Introduzione
martedì 17 agosto 2010
Sono di nuovo in partenza per un altro tour, stavolta la destinazione sono l’Armenia e la Georgia, due paesi che si trovano in Asia, non molto distanti dall’Italia.
L’itinerario prevede di girare prima l’Armenia, poi la Georgia, di spingerci fino al confine con l’Iran e poi con la Russia, un itinerario che punta alla scoperta di quel periodo storiche che è stato il medioevo, caratteristico per i suoi monasteri/fortezze dove si è sviluppata l’arte della scrittura, della miniatura, della scultura. Un percorso che si presenta affascinate dal punto di vista storico.
Seguendo la mia lista del viaggiatore preparo gli immancabili “accessori” per il tour; la reflex digitale (Nikon DX40, una macchina compatta (Nikon Coolpix S570) con tre schede di riserva, il mio inseparabile Moleskine® (il blocco per gli appunti), delle penne, il passaporto, il programma di viaggio, le guide e non per ultimi gli indispensabili biglietti aerei.
Per il viaggio ho scelto le guide:
• Georgia, Armenia e Azerbaigian edita da Lonely Planet-EDT – 3° edizione italiana – novembre 2008;
• Armenia edita da Polaris – Maggio 2010 .
Entrambe le guide le reputo interessanti per l’elenco dei luoghi da visitare, oltre che fornire molte “notizie utili” per il viaggio.
Nel diario farò riferimento ai luoghi da me visitati indicando la pagina della guida Loney Planey. Esempio: Yerevan (LP pag.), in modo che chi volesse compiere approfondimenti trovi i riferimenti necessari.
La partenza
martedì 17 agosto 2010
Rieccomi in partenza, questa volta la destinazione è ai confini dell’Europa, o meglio in Asia in un mondo che per me si rivelerà completamente sconosciuto e ricco di incredibili, affascinanti e meravigliose sorprese.
Caricate le valigie sull’auto di Laura, insieme ad Ambrogina e Luigia, ci dirigiamo all’aeroporto di Malpensa dove nel primo pomeriggio il gruppo si riunisce all’imbarco del volo; ritrovo con estremo piacere vecchi compagni di viaggio: Luigi, Vanna, Francesca, Augusto, Mariella, Sandro, Luisella e non ultimo Don Maurizio.
Iniziamo ad imbarcare le valigie, le operazioni sono lente, come se il computer dell’aeroporto non volesse farci salire a bordo; le hostess devono inserire tutti i dati manualmente, l’imbarco richiede oltre un’ora e nel frattempo chiacchieriamo e salutiamo chi, venuto ad accompagnarci, torna a casa. Finalmente mi consegnano il biglietto: posto n. 17, oggi è il 17 agosto, sicuramente questo numero porterà fortuna!
Si avvicina l’ora della partenza, saliti sull’aeromobile prendiamo posto ed in breve decolliamo; sorvolando le Alpi ci dirigiamo verso Vienna, dove abbiamo la coincidenza l’aereo per Yerevan la capitale dell’Armenia. Atterriamo in Austria a sera inoltrata, l’aeroporto è semideserto, i negozi sono chiusi e solo qualche bar è aperto. Il sonno comincia a fare la sua comparsa e la stanchezza è visibile sul viso, ma l’aria fresca della sera porta refrigerio dopo la calura della giornata; poi decolliamo verso la nostra meta che raggiungiamo a notte fonda. Giunti a destinazione prima di ritirare le valigie transitiamo per la dogana per il visto sui passaporti, ma per pagare il visto è necessario cambiare il soldi; fila allo sportello del cambio, fila allo sportello per il visto ed il doganiere non ha il resto, quindi altra fila per cambiare la cartamoneta con taglio più piccolo, poi altra fila per il visto e finalmente giungo all’ultima coda per attraversare la dogana aeroportuale. Mentre aspetto mi sorge una domanda: ma la valigia che fine ha fatto? Visto il tempo trascorso comincio a temere di non rivedere il bagaglio. Ma fatti pochi passi trovo il nastro trasportatore con tutte le valigie del gruppo e penso: “Nessuno le ha prese? Come sono rispettosi qui”. Poco dopo ecco arrivare la risposta: due guardie doganali, con aria seria e severa fermano tutti coloro che transitano verso l’uscita chiedendo il biglietto aereo e solo dopo aver controllato che il numero della valigia corrisponda con il ticket del biglietto sul loro volto compare un sorriso e si viene gentilmente avviati verso l’uscita. Nell’atrio dell’aeroporto troviamo la nostra guida, una ragazza il cui nome è Irenia Arsen.
Caricate le valigie sul pullman, nel pieno della notte, partiamo verso la città che sorge a breve distanza. Percorriamo una strada ai cui lati sorgono locali notturni e casinò; malgrado siano le cinque della mattina i locali sono aperti ed all’esterno sono posteggiate autovetture moderne ed eleganti. Man mano che ci avviciniamo alla città noto che molte vie sono al buio e solo alcuni edifici o monumenti sono illuminati. Gli edifici che scorgo appaiono massicci ed imponenti: lo stile sovietico ci da il benvenuto.
Giungiamo in Piazza della Repubblica (LP 102); a detta di Irenia una delle dieci più belle piazze del mondo. Sono le 6,20 è ancora buio e non ho la possibilità di verificare la bellezza annunciata da Irenia; il sonno si fa sentire e scaricate le valigie ci rechiamo in camera per un riposino prima di affrontare la giornata. Ci addormentiamo che il sole sta sorgendo, la luce è fermata dalle scure e pesanti tende della finestra.
Parte prima
mercoledì 18 agosto 2010
La sveglia suona alle 9,00; malgrado il sonno, preparo la mia attrezzatura da viaggiatore; il Moleskine, la biro, la macchina foto. La colazione, accompagnata da un forte caffè, serve ad iniziare la giornata, poi iniziamo il tour di Yerevan, la capitale dell’Armenia. La città costruita su colline è dominata dall’imponenza del Monte Ararat, il monte sacro agli armeni, ma la foschia impedisce la visione della montagna e lo sguardo si perde nel grigio/marrone della canicola cittadina. Percorrendo i viali della città noto edifici in stile sovietico, che con il loro grigiore e datati come costruzione mostrano i loro anni, mentre i recenti edifici moderni con il loro sfarzo creano un forte contrasto. Attraversando la città ci dirigiamo verso la periferia arrivando in cima ad una collina dove sorge l’imponente statua bronzea della Madre Armenia (LP 164), che, edificata dai sovietici, domina la città. Giungendo sul piazzale, mentre posteggiamo, veniamo accolti da agenti di polizia che ci invitano ad allontanarci dalla zona. Non comprendiamo il perché e solo dopo che Irenia ha chiesto spiegazioni e capiamo che è per un motivo di sicurezza: è in arrivo il Presidente della Repubblica per una cerimonia, quindi è vietata la visita alla statua ed ai musei del luogo. Approfittiamo dei pochi minuti a nostra disposizione per compiere un giro del piazzale costellato di reperti militari russi della seconda guerra mondiale; mezzi ben tenuti, verniciati a nuovo come ostentazione costante della potenza dell’ex impero sovietico.
I bordi della piazza sono delimitati da una balaustra da dove possiamo ammirare la città in tutta la sua estensione, noto lo splendore della parte vecchia e la tristezza di quella moderna: infatti la città inizialmente era costruita in tufo rosa che infondeva un piacevole colore alle abitazioni, poi negli ultimi decenni del secolo scorso, il tufo rosa è stato sostituito con quello bianco e nero che, secondo l’intenzione degli ideatori, voleva dare più un’impressione di grandezza e d’immensità. Ma oggi vista dall’alto con questo cielo inquinato, la città mostra un paesaggio triste che si mescola con grigiore dell’inquinamento atmosferico.
Lasciamo la statua e scendendo di poche decine di metri, sul fianco della collina, arriviamo al Matenadaran, il museo dei manoscritti e dei codici minati (LP 161). Sul frontale del museo, appena sotto l’ingresso, vi è la statua di Mesrop Mashtots (un monaco, teologo e linguista, inventore dell’alfabeto armeno) e di un suo discepolo. Sulla facciata del museo sono collocate sei statue di dotti armeni fra cui spicca quella di Mkhiter Gosh il monaco che inventò il primo codice penale armeno.
Mentre Irenia sta illustrando le figure delle statue sentiamo un rumore sordo e fragoroso, un imponente elicottero si sta avvicinando a bassa quota, atterra sul piazzale della statua Madre Armenia e pochi minuti dopo riprende il volo continuando a girare nei cielo: il Presidente è arrivato alla cerimonia.
Accediamo all’interno dell’immenso museo, dove le dimensioni sproporzionate dell’arte sovietica appaiono decorate, ma appesantite, da marmi, colonne e rivestimenti in porfido di colore rosso o nero. Alle pareti un immenso mosaico raffigura la storica battaglia armena del IV sec. Accedendo alle sale posso ammirare alcuni manoscritti; la struttura ne conserva decine di migliaia. Quelli esposti, sono conservati in armadi con semplici teche di vetro, con accanto un cartellino riportante la nazione di provenienza ed il periodo di realizzazione. Ammiro incantato manoscritti che vanno dal VIII sec. al XIV sec. provenienti da varie parti del mondo. Vi sono testi in armeno, in latino, in italiano, in ebraico, spartiti musicali. Le tematiche trattate sono le più varie: religione, poesia, matematica, filosofia, erboristeria, medicina.
Una teca contiene una raccolta di copertine per vangelo, realizzate in argento cesellato a mano ed abbellito con pietre preziose, il periodo di realizzazione va dal 1200 al 1700.
Posso ammirare dei libri di medicina scritti dal 1200 al 1600, un trattato sui numeri poligonali del 1129, una mappa geografica ed una mappa cosmologica del 1500, un trattato di matematica del 1200, un manoscritto dell’Etiopia del 1600 e decine di rotoli perfettamente conservati.
La visita al museo è una grande finestra su un passato che vide l’Armenia centro culturale dell’intera area geografica, ma a causa di invasioni e di guerre questo movimento culturale e religioso si è fermato per secoli; concetto che avrò modo di approfondire nei giorni prossimi.
Colgo l’opportunità di fare un salto nel tempo, di ripercorrere velocemente l’affascinante storia di quello strumento di cui oggi a volte facciamo un uso smisurato tanto è comune: la carta. Gli studiosi ne determinano l’invenzione nella Cina del II sec.: la parte interna della corteccia di gelso veniva macerata e battuta fino a farne una polpa pastosa di fibre che diluita in acqua, distesa su un setaccio, veniva fatta essiccare; ricoperta di una pellicola di amido di riso che la impermeabilizza, la carta era così pronta per l’uso.
Il segreto della sua fabbricazione nel VIII sec. trapela fino a Samarcanda e poi nel mondo arabo. In Europa furono proprio gli arabi che nel X sec. l’introdussero prima in Spagna e poi in Italia dove trovò l’ampia diffusione che noi conosciamo.
Nel XII sec. l'Italia diventò il maggiore produttore di carta, veniva esportata in molti paesi europei. Per rendere la carta meno assorbente gli arabi usavano colle di origine vegetale, ma veniva aggredita da muffe e si degradava rapidamente. Usando colle di origine animale, gli italiani migliorarono molto la qualità della carta e la sua durata raggiunse numerosi secoli. Un importante centro italiano per la fabbricazione della carta era Fabriano, dove fu inventata la filigrana. In circa tre secoli, dall'Italia la tecnica della fabbricazione della carta si diffuse in tutta l'Europa e poi nelle Americhe.
All'inizio, gli arabi e gli europei fabbricavano la carta partendo da stracci. Man mano che il tempo passava, la richiesta di carta aumentava rapidamente, tanto che ad un certo punto, gli stracci non bastarono più. Nella ricerca di un sostituto degli stracci, solo nel XVI sec., un francese, che aveva osservato le vespe mentre costruivano il loro nido, volle provare ad usare il legno per fabbricare la carta. Le prove che vennero fatte ebbero esito positivo e da allora il legno è diventato la principale materia prima per la fabbricazione della carta.
Ma non dimentichiamo che un altro supporto storicamente interessante per i manoscritti: la pergamena (membrana o vellum in latino). Essa prende nome dalla città di Pergamo (nell'Asia minore) dove, secondo la tradizione riferita da Plinio il Vecchio, sarebbe stata inventata attorno al II secolo a.C., in sostituzione del papiro. Pergamo aveva una grande biblioteca che rivaleggiava con la famosa biblioteca di Alessandria. Quando l’Egitto smise di esportare il papiro, a causa della concorrenza culturale fra il sovrano egiziano Tolomeo V ed il re di Pergamo Eumene II (196-158 a.C.), Pergamo reagì inventando la pergamena.
Nel mondo antico la pergamena non ebbe comunque grande diffusione, a causa della concorrenza del papiro, prodotto molto più abbondante e meno costoso. Soltanto a partire dal V sec. la diffusione della pergamena sembrò aumentare fino a diventare il principale supporto scrittorio durante il Medioevo, prima di essere sostituita definitivamente dalla carta.
La pergamena, può essere prodotta con pelli di pecora, di capra o di vitello opportunamente depilate e fatte asciugare sotto tensione. La pelle dell’animale, dopo una fase di “rinverdimento“, viene immersa in un calcinaio (soluzione di acqua e calce) al fine di depilarla. Il pergamenato usando una lama non tagliente allonta
Parte seconda
mercoledì 18 agosto 2010
Durante questa fase si provvede anche all’eliminazione dei carnicci residui del lato carne tramite un coltello a mezza luna. Una volta asciutta la pergamena può essere staccata dal telaio per essere utilizzata oppure raffinata tramite pietra pomice (per renderla più levigata e ridurre le differenze fra il “lato pelo”e il “lato carne” più liscio e morbido).
Ora nel museo, osservando questi capolavori, mi pongo un’altra domanda: come venivano creati i manoscritti all’interno dei monasteri? Siccome non trovo indicazioni in merito, posso far riferimento a quanto succedeva nei monasteri europei visto il periodo, pensando che la tecnica non sia molto differente. A capo dello scrptorium era l’armarios, il monaco anziano che organizzava la suddivisione del lavoro. Si occupava degli approvvigionamenti, controllava i tempi e i modi di esecuzione, forse un predecessore dell’industriale e moderno thailorismo e fordismo. Assolveva inoltre il ruolo di bibliotecario.
Lo scriba, copiava o scriveva sotto dettatura, poggiando un quaderno di fogli di pergamena o foglio di carta piegato in quattro su un leggio inclinato, posizione che gli consentiva di tenere opportunamente inclinata la penna, solitamente d’oca. Poi i vari fogli scritti venivano legati insieme, tagliati ed il testo, illustrato da un miniatore.
I pigmenti erano chimici come il minio o il bianco di piombo, vegetali come l’indaco, animali come la porpora, o minerali come il vermiglione e il lapislazzuli e venivano legati con tuorlo d’uovo e albume, gomma arabica, colle animali perché aderissero alla superficie preparata della pergamena.
Ma ritorniamo alla nostra visita al museo, mentre giriamo per le sale, viste le tante bandiere esposte, Irenia ci spiega il simbolo della bandiera armena, fatta di tre colori disposti in modo orizzontale:
• Rosso è il colore del sangue
• Blu è il colore del cielo, della libertà
• Arancione è il colore dell’albicocca, rappresenta il lavoro nei campi.
Lasciando il museo dei manoscritti ripercorriamo i viali della città ed in breve giungiamo presso una collina: non comprendo cosa stiamo andando a vedere, non appare nessuna costruzione, nessun edificio; solo un muro di contenimento delimita il posteggio. Lascio l’autobus e percorro incuriosito la scalinata che salendo ci conduce in cima alla collina ai limiti di un boschetto di piccoli pini con delle targhe: sono gli “alberi dei giusti”. Ovvero i pini donati da paesi o da personalità internazionali che avendo riconosciuto il genocidio armeno hanno espresso pietà: siamo giunti al Memoriale del Genocidio (LP 165).
