui canali scorrazzeremo con due long boat dotate del tipico motore di derivazione stradale abbinato ad un lungo timone al cui termine rotea minacciosa una vorace elica.
Nel caos galleggiante, contrattiamo frutta fresca e scattiamo foto cercando di schivare la selva di turisti che popola i canali. Anche se con il tempo avrà sicuramente perso parte della sua autenticità questo luogo non lascia comunque indifferenti.
Andiamo con Dio verso la nuova tappa, il parco di Erawan dove c’è modo di rinfrescarsi a dovere con un bel bagnetto al 5° livello con tanto di pescetti affamati delle pellicine dei nostri piedi sudati. Il nostro cassiere sardo, Jean, si rivela un indemoniato bagnante e comincia a tuffarsi dai gradoni incurante degli scogli acuminati che si potrebbero nascondere sott’acqua.
Quando i guardaparco ci intimano di andare ci rivestiamo e proseguiamo il nostro itinerario che prevede la conquista dell’antica capitale del Siam: Ayutthaya.
Trovato per miracolo il nostro hotel ci abbuffiamo in un ristorante tipico della zona che propone ben quattro piatti: zuppa di pollo grande spicy, zuppa di pollo grande not spicy, zuppa di pollo piccola spicy e zuppa di pollo piccola not spicy. Purtroppo i ravioli al vapore raffigurati nel menù sono finiti.
Scegliamo i piatti tra l’indecisione generale e, dato che non si servono birre nel locale, il personale ci consiglia di rivolgerci all’immancabile Seven Eleven per il beverage alcolico.
L’irrisorio conto intacca in maniera minima la cassa comune, ma ha scarsi effetti anche sullo stomaco dei più voraci che optano, senza pensarci tanto su, per una seconda cena prima di raggiungere l’albergo.
Le rovine di Ayutthaya testimoniano il passato glorioso di questi luoghi e la visita mattutina tra i vari siti offre un ottimo set per il progetto che il nostro compare ravennate Davide vuole portare a termine entro la fine del viaggio, ritrarre la Laura in 10.000 location diverse.
Quando il sole comincia a farsi troppo cocente per i nostri visi pallidi significa che è giunta l’ora di andare, un’altra tappona ci aspetta, la prossima notte dormiremo a Sukothai!

In bici a Sukothai e poi rotta verso Chiang Mai
Lasciata alle spalle Ayutthaya viaggiamo verso la tappa intermedia di Lopburi con il nostro pulmino full optional munito di sedili in pelle, aria condizionata, connessione bluetooth, impianto surround da 2.000 watt e illuminazione psichedelica.
Approfittiamo della sosta al tempio invaso dalle scimmie di Prang Sam Yod per far spulciare per bene Jean e per consentire ai nostri amici Brexit, Matache LittleLaura, di cambiare le loro sterline in una banca del luogo.
Gli impiegati sono un po’ spaesati di fronte a questa arcana valuta, tant’è che per classificarla correttamente confrontano le banconote con quelle fotocopiate nel grande manuale del giovane cambiavalute. Una volta accertato che si tratta di pound e non di euro, si procede lentamente con l’operazione che comporta la firma di un quantitativo di scartoffie degno di un mutuo ipotecario.
Completata l’operazione proseguiamo verso Sukothai sulle note di brani del cantautorato hipster italiano fornite dal nostro dj baffuto Fernet. Raggiunta la meta, la cordiale proprietaria della nostra guesthouse ci fornisce in tempi record i nostri mezzi a pedali con i quali ci fiondiamo a sbaffo all’interno del sito storico giusto in tempo per goderci il saluto del sole alle antiche rovine.
La corsa in bici ci stimola un leggero languorino che stronchiamo immediatamente con una sontuosa cena in uno dei ristoranti presenti in zona. Soliti piatti di tradizione thai con alcune derive fusion, come la pizza al curry che la nostra Alice ha il coraggio di assaggiare.
