Introduzione
mercoledì 9 aprile 2008
Rieccomi in partenza per un altro tour, stavolta la destinazione &232; l’itinerario dell’Esodo, sulle tracce del cammino di Mos&232;, un percorso che s’interseca ininterrottamente fra cultura, storia e religioni.
Attraverser&242; Egitto, Giordania, Cisgiordania e Israele paesi non lontanissimi da noi in termini geografici, ma dalla cultura molto diversa dalla nostra e dissomigliante anche fra i vari popoli.
Il viaggio dell’Esodo per chi vuole capirne la profondit&224; storica e religiosa non &232; un viaggio facile, occorre comprendere sempre bene il luogo dove ti trovi, afferrare quanto &232; successo e saper sempre guardare attentamente il quadro:
• geografico, con la comprensione dei testi biblici lungo l’itinerario di Mos&232;;
• storico, con gli avvenimenti storici e le scoperte archeologiche;
• biblico, con il messaggio religioso del testo biblico e la sua rilettura cristiana;
• del Mistero, con le celebrazione, le preghiere ed i canti;
• turistico, con le guide che descrivono i luoghi che vedremo nell’itinerario.
Preparo la valigia con vestiti estivi ed adatti per il trekking, la mia reflex digitale (Nikon DX40) con tre schede di riserva, il mio inseparabile Moleskine&174; (il blocco per gli appunti), delle penne, il passaporto, il programma di viaggio, le guide e non per ultimi gli indispensabili biglietti aerei.
Per il viaggio ho scelto le guide: Egitto, Giordania, Israele del Touring Club Italiano e nel diario far&242; riferimento ai luoghi da me visitati indicando la pagina della guida con anteposta la nazione per facilitarne la rintracciabilit&224;. Esempio: Egitto (E-TCI pag.), Giordania (G-TCI pag.), Israele (I-TCI pag.), in modo che chi volesse compiere approfondimenti trovi i riferimenti necessari.
Parte prima
mercoledì 9 aprile 2008
In una nuvolosa e fredda giornata primaverile, ci rechiamo presso la stazione ferroviaria di Saronno (VA) per prendere, alle 11,16, il Malpensa Express, il treno che in 30 minuti ci condurr&224; all’aeroporto internazionale di Malpensa. La giornata, &232; come l’aeroporto dopo le recenti cronache che vedono Alitalia voler abbandonare la struttura aeroportuale, grigia e cupa. L’aeroporto &232; semideserto, molti imbarchi sono chiusi, sembra di girare in una cattedrale del deserto, all’esterno pochissime auto e pullman, all’interno ci si muove fra banchi d’accettazione vuoti, una desolazione infinita ed anche il caff&232; pare aver un sapore amaro. Ma questo non smorza il nostro entusiasmo per una meta cos&236; importante per tutti noi.
Poco dopo, mentre siamo in fila per il check-in tutto il gruppo si riunisce, in totale siamo in 27, diretti con un volo Alitalia ad Il Cairo, punto di partenza di questo viaggio che ci vedr&224; ripercorrere la Via dell’Esodo, il percorso del popolo ebreo che uscendo dall’Egitto ha compiuto fino ad arrivare alla “terra promessa”, ovvero gli attuali stati di Israele e della Cisgiordania (Palestina).
Il “Viaggio dell’Esodo”, ma che significa Esodo? Qui voglio, velocemente, approfondire questo complesso concetto.
“L’esodo &232; il “Credo” storico d’Israele. “Il signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, …. ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese dove scorre latte e miele” (Dt. 26,8-9)
L’Esodo &232; l’evento tipico della salvezza. E’ l’icona dell’agire di Dio col suo popolo di sempre, e la conseguente risposta che da esso si aspetta. L’esodo &232; il paradigma del rapporto uomo-Dio, segnato da queste tappe:
• La liberazione da una schiavit&249;, per mano gratuita di Dio, perch&233; &232; il “go’el”, cio&232; il parente che si sente legato (solidariet&224; di Cristo) alla nostra umanit&224;; attraverso le acque, simbolo del male da cui si esce, cio&232; il battesimo.