Terminati i pini inizia un viale lastricato di granito che termina in piazzale dove sorge una torre piramidale ed un monumento, mentre in prossimità del bosco dei giusti è collocato il museo; una struttura realizzata in granito nero e grigio che si sviluppa nel sottosuolo della collina e racchiude una parte etnografica ed una fotografica. Nelle ampie sale collocate a circolo, all’inizio sono esposte fotografie dell’inizio del ‘900 delle singole regioni dell’Armenia antecedenti il genocidio che mostrano usi e costumi; poi le immagini cambiano radicalmente e compaiono i soprusi, le violenze, le miserie, la carneficina che causò la morte di migliaia di armeni tra il 1915 ed il 1922. Le immagini sono davvero sconvolgenti e non sono seconde a quanto si può vedere nei tristi ma più famosi campi di concentramento della seconda guerra mondiale.
Frastornati lasciamo il museo, non mi aspettavo di vedere tanta brutalità, ma soprattutto mi ha colpito la non conoscenza della storia del popolo armeno e del genocidio subito prima dai turchi e poi dai russi. Altrettanto mi ha colpito il silenzio dell’Europa e dell’Italia sia ai tempi del genocidio sia nei molti anni successivi, ma soprattutto l’assenza di tutto ciò dai libri di storia occidentali.
Uscendo ci incamminiamo sul viale di granito costeggiato da un prato verde ben tenuto, sulla sommità della collina troviamo la piramide, osservandola da vicino mi accorgo è attraversata da un taglio verticale che simboleggia il genocidio e la tragedia dell’Armenia. Poco distante sorge un monumento composto da 12 spicchi che rappresentano le 12 regioni armene, spicchi posizionati in modo circolare al cui centro brucia la fiaccola perenne a memoria dei caduti del genocidio. Momento toccante è la preghiera recitata in quel luogo dove il colore grigio del granito si confonde con il grigiore del cielo; qui il silenzio regna sovrano come se volesse manifestare incessantemente il richiamo alla memoria di quanto accaduto.
Abbiamo trascorso l’intera mattinata girando per la città ed è giunta l’ora del pranzo; ci rechiamo in un ristorante vicino al mausoleo; il luogo è caratteristico: siamo all’aperto seduti sotto una tettoia, divisi in due gruppi pranziamo all’ombra della copertura lignea. Ci servono lavash (un pane cotto al forno, sottile, dal sapore squisito che accompagna tutti i piatti), formaggio di capra, salsa di noci, salsa di pollo e funghi, insalata verde, zuppa con riso, patate e coriandolo.
Il coriandolo, una pianta erbacea annuale che è molto utilizzata in cucina nei paesi asiatici, in Italia viene chiamata anche prezzemolo cinese. Le proprietà terapeutiche sono tantissime: in erboristeria è conosciuto, apprezzato ed utilizzato come stimolante, digestivo, antinfiammatorio, antisettico, oltre che eliminatorio dei gas intestinali e riduttore del mal di testa. Qui viene usato per condire insalate, minestre, carni, ma non da tutti è gradito per il suo aroma, il sapore speziato ed amaro. Erba tanto amata dagli armeni e dai gregoriani, che per molti di noi si è rivelata un vero e proprio incubo, perché, sempre onnipresente, rendeva, per chi non la gradisce, il cibo immangiabile, costringendo i malcapitati a pane ed acqua, formaggio e frutta.
Terminato il pranzo, seppur colto da sonno arretrato proseguiamo il giro pomeridiano per la città, la sosta è al museo degli Erebuni (LP 166) ai piedi della collina dove anticamente sorgeva l’antica fortezza di Yerevan. Posta lungo quella via commerciale che univa l’oriente con l’occidente, il nord con il sud, che nel tempo diverrà famosa con il nome di “Via della Seta”. Anche il museo, forse inutile dirlo, è costruito in stile sovietico, racchiude una raccolta di quanto è stato rinvenuto all’interno delle antiche mura; sono esposti oggettistica, qualche gioiello, arnesi da lavoro in legno, macine in sasso, utensili, vasellame. A mio modesto parere il museo merita la visita solo per le imponenti sculture che si trovano nella prima sala e per il plastico della città fortificata.
La stanchezza è sempre più pesante in tutti noi, quindi decidiamo di rientrare in albergo; qualche ora di riposo, poi una bella e rigenerante doccia ed alle 19,30 siamo pronti per la cena. Il ristorante è poco lontano dall’albergo e lo raggiungiamo velocemente, si chiama Mimino, dal nome di un film comico armeno. L’interno molto caratteristico presenta travi a vista e quadri di vita agricola dell’Armenia. Ci servono verdure crude, pomodoro e cetrioli, insalata in un contenitore di grano cotto al forno, formaggio, pane; segue un involtino di pane ripieno di carne, zuppa con carne di manzo; il dolce fatto con farina e cosparso di miele.
Terminata la cena rientriamo in albergo ed in piazza della Repubblica troviamo la fontana illuminata con uno spettacolo di suoni, luci e giochi d’acqua; quale migliore occasione per gustare questa seducente rappresentazione? Avvicinandomi alla fontana lo sguardo si perde nei giochi dell’acqua e la mente viene rapita dai brani musicali di vario genere. Durante lo show non potevo perdere l’occasione di scattare qualche foto in notturna. Rientrato in albergo, visto che il sonno era passato, l’immancabile partita a burraco. Vado a nanna in cerca
Parte prima
giovedì 19 agosto 2010
Alle 8,00 la sveglia suona, la giornata inizia, colazione, poi alle 9,00 partenza; oggi gireremo nei sobborghi della capitale.
La prima sosta è la chiesa di Santa Hripsime (LP 184), un edificio in tufo marrone del 618 d.C. Superata la cinta, troviamo l’edificio dedicato alla Santa, eretto dopo il martirio della monaca Hripsime che rifiutò di divenire moglie del re Tiridate III che accecato dalla rabbia fece trucidare la monaca insieme alle sue 35 compagne.
Santa Hripsime è considerata una delle chiese più antiche dell’Armenia ed è rinomata per la sua raffinata architettura nello stile classico armeno caratterizzato da pianta centrale e cupola. Nei secoli successivi alla struttura originale, adiacente all’ingresso principale, è stato aggiunto il gavit, un portale aperto sui tre lati, caratteristico delle chiese armene. Con la sua struttura assolveva diversi compiti:
• durante le funzioni era i luogo di ricovero dei catecumeni e di chi non poteva accedere alle funzioni religiose;
• era il luogo di sepoltura di persone importanti e questa consuetudine, serviva a ricordare che malgrado l’importanza terrena si ritorna cenere: un importante monito all’umiltà durante la vita terrena.
Entrando nell’edificio posso ammirare come la luce solare, entrando attraverso le finestre, proietta sul pavimento una croce.
Lasciamo Santa Hripsime, risaliamo sul pullman e ci dirigiamo verso Echmiadzin (LP 183) con l’omonima cattedrale, sede del Chatholicos armeno Garegin II; il capo spirituale della Chiesa Apostolica Armena.
La chiesa principale è stata costruita nel 301 d.C. da San Gregorio l’Illuminatore; distrutta, venne ricostruita nel 480 ed oggi presenta una pianta a croce, il gavit del 1648 sorregge la torre campanaria a tre livelli, interamente e finemente scolpita. Dal portale principale accediamo all’interno squisitamente affrescato; nel soffitto si vede il giardino orientale pieno di rose e cherubini alati mentre, illuminate dal sole, le parti dorate degli affreschi risaltano, infondendo emozioni fantastiche. Molto interessante sarebbe il tesoro, che purtroppo non visitiamo, ma la giuda che consulto lo descrive ricco di cimeli importanti quali la Sacra Lancia, utilizzata per trafiggere il costato di Gesù in Croce, e vari frammenti dell’Arca di Noè che la tradizione vuole si trovi sulle pendici del Monte Ararat.
Lasciamo Echmiadzin dirigendoci verso la chiesa di Santa Gayane, (LP 184) edificata nel 630 d.C.; oggi è un monastero abitato da suore, la chiesa è dedicata a Santa Gayane, suora decapitata da Tiriade III insieme ad Hripsime. Il complesso è circondato da mura e l’edificio presenta un porticato con affreschi di pregevole fattura, ma che, lasciati all’incuria, hanno bisogno di restauri per non andare irrimediabilmente persi. Il convento attualmente è abitato da monache e abbiamo l’occasione di vederle con i loro lunghi vestiti grigi ed il capo coperto con un panno blu scuro.
Proseguiamo il giro della storiche costruzioni religiose con Zvartnost (LP 184) dove possiamo visitare le rovine della cattedrale, un’imponente costruzione di tre piani fatta erigere nel 643 d.C. ma abbattuta nel 930 da un devastante terremoto che rase al suolo tutta la zona. Solo dopo il 1900 furono eseguiti degli scavi archeologici e furono riportati alla luce oltre i resti della cattedrale, anche il palazzo del Katkolicos ed i resti di una cantina con le anfore interrate dove veniva tenuto il vino.
La chiesa ha una pianta a croce greca con cinque ingressi, l’esterno era un poligono a 32 facciate con 32 finestre che visto da lontano doveva apparire circolare. La struttura s’innalzava per tre piani, sempre mantenendo la stessa caratteristica poligonale e culminava con una cupola circolare; le colonne ed gli ornamenti esterni della chiesa erano tutte scolpite ed oggi, tra i resti, è possibile ammirare delle fini sculture raffiguranti melograni, uva, aquile oltre a numerosi capitelli e fregi decorativi.
Sul piazzale antistante la cattedrale, alcuni venditori espongono disegni raffiguranti la cattedrale originale; pensando ad una simile struttura eretta in quell’epoca, comprendo perché l’imperatore di Bisanzio, transitando per l’Armenia, restò folgorato da tanta bellezza e volle che una costruzione identica fosse realizzata a Costantinopoli. Per la cronaca, ciò non avvenne perché l’architetto morì durante il viaggio verso Costantinopoli.
Girando per il sito archeologico posso ammirare i resti del palazzo del Katkolicos composto da stanze private, sale da pranzo, refettorio e perfino i bagni termali, mentre a poca distanza sorgeva la cantina dove sono visibili dei torchi in pietra per la macinazione dell’uva e le anfore in terracotta interrate che servivano per la conservazione del vino per averlo sempre fresco.
Terminata la visita del sito, ci dirigiamo verso la città e vista l’ora effettuiamo un giro al mercato di Pah Shuka. Il mercato coperto è all’interno di un capannone con il tetto a volta, che ricorda la classica struttura dei mercati sovietici, le bancarelle sono in muratura e su di esse esposti in modo ordinato e preciso, quasi fossero delle opere d’arte, verdura, frutta, dolci, pesce, carne, cervella, fegato, coda di bovino. Su molti banchi vi è frutta essiccata; prugne, albicocche; ne assaggio una e rimango colpito per la pienezza del gusto, per l’intenso sapore e per la dolcezza: visto che sono all’inizio del viaggio, è davvero un peccato che non le possa acquistare per portare a casa; meritano veramente d’essere degustate. Sono in bella mostra anche confezioni di dolci la cui composizione crea un piacevole effetto scenografico; è davvero dilettevole bighellonare per questo mercato che nella semplicità dei prodotti mostra la capacità degli armeni di sfruttare al meglio ciò che la natura produce.
Terminata la visita al mercato, mentre aspettiamo il pullman, visto che sono nelle immediate vicinanze della Moschea blu (LP 163), decido di fare una veloce visita. Entrato nel cortile mi ritrovo proiettato in una Madrasa, la scuola coranica. E’ come compiere un salto nel tempo, nell’Asia centrale, a Samarcanda (Vedi il mio diario Usbekistan e Turkmenistan). Le pareti del cortile sono bianche con decorazioni verdi, azzurre e blu. Al centro del cortile la moschea è coperta dai ponteggi del restauro cui è sottoposta, ma tra i teli intravedo i fantastici colori della ceramica smaltata che la riveste.
Uscendo dalla madrasa vedo che il pullman è arrivato, devo salire velocemente perché l’automezzo non può sostare per molto tempo sul viale intensamente trafficato; ripartiamo dirigendoci al ristorante. Compiamo un breve giro per la città dove osservo mille sfaccettature di questa realtà difficilmente immaginabile in Italia; siamo veramente sullo spartiacque tra l’Europa e l’Asia, qui le culture si mischiano, la fisionomia delle persone evidenzia tratti somatici caratteristici; la gente è ordinata, orgogliosa della propria nazione, si sente partecipe della società e del proprio stile di vita. Ma purtroppo emergono i segni della dominazione sovietica che hanno lasciato un grande ed impressionante vuoto sia in termini di iniziativa privata che nella vivacità mentale; girando per la città, a volte, s’incontrano persone il cui sguardo sembra perdersi nel tempo; come se fossero in perenne attesa di qualcuno che dica loro cosa fare. Mi colpisce anche la mancanza di negozi di fine artigianato locale, l’Armenia che decenni fa era nota per gli orafi, per i cesellatori ed altre forme di raffinato artigianato, ora dopo il genocidio e la dominazione sovietica si manifesta questo sconfinato vuoto artistico e culturale.
Parte seconda
giovedì 19 agosto 2010
Giungiamo al ristorante, un locale caratteristico con pareti di tufo; ci servono antipasti di verdura, formaggio filato, zuppa di carote e pomodori con pane, spiedini di pollo, melanzane, zucchine, contorno di riso, infine come dolce dei proffiterol.
Il pomeriggio è dedicato allo shopping; più che per acquisti vago per la città osservando usi e costumi della popolazione; è dilettevole esaminare i venditori di frutta fresca e frutta secca che camminando lungo i viali tentano di vendere a chiunque incontrano la loro mercanzia. I negozi sono vari e la città si sta arricchendo di catene straniere; noto anche alcuni noti marchi italiani di abbigliamento. Il centro della città è in ricostruzione, l’edificazione di nuovi palazzi crea uno stridente contrasto con le vecchie abitazioni, molte di queste in puro stile sovietico; tutte uguali e senza nessuna decorazione esterna, senza balconi ed a volte sproporzionate nelle dimensioni.
Girando per la città arriva l’ora di cena e ci fermiamo in un locale caratteristico: insalata verde, insalata di funghi con menta, melanzane con funghi, focaccia con formaggio, zuppa di fagioli, funghi con formaggio, caffè turco o tisana. Mentre ceniamo siamo accompagnati da un’orchestrina composta da voce, tamburo, flauto e chitarra che ci fa ascoltare musica tradizionale armena.
Durante il rientro in albergo riscontro che la città è presidiata da ingenti forze di polizia; Irenia ci spiega che è in corso la visita del Presidente della Russia. La città è completamente in fervore, i viali sono addobbati con bandiere russe ed armene, la Piazza della Repubblica è un unico trambusto di forze dell’ordine che si muovono in tutte le direzioni. Visto il gran caos, decidiamo di rientrare in albergo e di dedicarci chi al burraco, chi alla lettura. Al termine della serata rientrando in camera, posso ascoltare un TG in italiano.
Parte prima
venerdì 20 agosto 2010
Giornata di sole, il cielo azzurro illumina la grande Piazza della Repubblica dove si affaccia il nostro albergo; è davvero entusiasmante muoverci col bel tempo al contrario del grigiore che ha accompagnato le precedenti giornate; carichi di buon umore partiamo verso Garni.