Alcuni di noi vengono positivamente impressionati dai dipinti appesi ai muri, e il dopo cena è dedicato alla contrattazione con la pittrice/pittore che, a seguito del lauto introito derivante dalle copiose vendite, ci omaggia di un giro di Hong Tong, un famoso whiskey di pessima qualità made in Thailand.
Rinvigoriti dall’alcool facciamo due passi in centro e decidiamo, con somma soddisfazione di Martimarti, di provare il famigerato massaggio Thai. Invadiamo il centro massaggi ma, dato che la manodopera scarseggia, la proprietaria è costretta a mobilitare l’intero paese con un rapido giro di telefonate e, in pochi attimi, abbiamo tutti i piedi a mollo in acqua e lime. Una volta distesi sui lettini ci gustiamo il trattamento, giusto epilogo per una giornata intensa.
Il nuovo giorno si apre con una scorribanda in bicicletta per il parco storico di Sukothai, visitiamo templi e antichi palazzi facendo mille foto alle giganti statue di buddha che ci guardano sospettose dall’alto in basso.
Continuando il nostro viaggio verso nord facciamo tappa a Lampang dove entriamo nel Wat Phra That Lampang Luang percorrendo la caratteristica scalinata dei due draghi e ci fermiamo a Lamphun dove visitiamo il Wat Phra That Hariphunchai con il suo chedi dorato che circumnavighiamo scalzi in rigoroso senso orario.
Arrivati a Chiang Mai ci rinfreschiamo un po’ e decidiamo di andare tutti assieme al Night market. Come da previsione bastano 10 metri per far perdere a Vlao le redini del gruppo che si sgretola in undici pezzi tra i venditori di chincaglierie varie rendendo inevitabile il “rompete le righe“.
A fine serata tutti, bene o male, riescono a tornare sani e salvi in albergo, l’esperienza insegna però che spiegare ai tuk tuk drivers dove si trova la Grace’s boutique house non è un’impresa facile e dal giorno dopo diventa più chiara quale sia l’utilità di portarsi sempre dietro il bigliettino da visita dell’albergo!

Doi Suthep, Masterchef Thailandia e il Trekk
Il viaggiatore di avventure è abituato ad essere itinerante, ed è a suo agio con la migrazione giornaliera da un alberghetto all’altro. Una volta preso possesso della camera posa il bagaglio in un angolo ed estrae solamente la mise per la notte e l’eventuale cambio per il giorno dopo mentre lascia tutto il resto intatto.
Dormire due notti nello stesso posto però lo manda in crisi. La smania di fare ordine, di dividere le magliette sporche da quelle pulite, le mutande usate da quelle nuove, i calzetti puzzolenti da quelli profumati, fa si che, per una strana legge della fisica, il volume dei panni inspiegabilmente lievita tanto da rendere lo zaino insufficiente a contenere di nuovo tutto.
E’ questa la sindrome dello smembramento dello zaino, che puntualmente, anche questa volta, colpisce tutto il gruppo nell’atipico soggiorno “prolungato” a Chiang Mai. Nessuno ne parla, ma già a colazione davanti al bacon&eggs o al pancake&banana, si scorge negli occhi dei pax il grosso problema che hanno lasciato irrisolto in camera.
Ma questa è una cosa che andrà risolta in tarda serata, ora è il tempo di affrontare la lunga scalinata che ci porta verso il tempio di Doi Suthep che, grazie ad un provvidenziale succo di passion fruit con tanto di semini incorporati, riusciamo a scalare senza tentennamento alcuno. Vlao non perde l’occasione di contrattare il tour leader free anche per l’ingresso al tempio e, a missione compiuta, da l’ok per la dispersione nel sito che dalla cima della collina domina la vallata.
