bosnia in scooter
località: sarajevo
stato: bosnia e herzegowina (ba)
Data inizio viaggio:
mercoledì 5 luglio 2006
Data fine viaggio:
sabato 15 luglio 2006
sarajevo, ANCORA UNA VOLTA
( Il tunnel)
L’ultimo giorno a sarajevo, dopo l’intensa esperienza di Srebrenica di ieri,
decido di prendere un taxi fino a Butmir, vicino all’aeroporto, per vedere
il tunnel scavato durante l’assedio.
Il mio tassista è loquace e visto che la strada è lunga contraccambio con il
mio zoppicante inglese. Scopro così che conosce Trieste e che suo padre
ci veniva a comprare Jeans e oro 14 dalle parti della stazione dei treni,
Jeans e oro che talvolta dopo un lungo tragitto potevano finire a Praga o
Budapest, e perfino nelle boutique di Mosca.
Verso Butmir il tassista mi indica il monte Igmar dove nel 1984 si svolsero
le olimpiadi invernali. Quando gli dico che mi ricordo benissimo della
mascotte “VUCKO” , un piccolo cucciolo di lupo, esplode in una risata
dirompente: “Ja, ja vucko, emblema!”
Poco prima di deviare per il museo, mi racconta che il quartiere dove
siamo adesso si chiama Dobrijnia ed è qui che si è combattuto duramente,
palazzo per palazzo, casa per casa, e la popolazione del quartiere ha
patito molto durante l’assedio perché le milizie serbe erano arrivate a
conquistare metà di questo quartiere fatto di case popolari, assestandosi
a meno di 15 chilometri dal centro di sarajevo. A Dobrijnia erano avvenuti
sequestri, stupri e uccisioni; qui, tutti i non-serbi erano stati cacciati
dalle loro case e gli uomini erano finiti nei lager.
Finalmente arriviamo alla casa-museo la cui facciata porta ancora i segni
dei mortai. Mi fanno vedere un DVD sulla costruzione del tunnel e sulla
vita nella sarajevo assediata. Sono con un gruppetto di inglesi la cui
guida, una donna bosniaca, non riesce a trattenere le lacrime. Con un
gesto lieve della mano le rimuove dalle guance come se provasse vergogna
a lasciarle scivolare liberamente sul viso. Ho trovato quel gesto
struggente e lei di una dignità grandiosa. Ci scherza su e ride per
esorcizzare, immagino, la paura che tutto quell’orrore possa un giorno
tornare.
Il primo tentativo di costruire un tunnel sotterraneo prevedeva l’uso di un
tubo di drenaggio per le acque sotterranee ma nel caos della sarajevo
sotto assedio, non fu possibile trovare i disegni delle fognature e il
progetto ben presto fu abbandonato. Ma alla fine del 1992 bisognava
intervenire in modo deciso poiché la popolazione era allo stremo. Il
generale Rasid Zorlak riuscì a trovare due ingegneri in grado di farne il
progetto. I lavori cominciarono in gran segreto. Il progetto prevedeva un
tunnel che passasse sotto la pista dell’aeroporto, per cui era necessario
avere l’autorizzazione dell’ONU, al quale era affidato il controllo, e
assicurarsi che i calcoli fossero estremamente precisi per non causare
danni alla pista e alla sua stabilità. Furono stabiliti i fori d’entrata e
d’uscita per poter dimezzare i tempi di esecuzione scavando
contemporaneamente da entrambi i lati. I lavori di scavo iniziarono nel
gennaio 93. Tre o quattro ore di lavoro al giorno, non di più, perché i lavori
erano rallentati dai continui bombardamenti e anche perché si potevano
usare solo picconi e pale. Per illuminazione si usavano ciotole piene di olio
commestibile con una piccola miccia. Con aprile, per affrettare i lavori si
organizzarono tre turni di otto ore ciascuno così da coprire per intero la
giornata. L’acqua che riempiva la galleria veniva risucchiata da una pompa
idraulica ma, più spesso, per la continua interruzione della corrente
elettrica, venivano usati secchi e taniche. Nel frattempo gli assedianti,
accortisi dei lavori, iniziarono a bombardare sistematicamente l’area
interessata allo scavo per scoraggiare la continuazione e rallentare i
lavori. Il 30 luglio 1993 alle ore 21, dopo sette mesi di lavori quasi
ininterrotti, i due tronconi vennero collegati e gli uomini che in quel
momento stavano scavando si strinsero la mano. Ora sarajevo disponeva
di un collegamento sotterraneo da dove far confluire armi e soldati e
generi alimentari, ed evacuare feriti in zone controllate dall’Armija
bosniaca. Il tunnel misurava 800 metri di lunghezza per 1,5 di larghezza e
altezza e collegava sarajevo con i territori liberi della Bosnia Erzegovina.
Sostanzialmente il tunnel fu uno strumento della strategia militare di
estrema importanza. Per due volte le granate serbe fecero strage di civili
in attesa di attraversare il tunnel. Scavato sotto la casa della famiglia
Kolaric, adesso è diventato un museo. I due vecchietti proprietari, nonno
Alija e nonna Sida, divennero famosi durante la guerra: c’era sempre un
pezzo di pane e un bicchiere d’acqua per i soldati stanchi che ritornavano
dal fronte e si riscaldavano chiacchierando nello stanzino riscaldato da
una stufetta a legna.
La mattina seguente, di buon ora, lascio sarajevo e dopo aver percorso il
trafficato e caotico “viale dei cecchini” , prendo la deviazione per Zenica.
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