In periferia della città, arrivati sulle colline circostanti, il pullman si ferma e Irenia c’invita scendere: siamo giunti all’Arco di Charenz (LP 220) un monumento dedicato all’omonimo letterato armeno, eretto nel luogo dove lo scrittore era solito stazionare per comporre le sue opere. Affascinante luogo da cui ammirare, in lontananza, l’imponente e maestoso Monte Ararat che con la sua innevata cima domina la sottostante e sterminata pianura armena; quasi una presenza costante e protettrice. Con questa visione comincio a comprendere il motivo che lega il popolo armeno a questa fantastica montagna. Scatto qualche foto all’arco ed al panorama, ponendo attenzione ad inquadrare la montagna.
Riprendiamo il viaggio sulle tortuose e non sempre ben asfaltate strade armene, dove le buche sono veramente una difficoltà per l’autista ed un tormento per i viaggiatori e malgrado la comodità del pullman qualche colpo lo prendiamo. Ed è proprio a seguito di una buca posta su uno stretto tornante che il pullman sbandando fece cadere il mio zaino.
La regione nei pressi di Yerevan si presenta collinare, con terreno aspro e brullo, i pascoli sono secchi, le abitazioni sono di colore grigioverde chiaro con finestre bianche e tetti di lamiera zincata o di eternit, espressione dello stile sovietico. La maggior parte delle automobili che osservo sono Lada (una marca sovietica), spesso datate. La zona è ricca di piante e nei giardini delle abitazioni vedo piante di pere, uva, noci, fichi. Anche gli orti sono coltivati e ben tenuti. Lungo le strade, adiacenti alle abitazioni vi sono improvvisate bancarelle di chi vende il prodotto delle proprie piante da frutto o del proprio orto e molto raramente dei banchetti dove vendono sigarette, olio per motori, benzina.
Durante il viaggio Irenia che ci parla della vita in Armenia; il ciclo scolastico è articolato nella scuola dell’obbligo più l’università ed attualmente nel paese i giovani laureati sono il 95% del bacino il che facilita l’occupazione. Ci parla anche degli stipendi mensili, un operaio guadagna 100.000 dram armeni, un insegnante, facendo ripetizione oltre la scuola, guadagna circa 70.000 dram, un medico 200.000, la pensione statale è di 40.000 dram. Gli stipendi dei politici risultano essere i più elevati ma non sa quantificare quanto. Mentre ci spiega queste cose l’autista ha imboccato una strada che percorre un fondovalle e muovendosi fra canyon d’incanto coronati da verdi montagne giungiamo al monastero di Gherard (LP 180). Scendo dal pullman e vedendo questo incantevole edificio scavato parzialmente nella roccia e dotato di possenti mura difensive, afferro la macchina fotografica per inquadrare ma … l’obiettivo è bloccato, il diaframma e lo zoom sono bloccati, che succede? A seguito della caduta dello zaino, l’obiettivo si è disassato e risulta inutilizzabile. Con mia somma disperazione cerco di trovare delle soluzioni, ma è inutile, l’obiettivo è proprio bloccato. Non mi perdo d’animo; avvertito da un sesto senso avevo deciso di portare una macchina fotografica compatta, quindi utilizzerò quella.
Il monastero, parzialmente scavato nella roccia, è sormontato dalle ripide e verticali pareti della montagna, interamente circondato da alte mura difensive è inserto in un contesto naturale bellissimo. L’origine della struttura risale al IV sec. quando i monaci che vivevano nelle grotte innalzarono il monastero, successivamente venne realizzata una prima chiesa anch’essa in parte scavata nella roccia. Il nome Gherard significa “il monastero della lancia” e deriva dal fatto che la punta della lancia oggi conservata a Echmiadzin era in origine in questo monastero. La principale chiesa oggi visibile fu costruita nel 1215 e presenta una pianta quadrata sormontata da una cupola in stile armeno. Tutt’intorno alla chiesa si aprono innumerevoli grotte, posso osservare delle belle incisioni poste sulle pareti adiacenti alle grotte, mentre gli edifici di culto presentano croci scolpite di elevata qualità che appaiono come raffinate opere di cesellatura dalle mani di un esperto orefice.
Il monastero attualmente è abitato da monaci che si dedicano ad innumerevoli e svariate attività: mentre effettuiamo la visita sono impegnati nella raccolta e nel trasporto del miele dagli alveari alle stanze interne del monastero.
Usciti dalle mura giriamo intorno al complesso per ammirarne l’armonia e scopriamo che poco distante, incastonato nella roccia della montagna, scorre un torrente e che i rami le piante che crescono sulle sue rive sono ricoperte di striscioline colorate: sono le preghiere che i fedeli appendono; ricordano le preghiere che i tibetani fissano alle corde e che sventolando permettono al vento di trasportale.
Lasciamo il monastero e recandoci al posteggio vediamo un mercatino, le bancarelle espongono prodotti di artigianato religioso (croci, rosari, immagini sacre) e artigianato locale e prodotti commestibili; fotografo delle coloratissime ghirlande e alcuni banchi dove viene venduta una focaccia con insegne religiose. La torta è un dolce che viene preparato con farina bianca ed è ripieno di miele; a pranzo, avrò l’opportunità di gustarne la squisitezza.
Lasciamo il monastero di Gherard e percorrendo la provincia di Kotayk, ci dirigiamo verso il tempio pagano di Garni (LP 179) dove giungiamo in breve, attraversiamo un piccolo paese dove il pullman passa di stretta misura fra le abitazioni e in un piccolo piazzale ci fermiamo in prossimità di un muro di cinta costruito con grandi massi. Superato il divisorio accediamo alla zona archeologica dove inizia un viale lastricato abbellito da giardini con fiori multicolori ed alla fine del viale, imponente, alto, slanciato si erge il tempio greco-romano. Costruito nel i sec. da Tiriade I di Armenia, fu distrutto da un terremoto nel XVII sec. ma nel 1979 è stato facilmente ricostruito in quanto gli archeologi hanno rinvenuto quasi tutti i pezzi: a differenza di altri siti cui le pietre sono state riutilizzate per varie costruzioni, qui la popolazione aveva lasciato tutto in loco.
Il tempio sorge su quella che originariamente, nel VII a.C., era una fortezza e successivamente, per la stupenda posizione che da sulla valle del fiume Azat, divenne luogo di culto.
L’edificio è edificato con roccia basaltica ed appare nella sua imponenza con i colori grigio e marrone caratteristici della pietra locale. Presenta finissimi capitelli ed ornamenti in stile greco, è dedicato al dio Mitra (sole) che, culto originario dell’India, attraverso la Persia, l’Armenia, la Grecia, giunse a Roma. Il locale principale del tempio era dedicato al culto dell’acqua ed a tal fine nel pavimento si apre una cavità che veniva riempita d’acqua, nel luogo in cui il 22 marzo il sole vi si rifletteva.
Adiacente al tempio si vedono le rovine di una chiesa e di alcuni palazzi, mentre a poca distanza sorgono le stupende terme romaniche con i pavimenti in mosaico fatti con pietre naturali di 15 colori diversi.
Noto che i viali sono lastricati con blocchi di basalto ed hanno una forma curiosa, quasi esagonale. Ipotizzo che possa essere del basalto colonnare lavorato ed in effetti, poco dopo quando mi affaccio a vedere la sottostante vallata trovo la risposta: sul lato opposto noto degli imponenti affioramenti di basalto colonnare. Il basalto colonnare è una roccia di origine eruttiva è formato da magma che si è solidificato velocemente e si è fratturato lungo le linee di minor energia dando origine alla caratteristica forma a canne d’organo; da qui il nome colonnare.
Parte seconda
venerdì 20 agosto 2010
Lasciamo il tempio di Garni con la relativa fortezza ed a piedi ci dirigiamo per il pranzo verso un’abitazione caratteristica armena. Accediamo nell’ampio cortile dove troviamo un giardino con alte piante che danno ombra, a ridosso del muro di cinta è predisposto un terrazzo coperto e attrezzato con tavoli e sedie, mentre alle pareti sono appesi tappeti di fattura armena. In prossimità vi è un edificio dov’è collocato un camino con la griglia per cucinare, accanto il caratteristico forno dove viene preparato e cotto il lavash, l’ottimo pane armeno.
Il forno, interrato, consiste semplicemente in una grande otre di terracotta dove al centro viene acceso il fuoco che riscalda tutta la superficie, il pane una volta impastato con farina bianca ed acqua, viene appoggiato sulle pareti per la cottura. Qualche minuto per parte ed il lavash è pronto per essere portato in tavola, ottimo con formaggi e verdure. Ed in effetti il pranzo inizia con insalata, formaggio di capra, olive, fagiolini, melanzane, cetrioli e pomodori. Arriva la carne: maiale cotto al forno accompagnato da cipolle e finocchio; davvero morbido e dal sapore squisito. Il dolce è la torta che alla mattina avevo visto al monastero, è calda, fresca, il miele farcisce completamente la torta, la farina è inzuppata di questo dolce nettare, è davvero ottima, si scioglie in bocca rendendo piacevolissima la degustazione; infine il classico caffè turco.
Lasciamo Garni e ripercorrendo le vallate, valicando le colline ritorniamo a Yerevan dove sostiamo per visitare l’imponente e recente chiesa di San Gregorio (LP 164). Il clima caldo ed afoso del pomeriggio ci dà il benvenuto in città; appena scendiamo dal pullman rimpiangiamo il pur caldo, cocente, ma asciutto sole della mattinata; con la canicola visitiamo l’enorme chiesa che sorge in cima ad una collina. Mentre stiamo facendo una foto di gruppo vediamo arrivare una sposa; ma è forse mai possibile perder l’occasione di assistere ad un matrimonio? Poco dopo Irenia si trova impegnata ad illustrare il rito del matrimonio secondo la religione armena: un rituale fatto di gestualità risalenti a tradizioni remote.
La religione Apostolica Armena è da considerarsi come caratteristica in quanto la Chiesa Armena vanta una tradizione antichissima, l’Armenia è considerata la prima nazione al mondo, nel 301, ad aver adottato il cristianesimo come religione ufficiale. La prima testimonianza della religione cristiana in Armenia, risale al I sec. quando venne predicata da San Bartolomeo e San Taddeo, due dei dodici apostoli; da qui il nome di Chiesa Apostolica Armena.
L’Armenia era esterna all’Impero Romano e quando fu convocato il Concilio di Calcedonia, nel 451, l’Armenia impegnata in un conflitto locale non vi prese parte e non aderì neppure alle decisioni del Concilio stesso, allontanandosi dai dettami di quella che diverrà la Chiesa Romana.
Lasciamo la chiesa di San Gregorio e ci dirigiamo al Museo Statale di Storia Armena (LP 165). La visita all’imponente museo inizia dalle stanze del periodo paleolitico, dove sono visibili numerosi ed interessantissimi reperti fra i quali noto con stupore delle punta di freccia di ossidiana e di quarzo di rocca. Nelle sale ripercorriamo la millenaria storia del paese e ho l’opportunità di ammirare gioielli, armi, oggettistica lignea e di ossidiana dell’età del bronzo e dell’età del ferro. Incantevoli gioielli del XI sec a.C., poi collane bracciali, anelli del periodo medievale. Ammiro meravigliato incantevoli ceramiche policrome vetrificate con finissime decorazioni con animali, con esseri umani e movimenti geometrici. Resto affascinato nell’osservare dei vasi di terracotta che finemente traforati e poi vetrificati sono dei veri capolavori di minuziosa manualità e raffinatezza. Contemplo monete d’oro, miniature, la sedia del Patriarca del XV sec., armi ottomane, gioielli in argento con finissime filigrane. Arriviamo così alla sala dei costumi tradizionali armeni, gli indumenti esposti sono suddivisi per regione e noto come cambino nelle forme e nei colori, eppure i vestiti hanno una cosa in comune: i colori, con il rosso di base abbinato al blu per i vestiti della festa, mentre per lavorare nei campi venivano utilizzati indumenti di colore giallo. Interessante è la sezione dedicata ai copricapo ed alle cinture maschili e femminili. Come singolari sono i gioielli che posizionati su varie parti dell’abbigliamento e del cappello, ciondolando servivano ad allontanare il male ed il malocchio.
Altre sale sono dedicate ai tappeti. Di grande interesse è la spiegazione di Irenia sui colori utilizzati nella realizzazione dei tappeti, dell’abbigliamento e degli accessori: il blu significa purezza, il rosso fertilità, mente il verde rappresenta la natura.
In una parte del museo tramite un percorso fotografico ripercorrono la storia del 1900, vedo foto dell’impero russo e poi porcellane decorate, oggetti tradizionali e suppellettili vari, vasi in ambra e madreperla, piatti in rame, portafortuna in legno, curiosi stampi per decorare le porte, infine delle uova pasquali decorate con cherubini e serafini.
Mentre mi appresto ad uscire dal museo un manufatto attira la mia attenzione: collocata su una parete vi è una croce di basalto finemente scolpita (il khatchkar). Irenia mi spiega che questa croce è stata scolpita a mano da un monaco e che una croce gemella è ancora presente al monastero di Goshavank che visiteremo nei prossimi giorni. Resto colpito da tanto lavoro certosino e da tale finissima lavorazione che pare un tessuto a trama intrecciata.
Lasciamo il museo che sorge in Piazza della Repubblica proprio di fronte al nostro albergo: nell’attraversare la piazza noto la sua estensione e, tornandomi in mente le parole di Irenia appena giunti a Yerevan (una delle più belle piazze del mondo), penso invece che sia una delle più ampie piazze del mondo.
Rientrato in albergo sistemo gli appunti della giornata e faccio veder la macchina fotografica a Gianfranco per un suo parere: l’obiettivo è irrimediabilmente bloccato, quindi dovrò fotografare solo con la compatta. Un vero peccato, ma meno male che ho la seconda macchina foto, altrimenti potevo davvero dire addio al servizio fotografico.
Per cena ci rechiamo a piedi al ristorante che sorge a poca distanza dall’albergo ed è ubicato nella parte vecchia della città. Nel locale, moderno, raffinato e ben curato ci servono verdure, zuppa con polpette di manzo, trota con grano bollito, lenticchie, pesca calda farcita con frutta secca.
Avendo scoperto che è il compleanno di Pinuccia, a sorpresa la festeggiamo con una candelina sulla pesca e con uno spumante locale.
Al termine della serata, tranquillamente rientriamo in albergo.
Parte prima
sabato 21 agosto 2010
Sveglia alle 7,00, colazione ed alle 8,00 caricate le valigie abbandoniamo Yerevan dirigendoci verso il monastero di Khor Virap che sorge a circa 30 km a sud della capitale, ai confini con la Turchia. Lasciata la brulla periferia della capitale, percorriamo la fertile pianura che offre un paesaggio completamente diverso da quello visto ieri ed ammiro nidi di cicogne, campi coltivati a mais, a vite ad ortaggi. Ad un tratto la comparsa del Monte Ararat ci avverte che ci stiamo avvicinando alla meta, ed arriviamo al monastero di Khor Virap (LP 187) che sorge su una collina che domina la fertile pianura coltivata ed è sormontato dall’imponente ed affascinante monte che innalzandosi con la sua cima perennemente innevata fino ai 5.165 mt. s.l.m. è il simbolo dell’Armenia.
Nella località esiste un sito archeologico, dislocato su sette colline, la cui fondazione risale al II sec. a.C. dove sorgevano il luogo di culto, la casa reale e l’acropoli. Attualmente Khor Virap è il più noto luogo religioso della regione dell’Ararat e forse il più fotografato edificio dell’Armenia; luogo molto ricco sia dal punto di vista storico che dal punto di vista religioso. Costruito inizialmente come carcere, divenne importante per la prigionia di San Gregorio l’Illuminatore che, a seguito della sua azione di diffusione del cristianesimo, fu incarcerato per dodici anni in un pozzo profondo sei metri. Fu liberato, a seguito di una visione avuta dalla sorella di Tiridade III perché guarisse il re dalla licantropia, malattia che colpì il regnate dopo l’uccisione di Hrispime (vedi pag. 16). Il sovrano guarito, non solo si convertì al cristianesimo, ma permise a San Gregorio, divenuto il primo Katholikos, di costruire chiese cristiane sopra i templi pagani e di diffondere la nuova religione e, come detto, il 301 vede l’Armenia essere il primo paese ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale.