Completata la visita, recuperiamo le scarpe e torniamo in città non prima di aver fatto una sosta al giardino delle orchidee e alla batterfly farm che, come cosa più interessante, offre un sontuoso buffet dove ci rifocilliamo a dovere.
Parte del gruppo decide di impiegare il pomeriggio per frequentare una lezione di cucina tailandese. In compagnia di una combriccola statunitense e del simpatico crucco Michael, i novelli cuochi si sono misurati con la preparazione di diversi piatti tipici, dal mitico pad thai, compagno di mille cene, alla sofisticata green curry soup, dai leggendari spring rolls al libidinoso dolce a base di sticky rice e mango.
Con l’aiuto di chef Arty, dopo aver preso confidenza con le strane verdure in vendita al mercato, gli studenti si sono riversati in un’aula degna di Masterchef Thailandia dove per tre ore hanno sminuzzato, tagliato, soffritto, spadellato, spatolato, arrotolato, rosolato ed infine impiattato le loro produzioni, prima di papparsele in una delle cene più buone dell’intero viaggio!
Un simpatica esperienza utile anche per conoscere nuovi strani ingredienti, alcuni dei quali reperibili anche in Italia cercando bene tra gli scaffali dei negozi “etnici” dei peggiori quartieri della vostra città.
Archiviata positivamente la parentesi culinaria è ora di affrontare la parte tosta del viaggio, il temibile trekking. Prima di sudare le proverbiali sette camicie però c’è anche il tempo per divertirsi un po’, una tranquilla passeggiata a dorso d’elefante e uno spassoso rafting sono l’ideale per alzare un po’ il morale della banda prima dello sforzo.
La sfida a pagaiate tra i tre equipaggi allestiti per l’occasione è senza esclusione di colpi. Ogni bassezza è lecita e, sotto questo aspetto, Davide dimostra di avere una marcia in più e merita ad honorem il remo d’oro per “essere sceso dal gommone trascinando l’imbarcazione e il resto dell’equipaggio sopra gli scogli in modo da guadagnare posizioni preziose“.
Finita la bagarre in acqua arriva l’ora del vero test fisico. La costante salita per arrivare allo sperduto villaggio collinare è selettiva, e anche qui lo spirito competitivo del gruppo viene fuori. In un primo momento sembra tutto facile per i baldi giovani del Gruppothai che si staccano e partono a spron battuto, ma alla fine, contro ogni pronostico, a festeggiare saranno i senior MariaGi e Nerino che grazie anche all’esperienza (a metà tragitto appioppano uno zaino ad un ragazzetto che saliva in motorino n.d.r) arrivano per primi al villaggio.
Dopo aver aspettato mezz’ora per recuperare la metà del gruppo che ha sbagliato strada cercando di evitare un minaccioso branco di ragazzini accompagnato dal babysitter munito di fucile, possiamo prendere possesso della nostra palafitta dal cui terrazzo ammiriamo la natura lussureggiante che ci circonda e la lontana vallata dove scorre placido il fiume su cui ci siamo sfidati all’ultimo sangue.
Dopo la cena preparata dalla nostra schizzata guida Jo, ci divertiamo a disegnare quadri astratti con le pile prima di coricarci nella nostra camerata per recuperare un po’ di forze… prima che il gallo canti…

Chiang Rai, il White Temple e tutti al mare
Vorrei sapere chi sparge in giro la voce che i galli cantano all’alba… saranno strani quelli di questo sperduto paesino, ma qui alle tre di notte è già un caos. Chi si preoccupava dei russatori molesti ora, invece, ha questi galli da pelare.
Per svegliarci, quindi, non serve il sole e ci gustiamo la colazione alle luci dell’alba. Prima di scendere a valle passeggiamo nel paesino e interagiamo con i timidi abitanti che, sta volta disarmati, ci regalano anche qualche sorriso.
La discesa è scoscesa nonché un po’ accidentata e ci conduce ad una piccola cascata, niente in confronto al cascatone di Vlao che rischia l’incolumità fisica scivolando tra due scogli accuminati.
