La via della seta: Khiva, Bukhara, Samarkanda
località: khiva, bukhara, samarcanda
stato: uzbekistan (uz)
Data inizio viaggio:
martedì 8 marzo 2005
Data fine viaggio:
lunedì 14 marzo 2005
Khiva
Arriviamo, accompagnati da una stupenda giornata di sole, l’otto di marzo, nel giorno della festa delle donne che qui in Uzbekistan è tanto importante da essere un giorno festivo. - L’emancipazione femminile si è affermata - e da quella svolta epocale è consuetudine bruciare mucchi di cador …certo tutt’altra realtà rispetto il confinante Afghanistan. Aggirandoci tra la città incontreremo tante donne, soprattutto giovani, vestite in maniera elegante e tutte desiderose di farsi fotografare in nostra compagnia. Dato il periodo di bassa stagione ci sono pochi turisti e di conseguenza siamo spesso fermi per accontentarle. Le bimbe portano il tiubetejka, il tipico copricapo ornato di monetine. Il nostro giro avviene esclusivamente dentro le mura della città vecchia, ossia dell’Ichon-Qala. I bambini che ci vivono girano per le vie incustoditi senza alcun controllo da parte degli adulti. Si divertono nelle maniere più disparate, ma il gioco preferito sembra essere quello di farsi scivolare giù dalle mura, come se queste fossero un grande scivolo. Non appena vedono un turista gli corrono incontro, i più grandi per vendere qualcosa, i più piccoli per chiedere bon bon e pen!
- Khiva vecchia è una città nella città - basti pensare che gli abitanti possono sposarsi solo tra loro. Infatti, chi sposa una persona non residente all’interno delle mura è costretto a lasciare la città ed andare a vivere al di fuori. La città vecchia è un museo a cielo aperto! Non è stata penetrata dall’architettura tipica del regime sovietico rimanendo così un’autentica città centro asiatica. Ci addentriamo, quindi, nell’Ichon-Qala percorrendo i suoi vicoli tortuosi per tutto il giorno, visitando minareti, madrase, palazzi e moschee fino al calar del sole quando sulla sommità del minareto d’Islom-Huja, da dove si gode una vista superba, Khiva, alla luce del tramonto, sembra davvero la più bella città del mondo.
Bukhara
Prima di entrare in città visitiamo il complesso di Chor-Bakr i cui due imponenti edifici, la moschea del venerdì e la khanaka, si elevano visibili già da lontano. Una sorta di anteprima di quanto ci proporrà Bukhara.
Ecco quanro scrissero i fratelli Polo della città.
“[…] si arriva a una città chiamata Bukhara, che è grande e nobile molto. Quivi è un mercato ove fanno capo tutte le costose merci dell’India e della Cina, con molte pietre preziose, con molti tessuti grossi e buoni, vi sono inoltre abbondanti spezie. C’è insomma in quel luogo un tale via vai di merci che è una cosa meravigliosa a vedersi. In ogni giorno di mercato tutte le piazze sono riboccanti di uomini. Si spaccia ogni cosa. I mercanti sono numerosi e le merci abbondanti. […]”
Bukhara è rimasta la stessa di quel tempo!
Gironzolando per la città vecchia ci s’imbatte in un vero e proprio groviglio di vicoli commerciali e minibazar. Nei caratteristici mercati coperti (i Taqi) minuscole botteghe s’aprono in angusti spazi al cui interno gli artigiani lavorano in penombra. Nei cortili, d’incomparabile bellezza delle madrase, oltre ai piccoli negozi, si svolgono giornalieri mercati. In tutti gli angoli delle piacevoli melodie orientali si diffondono, da chissà dove, e accompagnano i nostri convulsi acquisti per comprare uno dei famosi tappeti Bukhara. Aggirandoci tra un bazar e una madrasa, tra una piazza e una moschea, siamo rincorsi di continuo da bambini, monelli come i ragazzi della Via Pal, buttati anzitempo nel vortice della vita affinché imparino il lavoro. Ci corrono dietro fino a quando non concludono qualche vendita, appioppandoci qualsiasi cianfrusaglia. Dal punto di vista architettonico la zona più bella è quella della piazza dove si trovano il minareto di Kalon, la moschea di Kalon e la madrasa di Mir-i-Arab, quest’ultima, attiva ancor oggi, è un’importante scuola coranica. Proseguendo la visita giungiamo alla fortezza che colpisce per le sue alte mura, ma il cui interno è ormai in rovina. Infine, alle prigioni, (Zindon) non si può fare a meno di indignarsi di fronte alle foto delle torture subite dai prigionieri e raccapricciarsi alla vista dell’orrendo pozzo infestato di scarafaggi e di cimici allevate appositamente per torturare i prigionieri. In questo pozzo furono rinchiusi e languirono Stoddart e Conolly.