Ma ritorniamo alla visita del monastero: lasciato il pullman posteggiato alla base della collina, velocemente raggiungiamo l’esterno della cinta difensiva, dove attraverso un portale di legno accediamo all’area sacra. Khor Virap significa “pozzo profondo”; il complesso presenta edifici di vari periodi, i primi risalenti al VI sec mentre la chiesa dedicata alla Santa Madre di Dio, risale al XVII sec. In una piccola chiesetta è presente il pozzo dove fu incarcerato San Gregorio l’Illuminatore; accedo al piccolo edificio e a destra dell’altare vi è l’apertura che conduce al pozzo; una scala in alluminio posta verticalmente scende per 6 metri. Approfittando di un attimo dove la calca dei turisti sembra dissolversi, scendo nel pozzo; sul fondo pozzo non vi è nessuna illuminazione e l’aria è calda ed umida; decido di risalire velocemente.
Girando per il monastero ci soffermiamo sul muro di cinta per fare delle foto ricordo con lo sfondo dell’imponente Ararat e poi, osservando il panorama, noto che la verde pianura è disseminata di torri di guardia; siamo ai confini con la Turchia, essendo la situazione politica tra la Turchia e l’Armenia molto tesa, Irenia ci sconsiglia vivamente di visitare il vicino sito archeologico di Astashat onde evitare la suscettibilità delle guardie di frontiera. Mi soffermo a guardare la zona di confine; sono a poche decine di metri da quella frontiera che per decenni e non molti anni fa era la linea di confine tra il blocco sovietico e quello dei paesi della Nato. Il Monte Ararat, quando ancora la tecnologia militare satellitare non era sviluppata come oggi, era costellato di basi militari della Nato che avevano la funzione di sorvegliare il territorio; qui iniziava l’immensa Unione Sovietica e pure questa zona di confine era disseminata di basi militari; paiono tempi lontani, epoche passate, ma sto parlando di pochi anni fa; oggi la situazione permane calda, frutto delle storiche e datate tensioni fra Turchia ed Armenia.
Giro tranquillamente per il monastero osservando la bella chiesa con le sue sculture, lo stupendo frontale, gli edifici laterali, il fornito negozio di souvenir dove si può acquistare oggettistica pregevole. Infine partiamo per la prossima meta.
Allontanandoci da Khor Virap costeggiamo verdi campi coltivati ad angurie e meloni. Da quest’angolazione gioisco della vista del Monte Ararat e del Piccolo Ararat che sorge sul fianco, quasi un genitore ed un figlio che con grande amore sorvegliano il nostro viaggio che procede tranquillo nella verde e coltivata pianura.
Durante il viaggio attraversiamo una città, un tempo noto polo dell’industria metallurgica dell’impero sovietico, oggi la miniera di rame è la sola grande industria mineraria dell’Armenia intera. Percorriamo qualche decina di chilometri finché cominciamo a costeggiare quella che era un’imponente ed estesa fonderia per il ferro ed oggi mostra solo lo scheletro abbandonato del grande polo industriale.
Lasciando la verde e fertile pianura ci dirigiamo verso le montagne ed appena iniziano le colline, attraversiamo una zona rinomata per la produzione del vino: all’esterno delle abitazioni si vedono delle bottiglie e bottiglioni pieni di vino; simbolo che in quel luogo è possibile acquistarne. Incuriosito chiedo ad Irenia se quello esposto è vino vero: mi dice che è acqua colorata o vino andato in aceto. Comunque è veramente una bel modo per fare della pubblicità: un tavolino con appoggiate bottiglie, ben visibile anche da lontano.
Proseguendo la salita incontriamo un cartello indica la frontiera con la Turchia; siamo nella regione di Vayots Dzor. Mentre avanziamo il paesaggio diventa brullo, la terra incolta; costeggiamo montagne le cui cime sono disseminate di caserme e postazioni militari; la tensione con la Turchia si mostra anche nel paesaggio.
Percorrendo il fondovalle costeggiamo irte pareti di roccia il cui colore cambia secondo la composizione minerale, da nera a grigia, a rossa. Infine addentrandoci in una stretta gola scavata dal fiume Amaghu, circondata da imponenti montagne con roccia di colore rosso vivo, per la presenza di ferro, arriviamo al monastero di Noravank (Nuovo Monastero) (LP 214), che appare appollaiato su un fianco della montagna.
Ci fermiamo e, a piedi, percorriamo gli ultimi metri verso il monastero e qui, come dal nulla, spunta all’improvviso, fra le piante, la sagoma slanciata della chiesa di Santa Madre di Dio. Quando arriviamo in prossimità delle mura, riunito il gruppo, entriamo visitare il complesso religioso. La prima chiesa che appare, in tutta la sua magnificenza è la chiesa di Santa Madre di Dio con le facciate ricche di bassorilievi con finissime decorazioni, poi ci dirigiamo verso le mura perimetrali che danno sulla gola; qui la sensazione d’essere in un nido d’aquila è palpabile, una posizione dominante ed inespugnabile; veramente una collocazione strategica.
Mentre Irenia ci illustra la storia del monastero, scatto qualche foto al paesaggio ed ai bassorilievi. Accediamo alla chiesa di San Karepat costruita nel 1227, nel periodo di dominazione mongola, lo si evince dalle sembianze delle visi scolpiti nel basso rilievo presente sul timpano d’entrata: le figure presentano occhi a mandorla, caratteristici delle popolazioni asiatiche. Le sculture sono colorate di rosso ed Irenia ci spiega che è il “rosso Armeno”, il Vordan Karmn, ottenuto da uno scarafaggio indigeno caratteristico della valle dell’Ararat.
Adiacente alla chiesa di San Karapet, sorge la chiesa di San Gregorio dove sono custodite le tombe di monaci e di alcuni principi.
Ritorniamo poi verso la chiesa di Santa Madre di Dio che illuminata dal sole appare in tutta la sua magnificenza mostrando le finezze delle sculture poste sulle pareti esterne.
Parte seconda
sabato 21 agosto 2010
La chiesa, edificata su due piani, ospita al piano inferiore il mausoleo della famiglia principesca Oebelian, mentre al piano superiore, raggiungibile solo attraverso due strette e ripide scale poste in facciata, vi è la chiesa vera e propria. Bellissima da osservare è la cupola che tutt’ora presenta, nel tamburo, una struttura slanciata ricca di colonne e capitelli.
Terminata la visita al monastero, prima di andare al ristorante, la sosta nel negozio di souvenir dove si acquistano prodotti artigianali. Usciti trovato il ristorante ci fermiamo per il pranzo; verdure crude, formaggio, bietole, yogurt, farro bollito, pollo al forno, erbette saltate (condite con menta e prezzemolo), ci portano del vino, curiosamente servito in bottiglie della Coca-Cola.
Dopo il pranzo riprendiamo il nostro viaggio, lasciamo la rossa vallata, ridiscendiamo sul fondovalle dirigendoci verso la frontiera con l’Iran. Col passare dei chilometri, il paesaggio muta nuovamente aspetto, da montagne ripide e brulle ora ci troviamo circondati da terreni con dolci pendii, pascoli e campi. La vista si perde nelle estesissime colline che stiamo percorrendo, coltivate a grano che appena raccolto lascia al suolo la paglia illuminata dal sole, che rende il paesaggio fiabesco con il suo color oro.
Man mano che procediamo, il traffico pesante sulla strada aumenta sensibilmente; ci stiamo avvicinando al confine con l’Iran; uno dei pochi valichi per il passaggio delle derrate alimentari e non; l’Armenia non avendo sbocchi sul mare deve far transitare tutto via terra.
Ad un tratto ci fermiamo, dobbiamo cambiare mezzo di trasporto in quanto il pullman non può procedere sulla strada che conduce al monastero di Tatev. Prima di salire sui pulmini, l’autista molto gentilmente ci prepara un caffè, poi, saliti a bordo, partiamo lasciando immediatamente la statale ben asfaltata per procedere su strade semi asfaltate che ci portano nel cuore di un’estesa vallata. Dopo qualche chilometro giungiamo presso un paese minerario; le case sono sempre in stile sovietico, grigio verde con finestre bianche e tetti in lamiera zincata o in eternit e l’insieme dà l’impressione di essere un cantiere piuttosto che un villaggio. Proseguiamo sulla strada sterrata facendo ben attenzione a non aprire i finestrini per evitare di dover letteralmente mangiare polvere, sopportando la calura che regna all’interno del furgone, ad un tratto ci fermiamo: davanti a noi la strada è sbarrata da alcune ruspe che stanno lavorando. Irenia scende a parlare con gli operai e ci riferisce che a seguito di alcuni crolli, stanno allargando la strada, ma fra poco potremo transitare. Fermo sul bordo della carreggiata osservo la strada che dobbiamo percorrere che si sviluppa sul pendio della montagna fino a raggiungere il fondovalle per poi risalire sulla montagna opposta per sparire in prossimità dell’altopiano sito di fronte a noi. Sotto il caldo sole ed immersi nella polvere del cantiere attendiamo fiduciosi che ci facciano passare, ed in effetti dopo quasi un’ora possiamo risalire sui pulmini e proseguire verso il monastero che sorge ai margini dell’impressionante gola del Vorotan. Giungiamo sull’altipiano dove troviamo il villaggio costruito attorno al monastero di Tatev (LP 223).
La struttura fu costruita iniziando dal IX sec. e nei secoli è divenuto un importante centro, infatti nel XIII sec. appartenevano al monastero ben 680 villaggi e divenne un importante e rinomato luogo di studio. Arriviamo nei pressi dell’imponente muro di cinta dove, abbandonati i pulmini iniziamo la visita del complesso. La porta d’ingresso sorge in un punto facilmente difendibile dagli attacchi. Entrando troviamo la mastodontica chiesa di San Pietro e Paolo che edificata in pietra grigia presenta il gavit finemente decorato. All’interno troviamo un altare addobbato e preparato per una cerimonia religiosa ed infatti poco dopo appare un monaco che celebrerà la funzione. L’edificio pur essendo spoglio mostra la sua architettura slanciata, semplice, in cui la luce che entra dalle strette finestre, crea affascinanti giochi luminosi.
Lateralmente alla chiesa sorgeva la rinomata biblioteca che fu distrutta dai mongoli, mentre conteneva oltre 15.000 volumi fra manoscritti e rotoli. Alle pareti dove appoggiavano gli scaffali della biblioteca, sono tutt’ora visibili gli incavi scavati nella pietra per supportare le mensole dei testi. Appena oltre la biblioteca sorge la chiesa di San Gregorio, una struttura semplice illuminata dalla luce che filtra attraverso finestre crociformi. Nel cortile si trova il Gavazan, una stele in pietre sormontate, alta 15 metri che serviva da sismografo per i terremoti. Essendo una zona sismica la stele oscillando avvertiva del terremoto in corso; la leggenda vuole che molti stranieri si siano spaventati nel veder oscillare questi enormi blocchi di pietra che malgrado i terremoti subiti non sono mai crollati; un grande manufatto della cultura e dell’arte dello scalpellino armeno.
Visitiamo i locali rimasti agibili dopo il devastante terremoto del 1931; il refettorio, la cucina con i suoi tradizionali forni per la cottura del pane, poi compiamo un giro sulle mura esterne e quando ci affacciamo verso il fondovalle veniamo letteralmente attratti dall’impressionante vuoto che si apre sotto di noi. Siamo nel punto più alto delle mura che danno sul fondovalle; qui il salto verticale è di qualche centinaio di metri e proprio in questo punto, i mongoli, gettarono nel vuoto i monaci e gli abitanti dei villaggi: una vera e propria carneficina.
Terminata la visita di questo magnifico e molto trascurato monastero, ripresi i pulmini ripercorriamo la strada sterrata fino a giungere nel fondovalle, dove in prossimità del ponte del Diavolo ci fermiamo a vedere l’imponente orrido. Vicino al fiume vi sono delle vasche sulfuree naturali, adatte per un rigenerante bagno, arrivando in prossimità delle vasche indicate dalla guida, le trovo affollate di persone che comodamente si stanno riposando sorseggiando birra.
Il tramonto ci raggiunge quando siamo ancora nel fondovalle e solo allora iniziamo a percorrere la strada del rientro mentre il buio della notte velocemente cala. Mentre risaliamo la montagna posso vedere bene i piloni della funivia in costruzione; una ditta svizzera sta realizzando questo impianto, che praticamente viaggia orizzontalmente; l’opera dovrebbe entrare in funzione a fine 2010 con cabine da 25 persone ed un tempo di percorrenza di 11 minuti, ciò farà risparmiare ore di viaggio, con discese e salite, su strade sterrate. La funivia collegherà il villaggio dei minatori con il villaggio di Tavev; forse sarà un’occasione per procedere al restauro di questo monastero edificato in una posizione incantevole.
La strada del rientro sembra molto più lunga che all’andata, siamo impolverati, spossati dal caldo, sudati e stanchi. Finalmente arriviamo alla statale e prendendo il pullman ci dirigiamo verso Sisian (PL 218), dove ci fermeremo per la notte.
Arriviamo nella struttura alberghiera alle 21,15, l’ambiente è semplice e carino. Ci sediamo per la cena; affettato, melanzane farcite, formaggio, insalata russa, zuppa con patate e carne, riso bollito, frutta. Sono le 23 quando accendo il cellulare per inviare un sms in Italia. Ora è proprio l’ora di una doccia rigenerante e poi di una bella dormita.
Parte prima
domenica 22 agosto 2010
Abbiamo trascorso la notte con la finestra aperta per ascoltare il piacevole rumore della fontana posta nella sottostante piazza, suono che ha cullato il sonno notturno. Alla mattina, guardando dalle finestre veniamo accolti da un cielo grigio e da un clima ventoso; questi colori rendono ancora più cupi i già tristi edifici della cittadina che rispettano anch’essi il classico stile sovietico. Resto abbastanza sbalordito da questa monotonia delle costruzioni, quasi che, terminato il periodo sovietico, dal 1991 tutto si sia inesorabilmente fermato. Ho davvero la sensazione di viaggiare a ritroso nel tempo, di essere in una dimensione completamente diversa da quella cui sono abituato in Italia ed in altri paesi, è davvero un mondo diverso.
Lasciamo la città e percorrendo colline coltivate a grano, in breve arriviamo al sito archeologico di Zorats Karen (LP 219) lo Stonehenge armeno; è un grande complesso dell’età del bronzo e dell’età della pietra e contiene più di 220 stele monumentali e costruzioni megalitiche quali tombe reali e tumuli. Il sito si estende su un’area di sette ettari, la fila più lunga di pietre è lunga oltre 250 metri. L’origine e l’uso sono ancora sconosciuti, ma pare che sia stato un osservatorio astronomico. Pietre simili si trovano in altre zone dell’Armenia; nella regione di Shirake e nella zona del Lago Sevan. Sono tutte pietre di basalto e ciascuna è alta dai due ai tre metri, il cui peso raggiunge le 10 tonnellate e presentano un foro all’altezza di un uomo seduto o in piedi; è un luogo che va visitato, il cui fascino si perde nella notte dei tempi. Mi diverto ad osservare il paesaggio attraverso i buchi presenti nelle pietre e guardando il cielo, seppur coperto, immagino di osservare i corpi celesti in movimento.