Raggiunto il pulmino sani e salvi, archiviamo la parte naturalistica del viaggio e proseguiamo la nostra corsa verso Chiang Rai dove, con priorità assoluta, dobbiamo reperire una medicina stop pupu per Matach. Per superare le barriere linguistiche basta una buona imitazione e qualche suono onomatopeico e anche il farmacista thailandese di turno capisce al volo quello di cui abbiamo bisogno.
In questa città del nord dobbiamo assolutamente presenziare allo spettacolo suoni e luci della torre dell’orologio e lo facciamo cenando in un locale troppo turistico per i nostri standard, occasione che Nerino sfrutta alla grande per ordinare un bel piatto di spaghetti al ketchup. Prima di andare a nanna ci concediamo anche una sosta al bar dei gatti dove seduti ai tavoli rasoterra ci gustiamo un dolcetto e un té matcha mentre gli strani felini che ci circondano sembrano snobbarci alla grande.
La nuova giornata si apre con la visita al White Temple, una costruzione di epoca moderna, iniziata negli anni novanta e che, in stile Sagrada Familia, ha una prevista fine dei lavori fissata per il 2070.
Questo tempio è pieno di dettagli kitsch, come mani che sbucano dal terreno, draghi, teschi, ma offre il top al suo interno dove il visionario architetto/pittore Chalermchai Kositpipat fa incontrare magistralmente il sacro con il profano.
Buddha vs resto del mondo con tanto di scene apocalittiche ad adornare gli interni: missili, astronavi, scheletri, Bush, Bin Laden, Batman, l’Uomo Ragno, Elvis, personaggi di Matrix, Avatar e persino Pikachu.
Digerita la sbornia psichedelica passiamo al più classico Blue Temple prima di fare tappa al triangolo d’oro, il caratteristico punto in cui il fiume fa da confine tra Thailandia, Birmania e Laos.
Riusciamo ad imbarcarci su una long boat e dopo una breve navigazione sul Mekong, sbarchiamo in Laos. Dopo aver convinto la dogana a far passare Jean, nonostante il suo passaporto fotocopiato, gironzoliamo nel mercato laotiano sorseggiando grappa allo scorpione e acquistando occhiali e borse presumibilmente taroccate.
Torniamo alla nostra amata Chiang Mai, dove ormai riconosciamo anche i ratti per strada, e passiamo l’ultima sera al solito night market dove trascorriamo una bella serata sorseggiando un inimitabile Mai Lao mentre ci godiamo la musica live di gruppi rock thailandesi.
La mattina facciamo in tempo a fare un ultimo giro in un mercato, tra i banchi ricerchiamo gli ingredienti per riproporre a casa le ricette di Arty, gamberetti essiccati, noodles, Oyster sauce, e altre pozioni puzzolenti, ma alla fine facciamo solo uno stock dei mitici cucchiai da zuppa di cui non sappiamo più fare a meno.
A mezzogiorno un volo AirAsia ci porta a Krabi e da li, dopo qualche ora, siamo a Ko Lanta campo base per la parte marittima della nostra vacanza. Non ci resta che accomodarci nei nostri bungalow lato mare e studiare il da farsi…

Il mare delle Andamane, Ko Lanta e Phi Phi
Finalmente il mare… il mare delle Andamane!
Facciamo subito a prendere confidenza con Klong Nin Beach la nostra lunga spiaggia. Ci facciamo immediatamente un tuffo e poi pensiamo alla cena. Di pad thai non ne vogliamo più sentir parlare, abbiamo imparato la ricetta nel corso da masterchef e lo riproporremo a casa a suo tempo, ora siamo più attratti dal pesce!
