Provenza e Camargue (Aprile 07)

località: genova, gordes, roussillon, avignone, les saintes maries de la mer, arles
regione: provenza, camargue
stato: francia (fr)

Data inizio viaggio: giovedì 26 aprile 2007
Data fine viaggio: martedì 1 maggio 2007

Sei giorni alla scoperta di due regioni bellissime del sud della Francia: Provenza e Camargue. Un itinerario in macchina con il mio ragazzo, da Padova, facendo tappa a Genova e girovagando poi tra Provenza e Camargue, fino alle bocche del Rodano.

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Padova - Genova

giovedì 26 aprile 2007

Alle 6.30 suona la sveglia: io ed Enrico raduniamo le ultime cose, carichiamo i bagagli in macchina, controllo per la terza volta che tutte le prese siano staccate (sì, ho questa mania prima di partire per le vacanze) e via verso la nostra prima tappa: Genova. Il tragitto è tranquillo e la scelta di partire il giorno dopo la festività del 25 aprile si rivela azzeccata: per strada non c’è traffico e filiamo dritti verso la nostra destinazione.
Arriviamo a Genova verso le 11.30: in lontananza la città mi appare in tutta la sua “fatiscente” bellezza, un’attempata signora adagiata sui colli. Controllo il navigatore, imposto l’indirizzo del bed and breakfast dove passeremo la notte, e proseguiamo lungo la strada indicata.
La cosa che maggiormente mi colpisce è lo stradone sopraelevato a due carreggiate che divide la città dal mare: un innesto di rumorosa modernità in un contesto che si sembra mantenuto inalterato dagli anni Sessanta. L’accostamento stride in effetti, ma capirò presto che proprio nella convivenza di aspetti tanto diversi risiede il fascino della città.
Dopo qualche esitazione di Petruska (così abbiamo goliardicamente battezzato il nostro navigatore per il marcato accento est-europeo), raggiungiamo il bed & breakfast Blu, al secondo piano di un vecchio palazzo nei pressi di Palazzo del Principe. Ci accoglie Fulvia, una signora molto cordiale e dallo sguardo vivace, che ci fa accomodare nella nostra stanza. Il bed & breakfast è ricavato all’interno di un grande appartamento, in un ambiente luminoso e pulito. E il prezzo è davvero vantaggioso: € 50,00 per la camera, compresa una buona colazione.
Dopo aver sistemato i bagagli, Fulvia ci illustra le cose da vedere in città, indicandocele sulla cartina. Ci dice che ci sarà parecchio da camminare ma la cosa non ci spaventa, anzi: dopo 5 ore di auto non vediamo l’ora di sgranchirci un po’ le gambe.
E in effetti il nostro desiderio viene largamente esaudito: a piedi giriamo tutto il centro storico, passiamo di fronte alla monumentale chiesa di S.Lorenzo, sbuchiamo in piazza De Ferraris, esploriamo le viuzze dove più volte ci perdiamo, visitiamo una bella mostra fotografica sugli anni 70, e continuiamo a vagabondare fino a sera senza sosta. I piedi ci dolgono ma il richiamo della città è forte: e continuiamo a camminare.
Dopo esserci abbuffati di focaccia e farinata, ci tuffiamo nuovamente nelle caratteristiche viuzze del centro, fitte di negozietti dalle più svariate tipologie: non è raro trovare punti vendita in franchising di grandi marchi, dagli arredi smoderatamente “glamour”, accanto a piccole botteghe di artigiani o commercianti che odorano di legno vecchio e di muri umidi. Appena abbandoniamo il circuito più battuto, che si snoda lungo le stradine principali a misura di turista, e ci addentriamo nei vicoletti del centro, la città rivela il proprio volto autentico. Una vecchia tipografia attira la nostra attenzione: proviamo a sbirciare dentro ma le vetrine sono oscurate, al riparo da sguardi curiosi. Il sole, peraltro quel giorno frequentemente nascosto dalle nubi, filtra a stento tra i vecchi e alti palazzi, proiettando al suolo una luce particolare. E’ qui, tra i vicoli della Maddalena, a pochi metri dalle luccicanti vie “commerciali”, che è frequente incrociare donne e ragazze dall’abbigliamento succinto, per lo più straniere, appostate accanto agli ingressi delle abitazioni dove offrono i propri servizi a pagamento. Genova mi stupisce ancora una volta mostrandosi brutalmente in tutta la sua sfaccettata realtà.
Decidiamo a questo punto di fare una sosta e dove se non sul romantico molo del porto antico? Raggiungiamo quindi la grande chiatta galleggiante, dopo aver minuziosamente esaminato tutte le imbarcazioni attraccate, per la maggior parte straniere, fantasticando su quale delle tante avrebbe fatto al caso nostro. Passiamo di fianco alla grande bolla tropicale progettata da Renzo Piano, una specie di serra sferica trasparente dove è stata ricreata una foresta tropicale, piante e animali annessi. La cosa può anche stuzzicare il nostro interesse ma decisamente 5 euro di ingresso ci sembrano eccessivi per quanto offre l’attrazione e decidiamo di proseguire.
Raggiungiamo l’estremità della chiatta dove finalmente riposiamo le nostre “stanche membra”. Il sole finalmente fa capolino tra le nubi. Da qui la vista della città è eccezionale: gli edifici abbarbicati sembrano afferrare i monti, quasi fossero muniti di artigli, e vi si distribuiscono in modo disordinato.
Ci raggiungono alcuni operatori muniti di telecamera e microfono, una ragazza e un uomo brizzolato sui 45 anni: preparano l’attrezzatura, studiano velocemente il luogo e scelgono l’inquadratura adatta. Li osserviamo incuriositi: in effetti sembrano dei professionisti. La ragazza comincia ad intervistare ’uomo, che risponde a favore di telecamera. Il rumore del mare mi impedisce di comprendere il senso delle sue parole ma qualcosa riesco a carpire: si parla di un film girato lo scorso inverno, ambientato a Genova con protagonisti del calibro di Margherita Buy e Antonio Albanese. Intuisco che si tratta di un personaggio di un certo spessore ma non oso chiedere. Solo in seguito, al rientro dalle vacanze, farò l’amara scoperta: si tratta di Silvio Soldini, noto regista italiano, che tra gli altri ha diretto “Pane e Tulipani”, in assoluto il mio film prediletto. Purtroppo, mea culpa, riconosco facilmente le facce inflazionate di insulsi personaggi televisivi, sarà anche perché ce le propinano in tutte le salse, ma il volto del regista non mi era per nulla familiare. Peccato, avrei colto con piacere quell’occasione per una cordiale stretta di mano. Lasciamo il mare e ci addentriamo nuovamente nelle caratteristiche viuzze del centro.
Dopo aver cenato alla trattoria “Alle due torri”, vicino alle Torri di Porta Soprana, ci avviamo, esausti, al nostro alloggio per la notte.