Facciamo ritorno sulla piazza di Lyab-Hauz caratteristica per l’enorme vasca d’acqua che vi si trova e per i tre palazzi che vi s’innalzano: la madrasa di Nadir Divanbegi, la khanaka e la madrasa di Kukeldash. Presso la statua del saggio folle degli anziani giocano a domino, l’atmosfera e tale e quale a quella di un’aggregazione di nostri anziani quando giocano alle bocce. Siamo arrivati da appena un giorno e due persone ci fermano per strada chiedendoci di Cris. Tutta Bukhara, data l’assenza di turisti, sa della nostra presenza in città. Specie dopo aver girato tutti i negozi del centro in cerca dei viveri e degli ingredienti giusti per far assaporare, per quanto possibile, una vera cena italiana. Indispensabili la pasta e il sugo, ma questi li abbiamo portati direttamente da casa. L’hotel Amelia, di cui siamo ospiti, diventa almeno per una sera il miglior ristorante italiano, se non l’unico, di tutta Bukhara. Ci fanno compagnia Shuhrat, il suo amico Mansour e Back, il proprietario dell’hotel. Bach non è il suo vero nome, ma è così ribattezzato da noi per via del suo impronunciabile nome uzbeko. Conosce in qualche maniera l’italiano, almeno quello che ha imparato guardando Rai sat.
Samarcanda
La sua mitica risonanza, resa immortale da poeti, scrittori e viaggiatori, è forse unica al mondo. Samarcanda richiama alla mente la “via della seta” come nessun’altra città asiatica e più di ogni altra città al mondo richiama alla mente il viaggio.
La fama della città è legata a quella di Timur lo zoppo, cioè Tamerlano, il quale nacque a Kech, a pochi chilometri da Samarcanda, nell’aprile del 1336. Tamerlano, poi, nel 1369, la scelse come capitale del suo regno.
Quando arriviamo ci assale una sensazione strana, quella di visitare una città leggendaria, ma nota solo per la magia del suo nome e in realtà del tutto sconosciuta. Dal primo impatto s’intuisce subito però che Samarcanda non è più quella mitica di un tempo. Piove a dirotto decidiamo così di tralasciare la visita della città a domani sperando in un miglioramento del tempo. Shuhrat ci accompagna a visitare una fabbrica di tappeti. Le operaie che vi lavorano sono giovanissime hanno i capelli raccolti e alcune un foulard sul capo. Si destreggiano tra fili invisibili con una velocità impressionante e durante la tessitura stanno inginocchiate davanti ai telai, chiacchierano e scherzano tanto che sembra si trovino qui per piacere e non per dovere.
Il giorno seguente la giornata uggiosa non offusca affatto il “Registan”. Piazza Registan è superba con tre dei suoi quattro lati occupati dalle madrase d’Ulug-Beg, di Shir Dar e Tilla-Kari. La simmetria delle facciate e l’eleganza delle proporzioni, insieme alle mattonelle smaltate verdi e blu, creano un’apoteosi di colori. I motivi geometrici sono solo parzialmente interrotti dai mosaici della facciata della madrasa di Shir Dar su cui è rappresentato un animale, una sorta di leone. Ovunque, poi, motivi decorativi riproducono frasi in caratteri arabi, raffinati mosaici e arabeschi.
Samarcanda è il Registan e il Registan è Samarcanda, i fragori della leggendaria città sono rinchiusi tutti qui.
Ripercorrere la “via della seta” agli inizi del terzo millennio significa ritornare con la memoria alle formicolanti città di Khiva, Bukhara, Samarcanda, ai costumi e agli usi di popoli diversi, ma soprattutto a riassaporare la cultura del regno di Tamerlano.
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