Vlao e Fernet vanno in avanscoperta e si prendono la responsabilità di negoziare per il gruppo. Cercando tra i vari ristoranti scelgono quello il cui banco ittico ha meno mosche degli altri. Dopo una lunga trattativa con il grigliatore i due raggiungono un accordo per un menu a base di pesci dai colori strani, gamberoni e patate lesse.
E’ vero, il servizio lascia un po’ a desiderare, ma per un lutto improvviso, questa la spiegazione ufficiale, il grigliatore ha dovuto lasciare la carbonella nel momento topico e lo staff, di conseguenza, si è trovato un po’ in difficoltà. Il ritardo però ci ha fatto godere a pieno dello spettacolo del mangiatore di fuoco, un classico della riviera che ci ha allietato durante la lunga attesa.
Nel primo giorno di mare decidiamo di affittare un’imbarcazione locale, di quelle con la prua “vichinga” e la sciarpa arcobaleno intorno al collo. Il nostro equipaggio ci porta ad ammirare quattro isolette vicine a Ko Lanta e, dopo un’ora di navigazione e con le orecchie che ci fischiano, siamo pronti a vestire i panni dei palombari e con maschera e boccaglio scendiamo sotto il livello del mare in cerca della fauna locale.
Per pranzo attracchiamo a Ko Ngai e, sulla sua sabbia stile Maldive, ci rifocilliamo in attesa della visita alla spiaggia nascosta, una caletta accessibile solo percorrendo a nuoto una buia grotta lunga 80 metri la Emerald Cave.
Arrivati sul posto, seguiamo in fila indiana la nostra guida munita di torcia cercando di nuotare in avanti anche se il nostro giubbetto arancione ci permetta movimenti più goffi del solito. Sbucati in fondo al tunnel ci si para davanti una vista da cartolina siamo circondati da rocce per 360°, siamo in una specie di cratere marino accessibile solo in via subacquea. Uno spettacolo!
Torniamo alla base più affamati che mai, non abbiamo voglia di fare molta strada, ma visto che il bancopesce del nostro resort non è rassicurante, decidiamo di spostarci più a nord, in un ristorante tipico che successivamente denomineremo la topaia per ovvie ragioni. A fine pasto Vlao, contro ogni tradizione, non chiede nemmeno il tourleaderfree pur di non ritardare la procedura di evacuazione.
Dobbiamo bere per dimenticarci della cena e per questo concludiamo la serata in grande stile sorseggiando cocktail a base di litchi, passion fruit e mango ad una caratteristica festa jamaicana. Jean, in grande spolvero, crea scompiglio con la mossa del televisore e con i suoi balli improbabili rischia più volte l’incolumità prima che la serata volga lentamente al termine.
Per il secondo giorno di mare è d’obbligo soddisfare, almeno in parte, i nostri amici brexit con la visita a pipi.. fifi… paipai… insomma Phi Phi Island, che dir si voglia. Con un occhio alla cassa comune, scartiamo l’opzione motoscafo privato e decidiamo di spostarci con il primo traghetto disponibile. Sul vascello abbiamo la fortuna di incontrare un certo Pippoinzaghi che ci prenota una barchetta tutta per noi per una visita personalizzata.
Con la nostra bagnarola ci dirigiamo verso Koh Phi Phi Lee dove facciamo tappa all’inflazionatissima Maya Beach, una spiaggia tanto bella quanto affollata resa famosa dal film con Di Caprio. Nonostante tutto troviamo una spiaggetta laterale vivibile e riusciamo goderci un po’ questo luogo paradisiaco rovinato un’eccessiva popolarità. Per la via del ritorno facciamo altre soste bagno e passiamo a salutare le scimmie ammaestrate di Monkey beach osservandole mentre scolano bottiglie di coca come se niente fosse.
Risaliamo sul ferry boat che ci porta verso casa in perfetto orario per consentire a Martimarti di imbastire una sorta di beach volley a bagno maria. Fatte le squadre ci sfidiamo fino a che il sole non si tuffa nel mare come nella più bella delle cartoline.