Riprendiamo il viaggio verso passo Selim dove scolliniamo diretti al Lago Sevan. I campi di grano tagliato che ieri, illuminati dal sole apparivano dorati e lucenti, oggi appaiono gialli e grigi. Lungo il percorso noto molti bovini ed ovini al pascolo, mentre le abitazioni, che non cambiano stile, sono affiancate da enormi covoni di paglia che impilata in modo piramidale, soventemente supera l’altezza dell’abitazione e della stalla.
Anche qui osservo un particolare che mi aveva colpito nei giorni precedenti; il combustibile per le abitazioni: qui viene usata la corolla dei girasole oppure lo sterco di mucca essiccato.
Vedo parecchi apicoltori che hanno posizionato le arnie nei prati e loro restano presenti in loco stando su carri ruote che ricordano molto i girovaghi di alcuni decenni fa.
Un’altra cosa che mi colpisce è che nelle vicinanze delle abitazioni e nei terreni degli alberghi non viene mai tagliata l’erba ed in questa stagione la si vede ingiallita e riversa sul terreno.
Viaggiando il paesaggio muta radicalmente, dai campi coltivati, ai pascoli, alle pareti basaltiche a irte montagne dove i pochi tratti erbosi, vengono destinati a pascolo oppure a coltivazione di vite o di altre piante da frutto.
Nel fondovalle scavato da un torrente ci fermiamo per la sosta, il tavolo è all’aperto su un terrazzo in riva al fiume che col suo movimento rallegra la sosta; lenticchie, crauti, insalate, pomodori e cetrioli, formaggi, pane in cassetta, zuppa di fagioli con origano, involtini di carne macinata, anguria, caffè turco, sono il nostro pranzo.
Ritorniamo in viaggio diretti verso passo Selim, abbandonato il fondovalle, cominciamo ad inerpicarci sulle montagne, il paesaggio diventa sempre più ampio e ad un tratto il mezzo di ferma in un piazzale, scendiamo e mimetizzato con l’erba dei pascoli di quota, possiamo vedere il caravanserraglio di Selim (LP 216); la struttura è stata costruita appositamente mimetizzata per preservare le carovane dai predoni che infestavano la zona.
Questo è una degli innumerevoli fabbricati che sorgevano lungo le vie commerciali, fungevano da alloggio e luogo di scambio per le carovane e per i viandanti. Questo caravanserraglio è il meglio conservato di quelli giunti fino a nostri giorni. Dalla scritta che è posta sull’architrave si evince che la struttura è stata realizzata in epoca mongola; l’edificio è stato eretto con pietre di basalto ed è formato da due ambienti collegati. All’entrata si trova il primo locale che era destinato ai proprietari delle carovane, mentre nel secondo spazio, di notevoli dimensioni (13 per 26 mt), diviso in tre parti, era destinato agli animali ed allo scambio della mercanzia. L’interno è illuminato tramite finestre a camino poste sul tetto.
Proseguiamo nel viaggio e lasciato il caravanserraglio, poco dopo transitiamo a 2.410 mt s.l.m. per Passo Selim (LP 214) dove inizia la discesa verso il Lago Sevan; qui il paesaggio muta nuovamente, in alcuni tratti è brullo, mentre in altri è verde destinato a pascolo.
Giunti nei pressi del lago di Sevan effettuiamo una sosta a Noratuz (LP 192) dove sorge un cimitero con circa 900 khatchkar, le croci di pietra in stile armeno. Ci addentriamo nell’antico cimitero per ammirare queste stupende croci di ogni dimensione e dall’incantevole lavorazione; sono blocchi di basalto o di tufo finemente lavorati; adiacente a queste croci sorge il moderno cimitero con croci più semplici e mentre visitiamo il luogo un gruppo di anziane donne ci chiede un aiuto; faccio delle foto in cambio di una mancia; poco distanti, fra le croci le stesse donne vendono dei manufatti di lana da loro prodotti.
Arrivando al Lago Sevan (LP 188) e costeggiando la riva posso osservare l’edificazione turistica durante il periodo sovietico; il lago, considerato il mare dell’Armenia era una delle maggiori località balneari dell’intero paese. Il bacino è immenso, ha una superficie di oltre 1.350 chilometri quadrati (il 5% dell’intero territorio dell’Armenia) ed attualmente ha una profondità di 75 mt. Al tempo di Stalin, l’acqua del lago fu soggetta a massicci prelevamenti per la produzione idroelettrica e questo creò un notevole abbassamento del livello della superficie; i governanti compreso l’errore di sfruttare intensamente queste acque che per via della grande evaporazione non si rigenerano e cercarono di rimediare al disastro deviando altri corsi d’acqua. Oggi, a distanza di anni, lentamente l’altezza del lago sta aumentando, ma non ritornerà più ai livelli originari in quanto sommergerebbe gli edifici costruiti. Nella storia del paese, il Lago Sevan fu teatro di notevoli scontri; famosa fu la battaglia del 859 fra cristiani ed arabi quando moltissimi arabi perirono nel vano tentativo di raggiungere l’isola dove sorge il monastero di Sevanavank; i corpi degli arabi che vestiti di nero galleggiavano diedero l’impressione che le acque del lago fossero nere; qui ebbe origine l’attuale nome “Sevan” che significa nero.
Arriviamo in albergo che è collocato in riva al lago, una costruzione sovietica ristrutturata di recente, molto accogliente e lussuosa, situata in una posizione panoramica. Giunge l’ora di cena: verdure, insalata russa, formaggio, pesce con patate, dolce, caffè; il tutto accompagnato da un buon vino armeno, color rubino dal sapore robusto.
Vista l’ora e la località ci attardiamo a chiacchierare, prima dell’inizio dell’immancabile partita a burraco.
Parte prima
lunedì 23 agosto 2010
Per tutta la notte ha soffiato un incessante vento, le cui folate si infrangono contro le finestre dell’albergo, alla mattina il cielo è parzialmente azzurro. Colazione e poi giro per lo stabilimento balneare che appare veramente organizzato; dotato di spiagge, di piscine, di molo privato. Guardando in lontananza vedo che nere nuvole sospinte dal vento scendono dalle montagne; essendo prevista temperatura fredda, sarà utile coprirsi e tenere indumenti pesanti a portata di mano.
Lasciamo l’albergo e ci dirigiamo, costeggiando la sponda del lago, al monastero di Sevanavank (LP 190) che originariamente sorgeva su un’isola, ora divenuta penisola a seguito dell’abbassamento del livello dell’acqua. Qui, come detto, avvenne la famosa battaglia.
La chiesa, edificata nel XIV sec, presenta un’architettura diversa da quelle viste precedentemente; nel cortile vi è il khatchkar più antico finora ritrovato, risalente al V sec. è inciso in un blocco di tufo verde, mentre le altri croci presenti risalgono al VIII sec. La chiesa presenta la forma classica a croce, la cupola è ottagonale ed all’interno vi sono icone provenienti dall’Iran.
Riprendiamo il viaggio ed allontanandoci dalla regione di Sevan ci addentriamo nel fondovalle e poi in una galleria: all’uscita l’impressione è di essere proiettato in un’altra dimensione, ai nostri occhi appare un paesaggio alpino, le case hanno l’architettura, colori e rifiniture delle nostre case alpine.
Proseguendo notiamo sul ciglio della strada numerose persone con delle enormi pentole da cui esce vapore, chiediamo chi sono ed Irenia ci spiega che sono venditori di pannocchie bollite.
Con l’avvicinarsi alla città, il paesaggio e l’architettura mutano nuovamente, la valle si apre con boschi e prati e le abitazioni più recenti hanno muri colorati, tetti in tegole rosse e sulla facciata vi sono balconi, mentre gli edifici più datati sono nel solito stile cupo e grigio.
A Dilijan ritroviamo solo le classiche abitazioni sovietiche, attraversiamo velocemente la città per salire sulla montagna dove poco dopo giungiamo al monastero di Goshavsnk (LP 197) che sorge su una collina, ai limiti di un piccolo villaggio. Il monastero prende il nome da Mkhitar Gosh, monaco statista, scienziato, scrittore ed autore del primo codice penale armeno, le cui spoglie sono sepolte in una piccola cappella affiancata al complesso principale.
Il monastero per decenni fu considerato uno dei principali centri culturali dell’Armenia. Oggi il complesso comprende la chiesa di Santa Vergine del 1196, la chiesa di San Gregorio ed la biblioteca. Quello che subito colpisce del complesso è che non ha cinta difensiva; come non temessero attacchi, invasioni o distruzioni.
L’accesso avviene direttamente dalle case del villaggio che sono sparse sul pendio della montagna. Accedendo alla chiesa di Santa Vergine vedo un khatchkar monumentale, in basalto finemente lavorato quasi fosse un tessuto ricamato e subito la mente ritorna alla croce gemella vista al museo di storia armena ad Yerevan (vedi pag. 21), Il monaco che ha scolpito queste croci ha impiegato 70 anni a terminare questi capolavori unici; mi soffermo meravigliato a contemplare quest’opera eccellente e vista l’opportunità fotografo ai particolari. Proseguendo arriviamo alla biblioteca; i muri sono anneriti dal fumo delle candele, ma grazie alla luce che entra dalla finestra posta sul soffitto, s’intravvede la struttura ad archi incrociati. Dal tetto e dalle piccole finestre laterali entra comunque poca luce ed i monaci per scrivere utilizzavano un leggio posto ad altezza d’uomo che permetteva loro di scrivere stando in piedi. Per illuminare lo spazio destinato alla scrittura, adoperavano una candela collocata su un saliscendi in modo da poterne regolare l’altezza; una rappresentazione di questa modalità di scrittura è visibile al museo dei manoscritti di Yerevan. Il campanile ora parzialmente accessibile fungeva anch’esso da scriptorium.
Compiendo il giro del monastero posso osservare come la chiesa sia stata costruita utilizzando delle pietre inusuali che le infondono una cromaticità particolare. Visitiamo la cappella con la tomba del monaco Gosh e poi ci dirigiamo verso il pullman che ci aspetta nella piccola piazza sottostante il monastero. Prima di arrivare al nostro mezzo, visto che nella piazzetta è presente un mercatino, una sosta è d’obbligo. In effetti la tappa si rivela interessante in quanto oltre alle solite croci lignee, vi sono dei ricami in cotone, delle erbe officinali e degli utensili da cucina.
Rientrando verso la città ci fermiamo per il pranzo in un ristorante edificato in riva ad un fiume composto da alcune casette attrezzate per banchetti; pranziamo con insalata verde, insalata russa, cetrioli e pomodori, yogurt, formaggio di capra, zuppa di lenticchie, polpette, funghi, piattoni in umido, frutta. Prima di partire compio una breve passeggiata per ammirare questo gradevole posto che sorge alla confluenza di due torrenti.
Dopo pranzo proseguiamo il nostro tour diretti al monastero di Hagastin che raggiungiamo dopo un tratto percorso a piedi lungo una salita che si snoda tra bellissimi boschi di faggio. Prima di arrivare alla meta, giunti sul crinale della montagna vediamo che sono presenti moltissime Khatchkar e poco dopo, mentre comincia a piovigginare, giungiamo nei pressi del monastero che si presenta come un cantiere vero e proprio.
Il monastero di Hagastin (LP 196), che significa “danza delle aquile”, avvolto dalle nuvole, mostra la sua bellezza fra piante secolari; costruito da due fratelli, comprende due chiese, una cappella ed il refettorio. Attualmente sono in fase di restauro il refettorio ed una chiesa, quindi, camminando fra sacchi di cemento, pietre ed operai che sono al lavoro possiamo visitare solo quello che è il frutto del paziente e certosino restauro iniziato oltre tre anni fa.
Visitiamo la chiesa della Madre di Dio costruita nel 1281, con le sue due interessanti croci poste dietro l’altare a ricordo della regina che fece edificare la chiesa. Sul retro della cappella di Santo Stefano possiamo vedere l’emblema dei due fratelli che edificarono il complesso. Intorno alle chiese vi sono degli alberi con appese ai rami le strisce delle preghiere lasciate dai fedeli.
Lasciamo il monastero, raggiungiamo il pullman e poi ci dirigiamo a Dilijan (LP 194) dove troviamo sistemazione in un dell’albergo inserito in un grande parco; l’albergo originariamente era un sanatorio destinato ai gerarchi russi. Il contrasto fra la struttura e gli edifici sovietici della città è molto forte. Il tempo, pur nuvoloso ed umido, mantiene una temperatura mite e piacevole; decisamente meglio del caldo umido della capitale.
In camera mi sistemo sulla terrazza e nella piacevole frescura sistemo gli appunti del diario utilizzando i due libri che ho con me, lo studio e la scrittura sono allietati dalla piacevolezza della vista del bosco che ricopre la montagna.
La cena è a buffet e, dietro indicazione di Irenia, i cuochi hanno evitato il coriandolo, grande piacere per chi non sopporta quest’erba.
La serata trascorre piacevolmente giocando a burraco.
Parte prima
martedì 24 agosto 2010
Alle 7,30 nuvole basse avvolgono il bosco e la montagna, durante la notte ha piovuto copiosamente, la temperatura è fresca e si sta bene con un bel maglione. Fatta colazione partiamo con il nostro pullman verso una nuova meta. Durante il tragitto attraversiamo gruppi montuosi e vallate, con estese coltivazioni di crauti e verze, oltre a rigogliosi pascoli dove pasturano ovini e bovini.
Giungendo a Ijevan (LP 197), effettuiamo una veloce sosta per acquistare l’ottimo brandy armeno “Ararat” da portare a casa. Riprendiamo il viaggio e dopo poco giungiamo presso una stretta e ripida valle scavata da un fiume, dove sorge la città mineraria di Alaverdi (LP 205), ci fermiamo per il cambio del mezzo.
Saliti su due pulmini, percorriamo una strada che tortuosamente sale verso l’altopiano dove, circondato da innumerevoli villaggi, sorge il monastero di Ozun (LP 206). La struttura del VII sec. è dedicata a San Tommaso Vescovo che significa “unto”; la chiesa realizzata in tufo ha una pianta a croce, dietro l’altare si vede un bell’affresco di Maria con Gesù; all’esterno due colonne di tufo finemente scolpite riproducono storie bibliche.
Terminata la visita scendiamo verso la città mineraria dove l’aria è pesante a causa del fumo delle ciminiere che fatica a disperdersi nell’atmosfera; ed è proprio a causa dell’aria altamente inquinata che la popolazione, nel tempo, ha costruito le abitazioni lontano dal fondovalle.
Ripreso il nostro pullman ed attraversata la città percorriamo una strada che sale sul fianco della montagna dirigendoci verso il monastero di Sanahin (LP 206) che raggiungiamo in breve.
Lasciato il pullman, dopo un breve percorso tra bancarelle di souvenir entriamo nel recinto del monastero ben tenuto e curato, spettacolare per dimensioni ed armonia.
L’inizio dell’edificazione risale al XI sec. poi il complesso si è allargato con diversi edifici costruiti in tempi successivi. Stupefacenti sono i gavit delle chiese; quello della chiesa di Santa Madre di Dio è una grande sala a tre navate con basse colonne con archi incrociati che reggono il tetto, mentre quello della chiesa più grande del complesso, la chiesa del Santo Redentore, ha quatto alti pilastri con capitelli e basi decorate con teste di animali, frutta e disegni geometrici.
Il nome Sanahin significa “questo è più vecchio di quello” e l’origine pare risalire al periodo della costruzione del vicino monastero di Haghpat dove il costruttore indicò la prima struttura eretta originando così una diatriba che dura da allora.
Il pavimento del gavit del Santo Redentore è disseminato, come vuole l’usanza, di tombe le cui lapidi sono di basalto scolpito. Girando per il monastero posso osservare la bellezza degli edifici e la presenza di numerose e bellissime khatchkar scolpite nel tufo.