Genova - Aix-en-Provence

venerdì 27 aprile 2007

Dopo la scarpinata di ieri, oggi decidiamo di optare per un programma dai ritmi più rilassati e ci concediamo una visita all’Acquario. Ci incamminiamo a piedi e per strada notiamo la presenza di numerosissimi negozi cinesi che vendono prodotti a prezzi bassissimi: una vera invasione. Di commercianti “autoctoni”, nella parte più occidentale del centro cittadino, nemmeno l’ombra. Puntiamo verso la nostra meta, ma in dirittura d’arrivo ci concediamo una piccola deviazione verso i vicoli del centro. Lo devo ammettere: questi vicoletti mi richiamano come le Sirene di Ulisse.
Non so, vi ci trovo un sapore particolare, “zingaro”, e l’odore del mare si mescola a quello della multietnica realtà umana che lo popola.
Dopo una breve immersione nei vicoli del centro, ci dirigiamo, senza più distrazioni, verso l’Acquario. Meta turistica per eccellenza, l’Acquario attira ogni giorno gruppi numerosissimi di turisti e vivaci scolaresche. In effetti, se siete a Genova, vale davvero la pena la visitarlo (ingresso €15): lo spettacolo è garantito e non stupitevi se vi sembra di ridiventare bambini quando vi emozionate alla vista dei bellissimi delfini o vi sorprendete dell’agilità acquatica dei delfini o, ancora, riconoscete nel pesce pagliaccio le fattezze di Nemo, il vispo pesciolino dell’omonimo cartone animato.
E’ ammesso scattare fotografie ma ricordate di disattivare il flash. Le vasche sono luminose e le foto vengono benissimo lo stesso. E i pesci ringraziano.
Il percorso è piuttosto lungo e per completarlo si impiegano non meno di tre-quattro ore. All’interno della struttura c’è anche un capiente cinema dove, all’incirca ogni 20 minuti, viene trasmesso un filmato 3D che proietta lo spettatore nei più profondi abissi marini, a contatto con creature davvero terrificanti.
Se amate gli uccelli tropicali, con un piccolo supplemento (€ 2) è possibile visitare la sala dei colibrì, dove questi animaletti, dal battito d’ali rapidissimo, volano liberi sopra la vostra testa.

Nel primo pomeriggio riprendiamo il viaggio in direzione Aix-en-Provence dove passeremo la notte. Raggiungiamo il nostro bed & brekfast “Mas des Oliviers” in serata. L’alloggio è fuori dal centro cittadino ma davvero grazioso: la parte centrale, adibita a reception e ristorante, è circondata da numerose stanze tipo “bungalow” disposte a ferro di cavallo. L’ambiente è spartano ma pulito e confortevole. Il prezzo è davvero conveniente: € 40 per la stanza.