Un’altra memorabile giornata volge al termine… cenetta in spiaggia, Singha ghiacciata e tutti pronti per le nuove avventure che ancora ci aspettano…

Ko Rok e il treno notturno
Oggi potremmo goderci la spiaggia del nostro resort, svegliarci tardi, pranzare comodi, scoprire se la piscina è dolce o salta… e invece no, dato che abbiamo fatto Ko Lanta, facciamo pure Kolantuno. E per l’occasione ci trattiamo bene, salpiamo con un super motoscafo bimotore di quelli che ci sfrecciavano affianco i giorni scorsi e ci dirigiamo verso un’isola sperduta di nome Ko Rok.
Le illustrazioni che avevamo visto nei volantini corrispondono a verità e questa volta non c’è nemmeno la folla di Phi Phi. Siamo in un vero paradiso terrestre. Ci dividiamo tra chi si trastulla in spiaggia e chi ha ancora voglia di fare snorkeling in questo mare che dal turchese arriva al blu, ci gustiamo quello che sarà il nostro ultimo giorno di relax.
Tornati alla base è ora di ricomporre le valigie che, dopo 4 notti nello stesso posto, hanno la sindrome dello smembramento dello zaino allo stadio terminale. Con qualche difficoltà riusciamo a portar via tutto tranne il pallone da beach che lasciamo in eredità ad una bambina in chador.
Ci ricompattiamo come ai vecchi tempi sul pulmino che sta volta ci porterà a Trang, ridente cittadina tailandese snodo cruciale per il treno notturno che dal sud ci condurrà alla capitale. Vlao, nel predisporre l’itinerario, non se l’è sentita di privare il gruppo del gusto di una notte su rotaia!
Mentre attendiamo che giunga l’ora della partenza gironzoliamo per il mercato e per la prima volta in tutto il viaggio facciamo conoscenza con la pioggia! Un repentino monsone ci sorprende a spasso tra le viuzze del paese. Ci rifugiamo in un negozio che vende prodotti per pasticceri ed attendiamo che l’acquazzone si plachi. Quando cominciamo a temere di perdere il treno, decidiamo di buttarci nell’acquitrino e facciamo rotta verso la stazione fermandoci solo per una sosta obbligatoria in un ghiacciatissimo Seven Eleven.
Facciamo scorta alimentare per il viaggio. Patatine salatissime, snack agrodolci scaldati al forno, l’immancabile té miele&limone e, la ciliegina sulla torta, una bottiglia del mitico Hong Tong ideale per far passare in allegria il trasferimento che ci attende, ben undici ore da pendolari sul rapido Trang-Bangkok!
Riusciamo giusto giusto a mangiare qualcosa prima che il treno parta e la nostra carrozza si trasformi repentinamente in vagone letto. Sbim, sbang, sbeng, producendo rumori atroci il capotreno apre e prepara i letti a castello, chiude le tende, spegne la luce e buonanotte ai suonatori.
Per conciliare il sonno ci scoliamo l’Hong Tong che Fernet, dato il divieto di alcolismo vigente a bordo, tiene nascosto in una busta di carta come un provetto barbone.
Facciamo cin cin e ci corichiamo… la notte passa svelta e tutto sommato comoda… fino alle sei quando il capotreno, come un secondino che sbatte il manganello sulle sbarre delle celle, fa saltare tutti giù dalle brande.
Alle nove siamo di nuovo a Bangkok, un’umidità a cui non eravamo più abituati ci assale all’uscita della stazione, i pantaloni lunghi usati per il trasferimento sono fuori luogo, andiamo in hotel a fare un rapido cambio d’abito per essere pronti alla visita alla città… l’ultimo tassello che manca al nostro viaggio!

e per finire Bangkok!
Il taxiboat dei poveri ferma a pochi passi dal nostro hotel e ne approfittiamo per avvicinarci al palazzo reale. La pioggia caduta in mattinata, trasformata in vapore acqueo dal primo sole, rende la giornata ostica anche a turisti grintosi come noi.