I due monasteri sono stati importanti centri culturali; non dimentichiamo che nel medioevo questi luoghi fungevano da università e Sanahin era celebre per la sua scuola di miniatura e calligrafia.
L’invasione mongola del 1235 è da ritenersi la principale causa del declino generale della vita monastica che portò alla successiva decadenza del monastero stesso.
Lasciato il monastero ci soffermiamo sulle bancarelle di souvenir, d’altronde oggi termina il viaggio in Armenia quindi sono le ultime occasioni per effettuare acquisti. Le bancarelle offrono le classiche croci lignee, a volte qualche artigianele tessuto in lana grezza, liquori, spezie e più raramente manufatti in cotone, mentre libri e cartoline si trovano per lo più all’interno delle chiese. E’ un settore, questo dei souvenir, ancora ai primordi e solo fra qualche anno sono convinto che l’offerta sarà più ampia.
Ritornati in città ci fermiamo per il pranzo e durante la sosta giungono altri due gruppi di italiani, ritrovarsi fra connazionali è sempre piacevole. Nel locale è presente l’accompagnamento musicale con pianola e clarinetto che rallegra il pranzo.
Uscito dal locale osservo la città che sorge nel fondovalle scavato dal fiume; le case sono costruite sfruttando ogni possibile terrazzamento ricavato nelle ripide pareti delle montagne, mentre più esterne rispetto alla città vi sono le fonderie di rame e ferro. Una di esse è in funzione ed il fumo che fuoriesce dalla ciminiera fatica a disperdersi nell’aria precipitando a terra rendendo l’aria veramente pesante. Malgrado questa ingombrante presenza, lo scenario è fantastico.
Riprendendo il viaggio percorriamo pochi chilometri e ritornati sull’altopiano ci dirigiamo verso il monastero di Haghpat (LP 207), che sorge sullo stesso altopiano del monastero di Sanahin; i due monasteri sono separati da una profonda frattura scavata dal fiume che scende dalla montagna.
Giungiamo al monastero, uno dei centri vitali dell’Armenia medioevale sia dal punto di vista culturale che religioso; per lungo tempo Haghapat fu il centro spirituale dell’Armenia e l’università era famosa in tutto il mondo di allora.
Il complesso si presenta ben tenuto, gli edifici curati ed il prato tagliato offrono un’ottima presentazione del luogo. Costruito a partire dal X sec, rappresenta uno straordinario esempio di architettura medioevale.
Il gavit della chiesa di Santa Croce è dominato dalla cupola e l’acqua presente in una vasca era ritenuta, per molti fedeli, avere qualità curative. Proseguendo nel giro, udendo un canto ci rechiamo nel gavit ad ascoltare un sacerdote: l’acustica è magnifica e la voce si diffonde in modo perfetto. Poco distante, posta fra due edifici vediamo una stupenda khatchkar con figure umane (l’unica vista finora e forse l’unica dell’Armenia), la pietra è rosa con tracce di colore, partendo dall’alto vi sono scolpiti Dio, sorretto da due angeli, più sotto è visibile la crocifissione affiancata da due uomini e due donne; è veramente una grande gioia osservare questa fantastica opera. Dietro la chiesa vediamo la torre campanaria, costruita su tre livelli di cui il primo è a croce greca, il secondo è ottagonale, infine la cupola è retta da sette colonne.
Visitiamo la biblioteca: nel pavimento sono interrate alcune anfore; era il luogo dove venivano riposti i rotoli manoscritti che con una corda potevano essere estratti, letti e poi riposti.
Successivamente vediamo il refettorio dove coppie di colonne sostengono il magnifico soffitto costituito da archi a crociera. Durante il medioevo, che è stato il periodo di massimo splendore del monastero, nel refettorio pranzavano l’abate, i più stretti collaboratori e gli anziani; mentre tutti i monaci mangiavano insieme ad altre persone ma non nel refettorio: vicino ad una parete è visibile una macina per ricordare ai commensali che era il lavoro della gente a dare loro nutrimento.
I monasteri vivevano dei tributi dei villaggi, ed i soldi venivano utilizzati per le spese della comunità monastica.
Il tempo peggiora, le nuvole stanno coprendo le vicine cime delle montagne, si avvicina l’ora della partenza quindi ci dirigiamo verso la Georgia.
Percorriamo la verdeggiante valle costeggiando il fiume ed in pochi chilometri raggiungiamo la frontiera. Qui lasceremo Irenia e l’autista per prendere un’atra guida. Sosta in frontiera per il timbro di uscita dall’Armenia sul passaporto. Mentre siamo la fila, Irenia trova una guida georgiana che parla italiano, ci presentiamo e cominciamo a socializzare convinti che sarà la nostra giuda ma tra una parola e l’altra ci accorgiamo che non è lei; sta aspettando un gruppo di 53 italiani, facendo mente locale li abbiamo incontrati al monastero di Haghpat e dall’accento mi parevano piemontesi.
E’ giunto il momento di salutare Irenia e l’autista, che veramente bravo ci ha condotto per queste strade a volte tortuose e a volte non ben asfaltate.
Ci avviamo verso la dogana georgiana e mentre sono in fi
Parte seconda
martedì 24 agosto 2010
Ricompattato il gruppo, carichiamo le valigie sul pullman e partiamo per la capitale della Georgia; Tblisi.
Il paesaggio risulta subito diverso; proveniamo da una stretta gola percorsa da un fiume e ci ritroviamo su un altopiano interamente coltivato e circondato da verdeggianti montagne. Fatti pochi chilometri mi accorgo di essere in un’altra dimensione culturale ed economica; si vedono vecchie case in stile sovietico ed abitazioni recenti molto belle, curate, ben rifinite ma soprattutto colorate. Gli edifici civili e commerciali nuovi o ristrutturati si staccano dal grigiore di quelli edificati in epoca sovietica; davvero un salto qualitativo.
Altro particolare che mi colpisce sono i trattori che lavorano nei campi: New Holland nuovi e resto perplesso pensando ai vetusti se pur efficaci trattori che ho visto nella vicina Armenia.
Giunti a Tblisi ci rechiamo in albergo dove mi precipito sotto una calda e rigenerante doccia, poi accendo il cellulare e trovo il segnale forte: almeno posso comunicare con l’Italia.
Seduto comodamente nella hall dell’albergo aggiorno il diario riportando le impressioni dell’Armenia: mi pare d’essere ritornato da un viaggio a ritroso nel tempo. In Armenia davvero non mi aspettavo una realtà cosi immobile, malgrado vi sia qualcuno che cerchi di far progredire il paese la maggior parte della gente sembra essersi fermata in attesa della venuta di non so cosa o di chi. Paese molto bello nella sua natura, ha bisogno di qualche personaggio dinamico che lo sproni e lo aiuti a riprendersi dai traumi subiti in decenni di genocidi e dominazione. Mi viene spontaneo dire: forza Armenia ce la puoi fare, la tua storia millenaria insegna tante cose, trova la forza di ripartire.
Ma ormai siamo in Georgia e voglio vedere questo paese, l’appuntamento per la cena è alle 19,30, quindi approfittiamo dell’ufficio cambio dell’albergo per avere dei Lari georgiani. Arriva velocemente l’ora di cena, col pullman attraversiamo la città ed alle 20,00 precise, la città s’illumina, i monumenti magicamente emergono dal buio della sera; osservo con stupore il castello, la torre, le chiese, Tblisi appare una città moderna che, volendo uscire velocemente dal periodo della dominazione russa, ha preso come modello di riferimento l’occidente.
Per cena ci fermiamo un un ristorante/birreria, un locale molto carino ed accogliente; ceniamo con insalata di cetrioli, insalata di pollo, salsiccia avvolta in una sfoglia simile alla nostra piadina, grossi ravioli ripieni di carne, birra o vino, melone (profumatissimo), anguria. Veramente un’ottima e gustosa cena; dopo una settimana in Armenia, cambiare sapore e gusto è un sollievo.
Terminata la cena chiediamo a Tamara se è possibile effettuare un giro della città e ci accontenta; è stupendo ammirare la città così illuminata, le colline, la pianura, i ponti, il fiume, i palazzi principali. Rientrati in albergo c’è chi conversa e chi gioca a carte.
Parte prima
mercoledì 25 agosto 2010
La sveglia suona alle 8,00, colazione, poi Tamara ci fornisce delle cartine della Georgia; indispensabili per avere un quadro d’insieme del territorio, sulla quale traccio il percorso che faremo in questi giorni.
Analizzato il programma e sentita Tamara, proponiamo di modificarlo; inizieremo il tour visitando Tblisi che sorge in una posizione magnifica, chiusa su tutti i lati da suggestive colline, costruita sulle rive del fiume Mtkvari, è una tranquilla località dall’atmosfera spiccatamente europea, poi riprenderemo il programma originario.
Cominciamo dalla chiesa di Metekhi (LP 52) edificata su una roccia a strapiombo sul fiume, da dove si domina la città; il primo edificio fu eretto nel V sec. ma durante le invasioni venne distrutto; l’attuale edificio risale al XIII sec.
Nella chiesa è in corso una funzione religiosa; la principale religione in Georgia è la cristiana ortodossa. Nel tempio vi è un’icona raffigurante i martiri cristiani del XII sec.; rappresenta i conquistatori arabi che ai cristiani che si rifiutavano di calpestare un’icona tagliano la testa gettandola nel fiume. La storica e venerata icona è tutt’ora visibile, posizionata sopra l’altare. Uscendo, dietro l’abside, scolpita sulla parete esterna, è visibile la “Croce georgiana della Vita”, un simbolo religioso caratteristico.
A piedi ci incamminiamo verso il centro della città antica; attraversato il fiume ci addentriamo fra edifici storici, ben tenuti dove si respira un’atmosfera piacevole fatta di storia e di colori. La seconda sosta è alla sinagoga; la comunità ebraica è presente in Georgia dal VI sec., ha sempre vissuto pacificamente nel rispetto più assoluto delle altre religioni locali. Visitiamo il luogo di culto che conserva molti libri e rotoli di pergamena antichi; l’interno è decoroso e ben tenuto.
Procedendo poi per i quartieri della città giungiamo presso un palazzo dov’è presente una moltitudine di gente in fila; chiediamo cosa succede e Tamara ci spiega che siamo al Seminario cittadino e la gente in fila sta aspettando il proprio turno per sostenere degli esami di scuola.
Poco distante sorge la Cattedrale di Sioni (LP 50), dal moderno portale, realizzato nel 1991 si accede all’edificio risalente al XIII sec. Di fianco alla Cattedrale sorge il campanile, dove un monaco muovendo il batacchio fa suonare la campana; l’osservazione che viene spontanea è legata alla possibile sordità che colpirà il monaco.
Vicinissimo alla cattedrale sorge l’antico caravanserraglio (attualmente è un grande cantiere edile e sta per essere trasformato parte in museo e parte in un lussuoso albergo), tutt’intorno vi sono vie con case in stile liberty che rendono piacevole il passeggiare. Percorriamo le antiche viuzze della capitale finché, nel quartiere medievale, giungiamo alla più antica chiesa di Tblisi; la Basilica di Anchiskhati (LP 51) eretta nel VI sec. Sono ben visibili i pilastri ed i portici in mattoni del XVII sec. Il soffitto a botte è interamente affrescato come le pareti laterali, ma purtroppo gli affreschi sono anneriti dal fumo delle candele che da secoli bruciano.
Lasciata la parte medievale risaliamo sul pullman e attraversiamo la città dirigendoci verso le colline della periferia dove, percorrendo a piedi un sentiero giungiamo sul crinale della collina da cui si domina la città. Siamo ai piedi della statua Madre Georgia (LP 51) un’imponente scultura metallica in stile sovietico che richiama per sembianze e fattezze la statua Madre Armenia vista a Yerevan.
Proseguendo lungo il sentiero che dall’alto permette un’ottima vista su Tblisi, arriviamo alla fortezza di Narikala (LP 51) costruita del VIII sec.: è un bellissimo esempio di arte e di architettura militare. Scendiamo dalla collina e ci troviamo proiettati nel quartiere mussulmano, passiamo davanti alla moschea ed ai bagni turchi; le locali terme sulfuree sono una secolare tradizione, frequentate e decantate da numerosi personaggi storici, sono conosciute in tutto il mondo. Alcuni edifici presentano la facciata decorata a mosaico il cui disegni mi ricordano gli edifici dell’Asia centrale lungo la via della seta.
Terminata la visita della città, riprendiamo il nostro programma originario e risaliti sul pullman ci dirigiamo verso la chiesa di Jvari che sorge su una collina situata a pochi chilometri da Tblisi. Nei pressi di un fiume effettuiamo la sosta per il pranzo presso un ristorante che ha allestito i tavoli all’aperto sotto una tettoia e da dove possiamo ammirare la chiesa che sorge sulla collina dall’altra parte del fiume.
Arriva il pranzo: melanzane, insalata russa, cetrioli e pomodori, focaccia ripiena di fagioli, maiale alla griglia con cipolle, fegato con cipolle. La cucina georgiana appare molto diversa e molto più ricca di quella armena. Tamara non ha fatto mettere il coriandolo nelle pietanze ed il cibo si avvicina moltissimo ai nostri sapori.
Mentre pranziamo, si solleva un leggero venticello che mitiga la forte umidità; pranzare in queste condizioni diventa veramente gradevole.
Terminato il pranzo, dopo il forte caffè alla turca, riprendiamo il nostro viaggio verso la chiesa di Jvari (LP 70), ci avviciniamo alla collina ed iniziando la salita in breve giungiamo sul piazzale antistante la chiesa, dove siamo accolti da alcuni venditori di manufatti in terracotta e lignei. Dal piazzale e dalla chiesa si ha una bellissima vista sulla sottostante pianura dove sorge la città di Mtskheta, l’antica capitale georgiana. La chiesa, edificata senza fondamenta, poggia direttamente sulla roccia ed è stata costruita nel V sec. in stile classico georgiano; è un edificio di piccole dimensioni ma elegante; l’interno ha una forma a croce greca e la cupola poggia su un tamburo ottagonale.
Finita la visita, ci dirigiamo verso Mtskheta (LP 67) dove ci fermiamo per visitare l’imponente Cattedrale di Svestiskhoveli (LP 68), una delle tre cattedrali della Georgia. Svestiskhoveli significa “Pilastro che dà la vita” ed è un luogo di grande culto per i georgiani in quanto la leggenda vuole che qui fosse custodita la tunica di Cristo. La storia narra di un enorme e inamovibile pilastro che nascondeva alla propria base, la veste di Cristo e la persona che, indossandola, morì. Sollevato miracolosamente il pilastro, il luogo divenne luogo di culto, di preghiera e si manifestarono numerosi miracoli.
La prima chiesa qui edificata risale al I sec., ma quella attuale è stata eretta nel XI sec., all’interno si trovano bellissimi affreschi del XII sec.; stupendo è il pulpito affrescato. Nella navata laterale vi è una cappella che è la riproduzione della chiesa di Gerusalemme dove, nella notte di Pasqua si accendeva il Fuoco Santo che veniva portato in tutte le chiese.
Uscendo, giriamo intorno all’immensa ed imponente costruzione delimitata da un recinto fortificato costruito nel XVII sec.; l’edificio è armonico anche se eretto con uno stile architettonico all’epoca inusuale; realizzato utilizzando pietre trasportate da villaggi e cave di tufo della zona e questa variegata provenienza fa si che si possano vedere nella struttura portante della chiesa pietre con diverse tonalità: marrone, verde e grigio.
Lasciando la Cattedrale e dirigendoci verso il pullman attraversiamo un mercatino dove risulta impossibile non soffermarsi a guardare le bancarelle che espongono oggetti vari, alcuni molto interessanti.