Gordes - Roussillon - Avignone

sabato 28 aprile 2007

La marcia riprende in direzione di Gordes, nel cuore della Provenza. Il paese è veramente incantevole: un suggestivo borgo di case e palazzi in pietra secca costruito su un promontorio roccioso dal quale la vista sulla valle e i monti del Luberon toglie davvero il fiato. Tutte le viuzze conducono alla graziosa Place du Château, la piazzetta centrale dove si trova l’ufficio turistico, all’entrata del castello.
Non resisto alla tentazione di comprare due mazzetti di lavanda secca nel piccolo negozio di frutta e verdura del centro (sconsiglio di acquistarla nei negozi di souvenirs, la si paga come minimo il doppio).
L’atmosfera qui a Gordes è tranquilla e rassicurante e vorrei rimanere qui a trascorrere l’intera vacanza. Sicuramente un soggiorno in questa località è l’ideale per chi vuole disintossicarsi dai ritmi stressanti e frenetici della vita moderna.
Ad attirare la mia attenzione sono le cicale di ogni dimensione e materiale che invadono tutti i negozi di souvenirs. Terracotta, ceramica, gesso, legno… cicale come profuma-biancheria o come portafiori, come formine per dolci o come semplice ornamento. Ce ne sono anche di particolari, dotate di “fotocellula”, che friniscono quando passa qualcuno. Accanto al più tradizionale sapone, la cicala rappresenta, suppongo, l’articolo più richiesto dai turisti.
Passeggiando per le vie di Gordes siamo richiamati da una signora che ci invita all’interno del suo negozietto per assaggiare alcuni vini tipici del posto. Ne proviamo diversi ma alla fine la scelta ricade su un “vin de figue” e un “vin de coings”. Dato il mio francese ormai arrugginito, non riesco lì per lì a capire cosa si intende per “coings”. La signora non mi è di grande aiuto, parla solo francese e un po’ di inglese. Enrico proprio nemmeno lo considero, sa a mala pena dire “oui” e “no”. Il sapore mi è familiare, sono sicura di averlo già provato ma non riesco a ricollegarlo a nulla di preciso. La scena si fa grottesca, con la signora che prova a “mimare” la forma e la consistenza del frutto e io che non so che pesci pigliare. Finalmente mi viene in mente: è mela cotogna! Ma la signora non sembra convinta, mi fa capire che non sono sulla strada giusta. “Ce n’est pas melocotòn!” – mi dice – “Melocotòn est pêche!”. Alla fine capisco che la signora ha scambiato l’italiana “mela cotogna” con la spagnola “melocotòn”, che effettivamente è la pesca. Dopo questo divertente siparietto di fraintendimenti linguistici, confermo la mia tesi: si tratta infatti di un vino tipico alla mela cotogna, dolcissimo, fermo, liquoroso.
Ci avviamo verso la macchina per spostarci verso Roussillon ma decidiamo prima di fare una breve sosta nei pressi dell’abbazia cistercense di Senanque. La strada da Gordes che conduce all’abbazia è piuttosto stretta e tortuosa e capita di frequente che si creino code, soprattutto a causa dei pullman che, date le dimensioni, occupano l’intera carreggiata.
Scendiamo giù fino a raggiungere la valle dove si distendono enormi campi di lavanda (purtroppo non ancora in fiore) nel mezzo dei quali sorge maestosa l’abbazia. A noi non interessava particolarmente visitarla internamente, per cui non ci eravamo informati sulle modalità di visita. Tuttavia, se si desidera ammirarne i locali interni, è opportuno prenotare la visita che, tra l’altro, può essere effettuata solo in determinati giorni e orari.