A complicare le cose ci pensa la security all’entrata del palazzo che applica la door selection in maniera inflessibile sbattendo la porta in faccia a Matach, Vlao e Davide ed ai loro osceni pantaloncini. Espulsi senza appello, i tre sono costretti ad andare alla boutique appositamente situata davanti all’ingresso per accaparrarsi dei pantaloni alla bragalona con le tipiche fantasie a base di elefanti e palme, ideali per superare lo sbarramento.
Il palazzo è pieno di stranieri e soprattutto di tailandesi, vestiti di nero, che vanno in processione a salutare il sovrano morto ormai da mesi. Non siamo motivati come loro e riusciamo a portare a termine la visita solo grazie ai provvidenziali ventilatori che ogni tanto ci regalano un po’ di aria tiepida.
Una volta giunta l’ora di pranzo, nonostante il clima, non rinunciamo ad una delle ultime abbuffate, ma più che altro è tutta una scusa per stare un po’ all’ombra a sorseggiare qualcosa di fresco, ne abbiamo proprio bisogno.
Visitiamo Wat Pho con il suo buddha sdraiato e poi ci disperdiamo per la città. Ci ritroviamo in albergo verso l’ora di cena, affittiamo 3 tuk tuk ed iniziamo una corsa all’ultimo sangue per raggiungere in meno tempo possibile la nostra meta, il night market di Khao Sang Road.
I nostri autisti, o meglio piloti, si sfidano sorpassandosi a destra e a sinistra. Escogitando traiettorie impensabili, affrontano le curve a tutto gas e, senza nemmeno una collisione, riescono a portarci sani e salvi a destino.
Scegliamo un bel ristorantino per la cena, che rinomineremo Dal Ratòn per le solite ovvie ragioni, e nell’after-dinner decidiamo di concederci una passeggiata nel mercato a luci rosse di Patpong che raggiungiamo con un’altra adrenalinica corsa in tuk tuk.
La via dello shopping è affollatissima, tra venditori di orologi falsi, bar che somministrano “heavy drink senza documenti” e cartelli che reclamizzano ping pong ed altri sport minori rischiamo di perderci più volte.
Archiviata la curiosa nottata, non ci resta che spendere il nostro ultimo giorno a Bangkok all’insegna degli acquisti compulsivi.
Capitanati da Martimarti, che si sente a casa sua tra le fermate dello Sky train, ci rechiamo al mercato domenicale di Chatuchak dove una sconfinata serie di bancarelle ci attende offrendoci qualsiasi tipo di mercanzia. Dobbiamo spendere i nostri ultimi bath e abbiamo l’imbarazzo della scelta, c’è chi investe tutto il cucuzzaro in strane leccornie ancora inassaggiate, c’è chi cerca disperatamente di fare gli ultimi inutili regali e c’è chi, saggiamente, preferisce mettere da parte le ultime pepite per non restare senza cena.
I chilometri tra le bancarelle si fanno sentire e ci costringono ad un pit stop al parco dove ci stravacchiamo un po’ sulle stuoie sapientemente affittate da Fernet e Alice. Recuperate un po’ le energie ci spostiamo di nuovo con la metro sopraelevata e ci rinfreschiamo dentro ad un mega centro commerciale multipiano.
Ci concediamo un’ultima cena nello stesso posto in cui ci siamo conosciuti 17 giorni fa… una vita sembra passata… in così poco tempo quante cose abbiamo fatto!
Brindiamo con l’ultima Chang ad un viaggio intenso che ci resterà nella memoria e che riusciremo a mettere bene a fuoco solo a casa… riguardando le foto insieme ad amici invitati, loro malgrado, a testare i frutti del mitico corso di cucina thai…

Condividi questo articolo se ti è piaciuto...