Riprendendo il tour, viaggiamo sulla strada militare georgiana che, partendo da Tblisi, attraversando il Caucaso, arriva fino in Russia; il paesaggio è di grande suggestione e nei prossimi giorni vedremo che attraverserà vallate e pianure, salirà e scenderà montagne, costeggerà fiumi; davvero un viaggio fiabesco.
Parte seconda
mercoledì 25 agosto 2010
Usciti da una galleria ci troviamo su un viadotto al cui termine, arroccato su una collina, sorge solitario e dominante il complesso fortificato di Ananuri (LP 99). Il complesso, di architettura tipicamente georgiana, domina la sottostante vallata, oggi riempita da un bacino idrico artificiale che ne aumenta la suggestione.
All’interno della fortezza si trovano due chiese del XVII sec., la più grande ha pareti esterne interamente scolpite dove spicca una imponente “Croce della Vita” il che le infonde un aspetto estremamente suggestivo. All’interno le pareti sono affrescate con un magnifico giudizio universale del XVIII sec.
Continuiamo il nostro viaggio dapprima costeggiando il fiume; poi iniziamo a salire sulle pendici della montagna dove il paesaggio diventa alpino ed a tratti assomiglia alle magnifiche nostre alpi; ora siamo sul Caucaso, dove le cime maggiori superano abbondantemente i 5.000 metri.
Nel pomeriggio inoltrato raggiungiamo Gudauri (LP 101), nota località georgiana di sport invernali; giunti in albergo, doccia e poi passeggio fra verdissimi pascoli fra le imponenti cime mentre nel cielo, dopo qualche giorno di brutto tempo, compare dell’azzurro. Spero che sia di buon auspicio per le prossime giornate in modo da poter far foto più belle di quelle finora scattate che risultano piatte per il grigiore dovuto al cattivo tempo.
L’hotel Truso, dove alloggiamo, non è quello previsto dal programma ma si presenta pulito, ordinato ed accogliente; un ambiente familiare dove ci troveremo benissimo.
Arriva l’ora della cena, a buffet e senza coriandolo; il cibo è molto buono e ben curato. Poi la serata nell’accogliente albergo, che assomiglia ad uno chalet alpino, trascorre tranquillamente; sistemo gli appunti, studio le future mete e poi la partita a burraco. Nel cielo le nuvole stanno diradandosi rivelando una volta celeste intensamente stellata; un intenso blu scuro illuminato dalla luminosa luna piena; speriamo che domani, vista l’escursione in programma, ci sia bel tempo.
Parte prima
giovedì 26 agosto 2010
Dalla persiana della camera filtra luce chiara, aprendola trovo un cielo azzurro con pochissime nuvole; l’aspettativa di vedere i ghiacciai del Caucaso si sta concretizzando. Preparo zaino, macchina fotografica, maglietta di ricambio e giacca a vento; oggi ci aspetta un’escursione in montagna. Tamara ci avvisa che, nuvole permettendo, avremo la possibilità d’ammirare fantastici scenari; come amante della montagna sono affascinato dalle aspettative della giornata e delle montagne del grande Caucaso di cui ho letto molto sulle riviste di alpinismo.
Lasciamo l’albergo e percorriamo la strada militare georgiana che inerpicandosi per le imponenti montagne ci conduce fino a Passo Javari (LP 101) dove iniziamo la discesa verso Kazhegi e poco dopo ci fermiamo in un posteggio. Dall’altra parte della carreggiata, sul fianco della montagna, appare un sedimento calcareo creato dall’acqua che scende dalla montagna. Tamara ci spiega che l’acqua ha virtù terapeutiche, risulta ottima per il fegato. Raccolgo l’acqua e la bevo, altri del gruppo mi imitano ma poco dopo qualcuno ha problemi gastroenterici.
Riprendendo la discesa lungo quest’ampia valle, sulla strada incontriamo molti camion che vanno e vengono dalla vicina Ucraina; la carreggiata a volte è stretta, a volte sterrata ed il pullman deve procedere molto lentamente. Lungo il percorso noto tante gallerie che vengono utilizzate nel periodo invernale come paravalanghe. In questa parte del tragitto attraversiamo alcuni villaggi popolati solo nei mesi estivi; il panorama è da presepio, ordinato e pulito; le nuvole avvolgono le cime ed a volte anche l’intera strada; il clima sembra autunnale, ma spero sempre nel bel tempo per l’escursione.
Su un verde e coltivato altopiano dalla parte opposta del fiume sorgono alcuni villaggi che sono raggiungibili tramite una lunga e tortuosa strada oppure tramite una teleferica che arditamente è tesa sopra il fiume impetuoso.
Giunti nel fondovalle, giungiamo nella città di Kazbegi (LP 102) dove in piazza troviamo dei fuoristrada che ci accompagneranno alla meta della giornata.
Con gli autisti si accende una vivace discussione, vogliono trattare sul prezzo, sull’orario di rientro, sviscerano problemi di tempo, di portata dei mezzi, si mostrano arroganti e prepotenti; pare che solo la prospettiva del mancato guadagno li riporti alla ragione. Qui il gruppo decide di dividersi, alcuni saliranno in auto ed altri raggiungeranno a piedi la chiesa di Tsminda Sameha (della Santa Trinità) arroccata sui verticali pendii dell’imponente montagna.
L’appuntamento per il ritrovo è fissato alla chiesa od al pullman: tutto dipende dal tempo che impiegheremo noi che saliamo a piedi a raggiungere la chiesa dopo un dislivello di oltre 500 mt.
Il piccolo gruppo di sette persone si avvia, lasciamo la piazza, costeggiamo il fiume Tergi, lo attraversiamo percorrendo il ponte e poi, abbandonata la strada asfaltata ci dirigiamo verso una frazione che sorge sulle pendici della montagna. La salita comincia prima dolcemente e poi sempre più ripida; la strada diventa sentiero snodandosi fra le abitazioni e terreni coltivati; poi, improvvisamente ripidissimo s’inerpica sulla montagna; procediamo lentamente e faticosamente, transitiamo nei pressi di un cimitero e poi c’inoltriamo nel bosco, con passo costante procediamo, poi il sentiero diventa più dolce ed incrocia la carrozzabile che sale dal fondovalle. Ora camminiamo agevolmente lungo la strada che si sviluppa fra boschi sempre più radi che lasciano posto al pascolo d’alta quota. Raggiungiamo un pianoro e improvvisamente, quasi un’apparizione ecco frontale a noi, la chiesa della Santa Trinità (LP 103), dopo oltre 1,30 ore di camminata, la fatica è ripagata da questa visione; velocemente e felicissimi percorriamo l’altopiano che conduce alla chiesa.
Mentre ci avviciniamo, scorgo, sulle mura difensive della chiesa delle persone che ci salutano; sono gli altri componenti del gruppo che ci stanno aspettando. Arrivati nei pressi della chiesa il gruppo si ricompone ed è un bel moneto di gioia; una foto ricordo ci vuole proprio. Mi avvicino alla trecentesca chiesa fortificata e poco prima dell’ingresso costeggio la moderna abitazione dei monaci che vivono in questo incantevole luogo coronato da imponenti montagne.
Accediamo all’area sacra e ci troviamo immersi in un cantiere edile; i monaci trasformati in carpentieri sono impegnati al rifacimento della cupola; tolto il vecchio rivestimento in lamiera zincata, hanno rifatto il legname di sostegno ed ora stanno posizionando lastre di rame. E’ impressionante vedere questi monaci come si muovono agevolmente su impalcature che appaiono instabili e appoggiate in modo precario alle pareti. Sono sempre i monaci che provvedono alla preparazione delle lastre di rame da posare sulla cupola; il taglio delle lastre avviene senza l’uso dei guanti; le loro mani sono protette solo da alcuni stracci e presentano numerose ferite sia sanguinanti che in fase di guarigione. Le lamiere tagliate vengono issate sulla cupola tramite corde che sfiorano la fragile impalcatura presente.
La posizione dove sorge la chiesa è stupenda, di fronte vi sono le imponenti montagne del Caucaso, sotto di essa quasi a strapiombo si vede la città di Kazbegi e dietro, seminascosto dalle nuvole, si intravede l’imponente ghiacciaio di Gergeti.
Siamo seduti sul muro di cinta e Tamara illustra la storia della chiesa; dopo la fatica della salita è bello ascoltarla al caldo e piacevole sole dei 2.000 mt, immerso in questo magnifico scenario.
Visitiamo la chiesa, all’ingresso un monaco controlla attentamente che chi entra non abbia macchine fotografiche a portata di mano, oltre a indossare abiti adatti ad un edificio religioso: chi indossa i pantaloni corti viene fermato, le donne possono accedere solo col capo coperto da un velo.
Terminata la visita del complesso pranziamo al sacco; il cibo preparato dall’albergo è stato trasportato dalle auto; verdura, polpette, dolce. Seduto su un prato, al calore del sole, mentre mangio ammiro il ghiacciaio che pian piano compare dalle nuvole e le montagne che fanno da corona.
Finito di pranzare, si avvicina l’ora della discesa e nel mentre mi avvicino alle auto per riporre i rifiuti da portare a valle, scorgo che sul lato opposto della valle fanno la comparsa delle nuvole nere che minacciosamente si dirigono verso di noi; quindi decidiamo di avviarci verso il fondovalle, mentre il ghiacciaio di Gergeti si che si staglia nell’azzurro cielo sembra volerci salutare.
Durante la discesa, il cielo si copre sempre di più ed arrivati alle prime abitazioni del fondovalle, comincia a piovere copiosamente; meno male che abbiamo compiuto l’escursione in mattinata. Raggiunta la cittadina, incontriamo le auto che risalgono sulla montagna portando altri turisti alla chiesa; non vorrei essere al loro posto sotto quest’intensa pioggia.
Con Ambrogina camminando di buon passo, raggiungiamo la piazza della città e non troviamo il pullman ma, sotto una pensilina, vediamo rifugiati gli altri componenti del gruppo e velocemente li raggiungiamo. Arriva il pullman ma non si ferma, prosegue nella sua corsa; forse va a recuperare Tamara e gli altri componenti che abbiamo seminato nel percorso; in effetti dopo pochi minuti il mezzo si ferma con a bordo gli altri escursionisti.
Parte seconda
giovedì 26 agosto 2010
Poco dopo cessa di piovere ma il cielo rimane grigio e minaccioso. Proseguiamo verso la Gola di Dariali (LP 105); un’aspra e stupefacente gola scavata nella montagna dal fiume Tergi. Giunti in prossimità di una piazzola, l’ultima prima della vicina frontiera con la Russia, il pullman si ferma, scendiamo per ammirare e fotografare la località.
Rientriamo in albergo ripercorrendo la Strada Militare Georgiana mentre riprende a piovere copiosamente, il clima sembra autunnale ed è necessario indossare un maglione. Arrivati in albergo verso le 17 approfitto delle avverse condizioni climatiche per sistemare gli appunti e studiare le località che visiteremo nei prossimi giorni.
Cena a buffet e festeggiamo i 10 anni di matrimonio di Gianfranco e Giuliana, poi la serata trascorre tranquillamente leggendo e giocando a carte.
Parte prima
venerdì 27 agosto 2010
La sveglia suona alle 7,00, pensando alle condizioni del pomeriggio precedente, curiosamente apro le persiane e la giornata si presenta con un bel cielo azzurro, la temperatura è fresca, ma Tamara ci avverte che nel fondovalle, dove siamo diretti vi sono oltre 30 gradi, quindi mi vesto a cipolla in modo da restare in maglietta durante la giornata.
Mentre percorriamo le stupende vallate disseminate di verdi pascoli popolati da grandi mandrie di bovini ed equini, Tamara ci dà informazioni sul suo paese. Lo stipendio medio è di 700 lari, la pensione è di 150 lari; esiste un’assicurazione per tutti i cittadini pagata dallo stato. La scuola è articolata su un modello fatto di percorsi di cinque, quattro e tre anni. L’unica grande fonte di esportazione è costituita dalle miniere di carbone. Il petrolio, di cui abbiamo visto dei pozzi in funzione, è utilizzato all’interno e non viene esportato. Esiste nel paese una grande acciaieria, retaggio del tempo sovietico ma di cui solo una piccola parte è oggi funzionante.
Mentre Tamara ci illustra la vita della Georgia arriviamo a Gori (LP 70), città natale di Josif Vissarionovic Dzugasvili, passato alla storia col nome di Stalin, personaggio molto discusso, ma qui in Georgia è considerato un vero leader, famosissimo, rispettato e venerato, di cui vediamo la casa natale, custodita sotto una copertura a tempio ed il museo a lui dedicato, costruito a poca distanza.
Percorrendo la pianura caratterizzata da campi coltivati, arriviamo a Uplistkhe (LP 73) un’antica città risalente al 1.000 a.C., interamente scavata nella roccia e rimaneggiata fino al VI sec. d.C.. Era all’epoca uno dei principali centro politico e religioso, importante città che sorgeva sulle rotte carovaniere tra l’Asia e l’Europa. Abbandonata, fu dimenticata per secoli fino al 1957 quando iniziarono i primi scavi archeologici per il suo recupero. Oggi è visibile solo una piccola parte di questo immenso patrimonio che si stima sorga su una superficie di 10 ettari. Posteggiato il pullman cominciamo a salire sulla collina di arenaria dov’è scavata la città.
Vediamo lo stupefacente teatro con il soffitto intarsiato, le abitazioni, la cisterna dell’acqua, la sala dove si svolgevano le riunioni pubbliche.
Ritorniamo a Gori e transitiamo sotto l’antica fortezza, poco dopo ci fermiamo per il pranzo. Mentre pranziamo giunge un fuoristrada con le insegne UE, chiediamo a Tamara come mai la presenza di soldati e ci spiega che sono impegnati a controllare la vicina frontiera, mentre l’edificio che sorge a pochi metri da noi è la loro base.
Riprendiamo il viaggio e mentre usciamo dalla città costeggiamo quella che una volta era l’acciaieria per eccellenza dell’unione sovietica, un enorme, smisurato, immenso impianto lungo alcuni chilometri ed oggi trasformato in una triste ed abbandonata cattedrale nel deserto. Solo una piccolissima parte è in funzione per la produzione di acciaio per uso nazionale; un tangibile esempio della fallimentare politica sovietica.
Lasciamo la città viaggiando in un territorio coltivato a grano dove lo sguardo è rapito nel giallo delle coltivazioni. Poi riprendiamo a salire in montagna e ci fermiamo in un mercatino di artigianato locale; qui è tipica la produzione di articoli in terracotta e cestini di legno intrecciato.
Arriviamo al complesso di Gelati (LP 79) edificato nel XII sec. che divenne famoso per la sua accademia. Nella Cattedrale delle Vergine possiamo ammirare i bellissimi affreschi bizantini. Vediamo poi l’accademia, un edificio ricostruito ed adattato allo stile moderno, la chiesa di San Nicola, chiusa per restauro ma, grazie alla benevolenza della restauratrice, riusciamo ad entrare e ammirare i bellissimi affreschi fra le impalcature. Infine, nella porta meridionale del complesso, vediamo la tomba di “Re David il costruttore” e di altri regnanti georgiani.
Rientriamo a Kutaisi (LP 76) ed alloggiamo in una casa privata attrezzata per ospitare turisti, la struttura si presenta accogliente e pulita. L’alloggio è situato su una collina frontale al parco cittadino dei divertimenti e da questa posizione si domina completamente la città. La vista, soprattutto al tramonto è molto carina. Il cielo permane nuvoloso ed a tratti pioviggina.
Sono a Kutaisi, località dall’origine mitologica, la valle del vello d’oro di Giasone e degli Argonauti, qui la mitologia greca ci affianca in questo percorso.