Riprendiamo la marcia in direzione di Roussillon, a una decina di km da Gordes. Parcheggiamo l’auto appena fuori dal centro e fin da subito l’impatto è sorprendente: davanti a noi si apre un’immensa vallata su cui sorge un promontorio di terra d’ocra. Un’enorme macchia rossa su una tavolozza verde. Il paese sorge su una collina che un tempo era la più grande cava d’Europa d’ocra rossa, utilizzata principalmente come tintura per tessuti. Il delizioso centro è un reticolo di stradine fiancheggiate da case dai muri color del tramonto: il giallo si mescola a gradazioni di rosso, di arancio, fino a toccare punte di viola. Nel centro del paesino ci sono diversi negozietti: in uno di questi, di cui non ricordo il nome, ho acquistato dei pezzi di sapone artigianale dal profumo buonissimo e persistente. In Provenza, di sapone i negozietti abbondano e se ne possono trovare di diversi tipi e profumazioni (alcuni sono piuttosto dozzinali, confezionati apposta per i turisti). Solo qui a Roussillon ho trovato un tipo di sapone davvero di qualità, prodotto secondo metodi antichi (da Mas du Roseau).
Mentre passeggiamo per il centro incontriamo diversi turisti con le scarpe inzaccherate di polvere d’ocra. I più estremi si sono addirittura cosparsi la pelle di terra rossa, quasi si trattasse di un fango benefico. Sono davvero curiosa di sapere dove possono essersi ridotti così!
Seguiamo le indicazioni e a piedi raggiungiamo l’ingresso del sentiero dell’ocra (€ 2,00). Lo spettacolo è mozzafiato: pochi passi e ci si ritrova a contemplare dall’alto un immenso avvallamento dalle mille sfumature ambrate. Si scende percorrendo una scaletta di legno: ad ogni gradino mi fermo ad ammirare da una nuova angolazione lo stranissimo scenario. Sembra davvero di essere atterrati su Marte. Il percorso porta ad addentrarsi nel verde della vegetazione mediterranea, reso ancora più intenso dal contrasto con lo sfondo rossastro.
Camminando su polvere fine che sembra zafferano, osserviamo il verde vivace dei pini e dei cedri che interrompe la monotonia del giallo e del rosso e ci sorprendono alcuni pinnacoli rocciosi che svettano maestosi verso l’alto, modellati dall'acqua e dal vento.
Nel tardo pomeriggio riprendiamo il viaggio verso Avignone, attraversando distese sterminate di vigneti dai filari bassi e attorcigliati (da cui si producono i “Vins des sables ” – vini delle sabbie).
Arriviamo quindi Avignone ma raggiungere il nostro hotel in centro è un’impresa.Varchiamo in macchina una delle porte della cinta muraria attraverso le quali si accede al centro storico ma, a causa di una deviazione e dei mille sensi unici che non consentono ripensamenti, ci perdiamo tra le stradine. Il nostro hotel (Hotel Danieli, € 77,00 a notte per camera) si trova proprio lungo il Corso principale, che di domenica è chiuso al traffico. Girovaghiamo un’ora nell’intento di raggiungere l’alloggio e quando ce l’abbiamo finalmente fatta ci dicono che l’hotel è sprovvisto di parcheggio, che dobbiamo uscire dal centro storico e parcheggiare la macchina in un parcheggio a pagamento vicino alla stazione dei treni (€10,00 al giorno). Un’Odissea! Alla fine (finalmente) arriviamo all’hotel e ci concediamo una meritatissima pausa.
La sera, dopo una sana doccia rinfrescante, usciamo per visitare il centro. Raggiungiamo la piazza dell’Orologio, piuttosto animata, e ci dirigiamo verso l’imponente "Palazzo del Papi",uno dei più grandi e importanti edifici gotici medievali in Europa.Ai piedi del palazzo si apre un’enorme piazza, resa ancora più suggestiva dai canti tradizionali in lingua antica provenzale di un artista di strada. Sostiamo un po’ in quella magica cornice per ammirare la forza e la superbia che il Palazzo sprigiona. Riprendiamo quindi la marcia e seguiamo le indicazioni per raggiungere il Pont St Bènèzet, il simbolo della città di Avignone. Chi non ricorda il famoso “pont d’Avignon” menzionato nella famosa filastrocca per bambini? Risalente al 1.100 d.C.,il ponte fu ricostruito svariate volte fino al crollo parziale nel XVII determinato da una piena del Rodano. Gli archi crollati non furono più ricostruiti e oggi il ponte è interrotto, costituito da sole 4 arcate. Ritorniamo in centro e decidiamo di gratificarci con una golosissima crêpe seduti in uno dei tanti bar all’aperto affacciati sulla Piazza dell’Orologio.Ne vale la pena: crêpe al cioccolato con scaglie di cocco e ge

Avignone - Les Saintes Maries de la Mer

domenica 29 aprile 2007

Dopo un sostanzioso “petit dejeuner” consumato all’aperto, comodamente seduti in uno dei bar/ristoranti del centro, ritorniamo nei pressi del Palazzo dei Papi, ancora più maestoso alla luce del sole. Accanto al Palazzo si trovano i giardini papali, un’area piuttosto estesa di cui solo una parte è aperta al pubblico. Da una terrazza panoramica dei giardini si gode di una splendida vista sulla campagna attorno alla città.
Verso pranzo prendiamo le valigie, imbocchiamo la lunga Rue de la Republique e ci avviamo verso il parcheggio per recuperare la nostra auto.
Con una certa emozione penso alla nostra prossima tappa: Les Saintes Maries de la Mer, forse il posto che, più di tutti gli altri, desidero conoscere. E non solo perché c’è il mare (che io adoro). Ad affascinarmi è la storia di Sarah, principessa gitana, che durante le persecuzioni cristiane soccorse alcuni pellegrini abbandonati al largo della Palestina su una imbarcazione senza vele, senza remi e senza cibo. Gettato il proprio mantello in acqua, miracolosamente questo si trasformò in barca e gli esuli furono messi in salvo. Tra di loro c’erano Maria Jacoba, cugina della Madonna, e Maria Salomè, che diedero il nome poi alla località di mare dove si stabilirono per svolgere la propria opera di evangelizzazione. Forse per la sua pelle scura e per le sue origini umili, Sara non fu mai riconosciuta Santa dalla Chiesa Cattolica. Tuttavia divenne la protettrice degli zingari, che ogni anno, il 24 maggio, si radunano a Les Saintes Maries de la Mer per festeggiarla e accompagnare la sua statua in processione fino al mare.
Il paesaggio, man mano che ci addentriamo nel cuore della Camargue, cambia e si fa selvaggio, “ruspante”. Intorno a noi si aprono spazi sterminati, pianure acquitrinose dove non si scorge fine.
Su un lato della strada scorgo un maneggio: una scritta in calce bianca apposta su un’usurata insegna di legno avvisa i turisti della possibilità di fare “promenades à cheval” (passeggiate a cavallo). Mi accorgerò presto che i maneggi di questo tipo sono numerosissimi. Questa parte di Camargue sembra non essere stata per nulla intaccata dal fenomeno turistico di massa, se ne può respirare ancora l’autenticità. Arriviamo al nostro alloggio (Les Rizieres, € 76 a notte per una camera doppia), una bella struttura appena fuori dal centro, immersa nel verde. Appena sistemati i bagagli nella nostra camera raggiungo la piscina per un po’ di relax e un bagno rinfrescante mentre Enrico schiaccia un pisolino.
Verso sera usciamo e raggiungiamo il centro del paese: un gruppo di piccoli edifici bianchi, disposti lungo un intricato gomitolo di stradine, dominate dall’altissima facciata della Chiesa centrale.
Il centro si fa nettamente più turistico e imperversano ristoranti e negozietti di souvenirs. L’ispirazione “gitana” è forte: dalle insegne dei negozi ai nomi dei ristoranti, dalla musica flamenco che si sente provenire dai locali al simbolo del toro onnipresente.
Per la cena optiamo per un ristorantino adiacente alla chiesa, “Le Felibre”. A catturarci è la musica di Golfo & Miguel, un duo di chitarristi/cantanti che ci avvolgono con le calienti note del flamenco, a volte malinconiche, altre volte frizzanti e ritmate. Il giorno volge al crepuscolo e l’atmosfera è perfetta, resa ancora più rilassante e leggera da un’ottima bottiglia di vino con cui accompagniamo il pasto. Ad attirare per un istante la mia attenzione è un’anziana zingara, seduta ad un tavolo, che indossa una larga e colorata gonna lunga fino alle caviglie, un cappello da “buttero” e dei vistosi orecchini dorati. Non so perché ma il popolo zingaro mi ha sempre affascinato, per il suo essere errante, nomade, per il forte legame con la propria tradizione.
Per la prima volta assaggio la bistecca di toro: un bel passo per una che fino a non molti anni fa era rigidamente vegetariana! La serata scivola tra le note del flamenco fino al dolce e alla sigaretta finale che scrocchiamo al cameriere.
Una breve passeggiata per digerire e via verso l’hotel dove passeremo la notte.