Doccia e poi alle 20,00 cena, la tavola è apparecchiata con molti piatti; verdure crude, verdure cotte, salamelle, pollo, formaggio, pane, minestra, torte salate e farcite, frutta. Terminata la cena, restiamo sulla terrazza ascoltando musica che, proveniente da un concerto in città, giunge perfettamente, rallegrando anche la nostra serata. Infine, anche se è quasi mezzanotte ed il complesso suona ancora, vado a riposare.
Parte prima
sabato 28 agosto 2010
La giornata si presenta serena, a differenza dei giorni precedenti, il cielo è completamente sereno; sembra un miraggio. Il sole illumina la città riflettendosi sui tetti ancora bagnati dalla pioggia del giorno prima. Colazione e prima di partire, visto che ho tempo, aggiorno il diario; è l’ora di preparare la valigia e dopo averla caricata sul pullman partiamo a piedi.
Attraversando un quartiere che si sta risvegliando, ci dirigiamo verso la Cattedrale di Bagrati, la seconda Cattedrale della Georgia. Percorriamo strade che paiono uscite da una fiaba, con la pavimentazione lastricata, le abitazioni ben curate sono circondate da alberi a volte con rami stracarichi di frutti che sembrano sfidare la legge di gravità, viti coltivate e ordinate dove i primi raggi del sole si infrangono sull’uva quasi matura; arriviamo alla Cattedrale di Bagrati (LP 76) o, meglio, al cantiere che racchiude la cattedrale. Accediamo per visitare quanto rimare di quella che, edificata dal XI sec., era una stupenda chiesa.
Distrutta nel XVII sec. dai turchi la cattedrale conobbe l’abbandono, oggi, grazie ai restauri, si possiamo ammirare, fra le impalcature, le mura perimetrali, l’arco d’entrata finemente scolpito e l’imponenza di quello che doveva essere uno spettacolare luogo di culto.
Ritornando verso il pullman mi soffermo ad osservare, per abitudine professionale, una caratteristica tecnica di Georgia ed Armenia; le tubature del gas corrono esterne e non sono, come da noi interrate. Vedo varie tubazioni, dai pochi centimetri di diametro degli stacchi radiali fino ai grossi tubi della distribuzione portante, tutti aerei. Ed è divertente osservare come in prossimità dei passi carrai sono realizzate delle “omega”, sempre aeree con sviluppo il altezza di diversi metri, per permettere il transito dei camion, ed ancor più divertente, vedere le “omega” per il transito dei trattori all’ingresso dei campi. Mi viene naturale pensare alla rigida normativa che regolamenta il trasporto e la distribuzione del delicato ed esplosivo gas che vige in Italia; la dissonanza qui è davvero forte.
Lasciando Kutaisi vediamo quello che era, sempre in epoca sovietica una delle fabbriche per eccellenza di treni ed aerei, oggi attiva solo per la manutenzione ordinaria dei mezzi georgiani, mentre la struttura produttiva è completamente dismessa.
La strada è disseminata di punti di sosta con bracieri accesi; i viaggiatori che si fermano possono sfamarsi con uno spuntino di carne cucinata alla griglia: ogni regione ha le sue caratteristiche, e come abbiamo visto passiamo dal vino, alla frutta, alle pannocchie ed ora alla carne.
Usciamo dalla regione e giunti in un’altra provincia noto che anche l’artigianato muta sensibilmente, qui all’esterno delle abitazioni sono presenti bancarelle con pane oltre che multicolori amache che ravvivano il paesaggio mentre, uscendo dalla cittadina, ritorna il paesaggio della campagna coltivata a grano con il suo color oro e ricompaiono le numerose bancarelle di ortaggi, meloni ed angurie che ordinatamente impilati producono una visione suggestiva.
Arriviamo, o meglio ritorniamo, dopo questo giro per la Georgia, a Tblisi. Pausa pranzo e nel pomeriggio la prima sosta è alla moderna cattedrale della Santa Trinità (LP 52), dopo anni di costruzione è stata consacrata nel 2004; è una stupenda con le sue slanciate forme architettoniche georgiane, l’edificio è imponente, l’interno è ricco di preziose e venerate icone. Vi sono moltissimi pellegrini; davvero un interessante luogo culto. Uscendo dalla Cattedrale, attraversiamo il quartiere e con calma possiamo visitare i molteplici negozi caratteristici con articoli per lo più a soggetto religioso.
A metà pomeriggio ritorniamo in albergo, lasciamo le valigie in camera e poi usciamo per visitare il mercatino delle pulci dove troviamo davvero tanta mercanzia; dalle icone stampate a quelle cesellate e lavorate, qualcuna molto bella; quadri, armi antiche da taglio, prodotti artigianali, moltissima merce sovietica, medaglie, indumenti, binocoli, macchine fotografiche a pellicola, porcellane, vetri, gioielli, accessori per la casa, utensili medici, radio, tv, componenti elettronici, utensileria, serrature, chiavi … qui si trova davvero di tutto e per tutte le tasche, anche cose da noi ormai introvabili quali cineprese a cassetta VHS, mangianastri, dischi in vinile. Si è fatta sera e rientrando in albergo ci cambiamo per recarci a teatro; ci attende uno spettacolo riepilogativo della storia georgiana. All’interno del locale, sono stati predisposti tavoli con vino, frutta secca e dolci. Il vino è rosso, profumato e con il suo sapore intenso è un ottimo abbinamento con la frutta secca. Lo spettacolo ripercorre simbolicamente la storia della Georgia evidenziando i momenti cruciali; solo avendo letto la storia è possibile comprendere le varie scene e la simbologia ad esse collegate; uno spettacolo che merita d’essere visto.
Terminata la rappresentazione, andiamo a cena e dopo aver visto Tblisi notturna e magnificamente illuminata, ci rechiamo in albergo per il meritato riposo.
Parte prima
domenica 29 agosto 2010
E’ domenica, santifichiamo la festa, poi colazione. Oggi a due giorni dalla partenza Mariella non sta bene e decide di rimanere in albergo. La giornata si presenta con un intenso cielo azzurro e la temperatura è calda. Partiamo dirigendoci verso una regione caratterizzata da campi coltivati a vite; lungo la strada, vi sono moltissimi banchi di frutta cui si evidenziano principalmente, angurie, meloni e cipolle.
In autostrada un rallentamento, vi è un incidente e purtroppo la visione cruenta; sulla carreggiata giace immobile, non ancora coperto da un lenzuolo, il corpo di un uomo, per alcuni del gruppo la vista è scioccante e toglie la bellezza della giornata.
Arriviamo al monastero di Ikalto (LP 112), fondato nel VI sec. che è stato una delle principali accademie della Georgia medioevale, anche se da tempo abbandonato ed oggi in fase di restauro rivela la magnificenza di un tempo. L’edificio principale è la chiesa della Trasfigurazione, costruita tra il VIII ed il IX sec., l’interno si presenta spoglio, completamente imbiancato dai russi nel XIX sec. Le pareti seppur malandate, aspettano di essere pulite per riportare alla luce gli affreschi coperti. Dall’antica accademia sono visibili solo le mura periferiche ed i pilastri che sostenevano l’imponente edificio di ben quattro piani.
Proseguiamo il tour fino a giungere alla Cattedrale di Alaverdi (LP 112), costruita nel XI sec. è circondata da imponenti mura difensive ed attualmente è abitata da monaci. L’ingresso è permesso solo a chi veste (secondo il loro dettato) un abbigliamento consono alla visita di un edificio religioso e Gianfranco che porta dei pantaloni al ginocchio è costretto a rimanere fuori dalle mura. Tra le altre cose, all’interno del perimetro, vige l’assoluto divieto di fotografare e vi è un guardiano molto agile ed attivo nel far rispettare questa norma.
Il complesso è in ristrutturazione, ma è possibile visitare la chiesa: all’entrata, sotto il gavit ad ampi archi è visibile il bellissimo affresco del XIV sec. raffigurante San Giorgio col drago; l’interno della chiesa si presenta, stranamente per quanto visto finora, luminosissimo perché sulle pareti laterali sono presenti molte finestre a bifore in stile gotico che permettono il passaggio della luce.
Giunti presso l’altare, ci soffermiamo ad ammirare il dipindo della Vergine, risalente al XI sec.; la mia attenzione viene captata dalla posizione del coro che è messo a metà altezza lungo una parete della navata centrale.
Uscendo all’esterno vago per il cortile del monastero, che è abbellito da incantevoli e ben tenute aiuole di fiori ed è reso più bello da antiche otri vinicole. Nell’uscire ci fermiamo nel negozio di souvenir dove sono in vendita icone molto carine.
E’ giunta l’ora di pranzo e ci dirigiamo presso un’abitazione che offre il servizio di ristoro; una gradita occasione per vedere le abitazioni tipiche dei georgiani e godere della loro grande ospitalità. La casa è semplice, posta su una collina dove ammiro la pianura disseminata di vigneti i cui filari dipingono regolari segni nell’orizzonte e la cui uva dà vino bianco.
Sulla terrazza è stato predisposto il tavolo per il pranzo; la vista è rallegrata dalla verde vallata che si estende per molti chilometri fino alle montagne che fanno da corona a questa verdeggiante località. Ci servono pomodori, cetrioli, insalata russa, pomodori farciti di carne, torta al formaggio, carne con purea, uva, il tutto accompagnato da acqua e vino bianco locale.
Dopo pranzo compiamo un giro in pullman per la città di Kaketi (LP 108) dove vediamo le imponenti mura di quello che era il palazzo reale e la statua di Archill II, venerato sovrano locale.
Arriviamo così al monastero di Gremi (LP 112) che sorge su una collina; l’aspetto è semplice, realizzato con mattoni rossi è una costruzione inusuale rispetto alle precedenti. Edificato nel XV sec.. All’interno della chiesa sono visibili stupendi affreschi e resto meravigliato dalle bellissime tonalità azzurre. Vicino alla chiesa si innalza il palazzo-torre, dov’è collocato un piccolo museo locale; sono visibili le stanze dell’antico palazzo, con la cucina al piano inferiore, le camere al piano superiore da dove partono vertiginose vie di fuga da utilizzare in caso di assedio. Salito sull’attuale torre campanaria, mi godo lo spettacolo della pianura disseminata di vigneti.
Proseguiamo il viaggio fino ad arrivare al complesso di Ninestsmida, crollato a seguito del terremoto del 1800, attualmente è in condizioni di abbandono anche se parzialmente ricostruito. Il complesso è fortificato con ampie, poderose e singolari mura con fori protetti dove, in caso di assedio venivano versati liquidi sugli assedianti.
Rientrando a Tblisi siamo accolti dal caldo afoso che ci sfianca; ma siamo alla fine di questo interessante percorso.
Arriviamo in albergo e prepariamo le valigie per la partenza, o meglio per il rientro in Italia. Cena a Tblisi, in un locale caratteristico: verdure, coni con ricotta e rucola, focaccia con fagioli, salsa piccante, costine di maiale con patate, pollo con salsa d’aglio e uova, vino. La serata è rallegrata da uno sposalizio e da uno spettacolo con ballerini in costume tradizionale.
Vicino a noi c’è una tavolata di giovani, ad un certo punto della serata i ragazzi si sfidano a vicenda a bere vino usando come recipiente un corno; la quantità che stimo sia contenuta nel corno è di circa mezzo litro. Il corno viene riempito più volte dal singolo partecipante fino a quando, poco lucido, abbandona la competizione; paese che vai, usanze che trovi.
Bellissima serata, quasi un dolce saluto di Tblisi e della Georgia.
Rientriamo in albergo ed i fedelissimi del burraco si sfidano nell’ultima partita.
Parte prima
lunedì 30 agosto 2010
La sveglia, implacabile, alle 1,45 suona. Prese le valigie partiamo verso l’aeroporto che dista pochi chilometri dal centro.
Chek-in ed anche qui il biglietto elettronico mostra i limiti della tecnologia e ci crea qualche difficoltà, ma pian piano imbarchiamo le valigie e ritiriamo il nostro biglietto. Decolliamo, il cielo è sereno, dall’alto si vedono città e strade, poi il nero del mar Caspio, infine entrando nelle nuvole, il panorama scompare.
Atterriamo a Vienna, piove e la temperatura è di 14° C, indossiamo maglioni, salutiamo Sandro che per motivi di lavoro ci deve lasciare, e prende un volo diretto a Mosca. All’imbarco per Milano ho ancora problemi con il biglietto stampato a Tblisi, superate le difficoltà siamo tutti a bordo e partiamo per Malpensa.
Decolliamo; le alpi sono coperte da uno strato di nuvole compatte, solo a tratti intravedo le cime austriache ricoperte di abbondante neve; sembra d’essere in inverno. Arriviamo in Italia, le nuvole si diradano; seguendo la mappa di bordo, individuo Bolzano, le dolomiti di cui riconosco alcune vette, poi appare l’Adamello con il suo piatto ghiacciaio, successivamente la Valtellina, il Lario, il triangolo lariano, il San Primo, montagna a me cara, successivamente Como ed infine i paesi del varesotto intorno a Malpensa. Sbarchiamo, aspettiamo le valigie, la mia non arriva, faccio la denuncia di smarrimento, attendo per eventuali controlli ed infine torno a casa senza bagaglio; mi verrà consegnata due giorni dopo.
Nel frattempo ho già scaricato le foto, ho cominciato a sistemarle, a numerarle, a ricordare i siti fotografati ma faccio fatica ad abbinare foto e nomi e solo con un lavoro certosino riesco a catalogarle tutte.
Ormai il viaggio, con la sua storia, i paesi visitati è un ricordo, comincio a scrivere il diario dove trasferisco le sensazioni, le impressioni avute in questo incantevole vacanza nel medioevo che mi ha permesso di comprendere molti aspetti della storia che ho cercato di riportare seppur in modo sintetico in questo mio scritto.
Fra paesaggi incantevoli, popoli in ripresa, monumenti semi abbandonati e tanti in fase di restauro, l’esperienza è stata estremamente positiva e culturalmente interessante.
Mentre preparo il diario sto già pensando al nuovo viaggio, un altro paese dalla storia secolare …. seguitemi nei miei racconti!
Un arrivederci a presto.
Tre motivi per effettuare il viaggio
martedì 31 agosto 2010
• Paesi ricchi di arte, cultura e natura, la cui storia è il risultato di complessi movimenti di popoli che hanno vissuto nell’area. La storia inizia dal neolitico e si sviluppa fino ai nostri giorni. E’ l’opportunità di viaggiare in una terra che ha visto l’evolversi dell’umanità.
• La gente con la sua bellezza, la sua educazione. Arte e cultura di popoli dal fascino antico che occorre ricercare nelle vicissitudini storiche che hanno caratterizzato l’area.
• Il viaggiare nella natura, vedere i parchi, rilassarsi alle terme è un opportunità da non perdere. L’incontro con una natura a volte incontaminata da solo è un motivo per affrontare questo affascinante viaggio.
Ringraziamenti
martedì 31 agosto 2010
Alla fine di questo lavoro, sento di esprimere il mio personale ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questo viaggio; ricco di storia, cultura ma anche di natura ed umanità.
Riconoscenza anche a chi mi ha esortato e a chi mi ha assistito alla realizzazione di questo scritto.
Un particolare grazie a:
• Don Maurizio Corbetta, Parroco di Rovello Porro (CO), ideatore del viaggio.
• Irenia e Tamara, le guide che ci hanno accompagnato per la professionalità dimostrata; per averci fatto avvicinare alle culture e alle tradizioni armene e georgiane.
• Foto ottica Balestrini Luca di Rovello Porro (tel. 02.9675.2227) per la consulenza e l’attrezzatura fotografia fornitomi.
• Laura che ha contribuito alla presentazione ed alla correzione del diario.