Les Saintes Maries de la Mer - Arles

lunedì 30 aprile 2007

La giornata ci regala un bel sole già fin dal mattino. Lasciamo l’hotel e ritorniamo verso il centro di Les Saintes Maries de la Mer. Siamo fortunati: è giorno di mercato. La piazza centrale è occupata da numerose bancarelle che vendono di tutto: vini, prodotti gastronomici locali, borse di paglia, utensili, vestiti, ecc. Una di queste bancarelle espone decine di orologi da polso coloratissimi, realizzati con perline in legno di cocco. I quadranti sono tutti uguali ma incastonati in pezzi di legno dalle forme e colori più disparati, così come i cinturini, fatti di combinazioni di perline tutte diverse. Non resisto e, visto il costo contenuto (€ 5,00), ne prendo due. Altri acquisti che consiglio di fare in Camargue sono le tradizionali borse di paglia: il mercato ne è pieno, di tutte le dimensioni e colori, e il prezzo, rispetto all’Italia, è decisamente inferiore.
Dopo un’estenuante sessione di “shopping” (ringrazio Enrico per la pazienza dato che quando faccio shopping sono un vero ciclone), carichiamo i nostri (soprattutto miei) acquisti in macchina e riprendiamo la visita della cittadina.
Torniamo in centro e visitiamo la chiesa. Più che una chiesa, sembra una vera e propria fortezza, con muri intervallati da feritoie. La navata interna è altissima e la luce che filtra dall’esterno non è sufficiente a illuminare l’ambiente, che appare così ancora più austero. La chiesa sarebbe piuttosto spoglia se non fosse per le centinaia di ex voto stipati ai lati della navata. E’ impressionante vedere quante persone si siano appellate alla santa in momenti difficili della loro vita. Addirittura dei quadri raffigurano in modo didascalico la disgrazia per la quale si è ricorsi all’aiuto di Sara. In una vetrina ci sono invece numerosi arti umani d’argento o di metallo, probabilmente donati da persone sofferenti che chiedevano alla santa la grazia di guarire loro il braccio o la gamba malati.
E’ come se nell’aria vibrasse qualcosa di indecifrabile, sono quasi percepibili i pensieri, le preghiere e le suppliche di generazioni di fedeli che sono passati di qui, ognuno con i suoi guai, ognuno con un desiderio nel cuore.
All’interno della cripta, a destra dell’altare, è conservata la statua di Sara la Nera. Adornata con un diadema luccicante, Sara aspetta il 24 maggio di ogni anno per uscire dalla chiesa ed essere venerata in processione dalle migliaia di zingari che si riversano sulle strade del paese.
Me la immagino, Sara dalla pelle scura, sollevata dalle braccia dei suoi fedeli, ammirata come una regina, coccolata il giorno della sua festa, condotta fino al mare e lì immersa. Mi immagino la festa notturna, le danze vorticose, le gonne roteanti delle donne, i violini impazziti. Riemergo dalle mie fantasie e usciamo dalla Chiesa. Solo qualche passo e mi fermo a guardare i monili esposti in un negozio dal nome inconfondibilmente legato alla tradizione del posto: Les Bijoux de Sarah.
Ci soffermiamo a guardare un ciondolo di rame su cui è impresso uno strano simbolo gitano. Il simbolo raffigura un uomo stilizzato che sorregge l’arcobaleno: un simbolo portafortuna, che rende forti e protegge dalla cattiva sorte. Quale altro migliore regalo da farci per ricordare il nostro viaggio?
Dopo una piacevole passeggiata lungo mare, riprendiamo la marcia verso Arles ma non senza esserci concessi una tipica passeggiata a cavallo.
Invece di recarci presso uno dei tanti maneggi a Les Saintes Maries de la Mer, affollati di turisti, preferiamo fermarci in un maneggio un po' fuori mano lungo la strada per Arles.
Premesso che né io né Enrico siamo mai saliti in groppa a un cavallo, decidiamo comunque di provare l'ebbrezza di essere cowboy per una giornata. Parcheggiamo l'auto e parliamo con i titolari, una coppia stile western che ci rassicura sulla mansuetudine dei cavalli del loro ranch.
Scegliamo il percorso da un'ora (€15,00 a testa), pensando che prima ci facciano prendere confidenza con gli animali, magari tenendo loro stessi le briglie e facendoci provare su un percorso circolare, come i classici maneggi nostrani. Invece sellano le "bestiole", qualche veloce indicazione su come "guidare" con le briglie il cavallo, e ci invitano a salire in groppa agli animali. Da lassù la visuale è tutta diversa e forte è la sensazione di precarietà. Credo che Moustique, il mio cavallo, all'inizio abbia percepito la mia tensione e non mi abbia riconosciuta come fantina, tant'è vero che ha cominciato a fare di testa sua. Mentre Enrico e la signora se la spassano in testa al gruppo, io e Moustique rimaniamo indietro e a nulla valgono le mie incitazioni. Qualche passo e il cavallo sosta per mangiare: a un certo punto, dopo l'ennesima pausa "ristoro", Moustique alza la testa e lo vedo con in bocca un intero cespuglio. Mi sa che mi è toccato il cavallo più pigro e goloso di tutta la Camargue! La tensione, mano a mano che proseguiamo nella nostra passeggiata, si stempera, comincio a rilassarmi e riesco ad ammirare i bellissimi luoghi che stiamo attraversando. Siamo proprio nel cuore del Parco naturale regionale della Camargue. Moustique non ne vuole sapere di raggiungere i miei compagni d'avventura e la cosa un po' mi dispiace. Anche se Enrico non conosce la lingua, vedo che se la cava alla grande e intrattiene una lunga conversazione con la signora che gli fa da Cicerone. Io tendo l'orecchio ma riesco a comprendere ben poco. Alla fine ci rinuncio: vorrà dire che mi godrò quest'esperienza in "solitaria". La passeggiata si snoda tra tratti in pianura, piccole salite, stretti sentieri e cannetti dove per passare bisogna chinare la testa e farsi tutt'uno con il cavallo. Nonostante un certo dolore "alle parti basse", tipico dei principianti, la passeggiata a cavallo ci ha entusiasmati e ci ha fatto immergere totalmente nella natura del luogo.
Ripartiamo quindi in direzione di Arles, la nostra ultima tappa. Il viaggio purtroppo sta per volgere al termine. Ad Arles soggiorniamo presso l’Hotel Le Régence in Rue Marius Jouveau, una modesta ma pulitissima e ben gestita pensione in centro storico, lungo l’argine del Rodano.
Per il pernottamento in stanza tripla (l’unica disponibile) con bagno in camera e tv paghiamo €55,00 (ottimo rapporto qualità/prezzo).
Rispetto al rigore della borghese Avignone, Arles appare più “genuina” e “stravagante”. Girovaghiamo per il centro, perdendoci tra le mille stradine che si intrecciano fino a sbucare di fronte a Les Arènes, una delle più antiche arene romane esistenti. Rimaneggiata nel corso dei secoli, oggi l’arena è teatro di numerose manifestazioni come la tradizionale festa dei guardiani della Camargue, organizzata proprio nei giorni della nostra visita. Ceniamo al ristorante Media Luna (rue Amédée Pichot) dove, accanto a tipiche pietanze provenzali, si posso gustare diversi tipi di tapas.

Arles

martedì 1 maggio 2007

Il nostro ultimo mattino di viaggio lo trascorriamo in giro per la cittadina agghindata a festa.
Passiamo accanto ai resti del Teatro Antico, ritorniamo nei pressi dell’arena e ci infiliamo nei vicoli del centro fino ad arrivare in Piazza della Repubblica, in quell’occasione affollatissima. Ci siamo persi il corteo di “guardiani” a cavallo ma ci godiamo comunque la festa. Le donne sono vestite con eleganti abiti tradizionali, stretti in vita e lunghi fino alle caviglie, ed acconciate con i capelli raccolti e con un nastro posto in maniera da sembrare un cappellino. Molte di loro tengono in mano un mazzetto di mughetti, ritenuti di buon auspicio. Raggiungiamo quindi Place du Forum dove incontriamo il famoso caffè ritratto da Van Gogh nel 1888. Proseguiamo la passeggiata sulle tracce dell’artista fiammingo fino a raggiungere L’Espace Van Gogh, un tempo casa di cura dove Van Gogh fu ricoverato per sospetta schizofrenia. Durante la permanenza in questo luogo, Van Gogh dipinse “Il giardino della Casa della Salute di Arles" che ritrae appunto il giardino e il cortile interno dell’edificio. Studiando la prospettiva del quadro, di cui era esposta una copia, Enrico ed io ci divertiamo a trovare il punto preciso dove l’artista deve aver collocato il suo cavalletto: lungo il porticato, al primo piano, proprio in quel punto che non fatichiamo a riconoscere, 119 anni prima si sarebbe potuto vedere l’artista all’opera. Un pensiero che in quel momento ci emoziona.
Nel primo pomeriggio recuperiamo l’auto per ritornare in Italia. Sosta in serata a Piacenza per un’italianissima pizza e poi dritti fino a casa con la voglia, almeno da parte mia, di ripetere al più presto un’esperienza così bella.