• L’alleanza, per fare del suo popolo una famiglia (in ebraico ‘am), siglata da un banchetto (l’Eucarestia), dal sangue (la circoncisione e la croce), dalla nuova Legge.
• Il deserto, ovvero il tempo di prova, di tentazione, di caduta, di misericordia, di perdono.
• La Terra promessa, la nuova terra dove vivere, attraverso un Mediatore, ovvero Mos&232; (Cristo)
L’esodo costituisce quindi il fatto salvifico nella sua essenza.
L’Esodo &232; un luogo; il Sinai. L’Esodo &232; una storia; quella di Mos&232;. L’Esodo &232; un libro; quello biblico. L’Esodo &232; il Mistero che in Cristo si attualizza in ogni Messa. Quattro orizzonti che si intersecano e che interagiscono.” (Testo tratto da Romeo Maggioni – Sui sentieri dell’esodo)
Girare nell’aeroporto &232; desolante anche il duty free &232; chiuso “per inventario”, le due ore d’attesa trascorrono lentamente nelle sale d’aspetto; ne approfitto per leggere testi sull’Esodo, sull’Egitto, qualcosa pi&249; in generale sul Merio Oriente e chiacchierare con i miei compagni di viaggio.
Arriva il momento dell’imbarco e ad attenderci in mezzo la pista, troviamo l’aeromobile A-320 dell’Alitalia, denominata “Libeccio”, come il vento che spira da sud-est proveniente dalla Libia e speriamo ci porti sole e caldo.
Il volo procede regolarmente e dopo circa quattro ore, intravediamo un grande fiume, &232; il Nilo, sulle cui rive si vedono delle abitazioni immerse nel verde. Man mano che il volo prosegue, noto che la densit&224; delle abitazioni aumenta sensibilmente e mentre il Nilo si dirada in pi&249; rami, nella foschia sorvoliamo la periferia de Il Cairo, la capitale dell’Egitto, una citt&224; immensa dove la periferia si estende a perdita d’occhio.
Sono cerca le 18,00 e le prime luci illuminano le strade e le case terrazzate che dall’alto, appaiono come dei parallelepipedi; in lontananza, nella foschia s’intravede la figura delle piramidi che massicce ed imponenti volgono la loro punta verso il cielo che pian piano si sta riempiendo di stelle.
Atterriamo e raggiunta la struttura aeroportuale, ci apprestiamo a ritirare le valigie, superiamo il controllo dei passaporti con l’apposizione del visto d’ingresso, poi ulteriori verifiche ed infine lasciando l’aeroporto ci dirigiamo verso il pullman e qui siamo accolti da un’aria fosca e pesante dovuta all’inquinamento atmosferico.
Caricate le valige e saliti a bordo dell’automezzo, ci dirigiamo verso l’albergo; attraversiamo la citt&224; con un tragitto che si snoda per arterie di grande traffico, per strade sopraelevate, per ponti che attraversano il maestoso Nilo. La capitale conta 20 milioni di abitanti sui 75 milioni dell’intero paese.
Durante il viaggio, un incaricato dell’agenzia, ci offre come benvenuto, dei gustosissimi datteri ricoperti di cioccolato e, da buon commerciale cerca di proporci delle “alternative” a quanto previsto nell’escursione, chiaramente a nostre spese, ma il tentativo non gli riesce. Lungo le strade il traffico &232; sostenuto, ho l’occasione d’ammirare la flotta dei taxi composta per la maggior parte di Fiat 128, Fiat 124 e Peugeot 305. Le strade sopraelevate corrono fra le case e viaggiando non &232; inusuale poter “vedere” all’interno delle abitazioni delle scene di vita quotidiana.
Dopo quasi 2 ore di viaggio, arriviamo nei pressi di Giza dove abbiamo l’albergo; da tempo &232; gi&224; comparsa una bella luna crescente ed il suo spicchio emerge nel cielo blu.
L’albergo &232; caratterizzato da basse villette ed all’interno presenta un giardino con un’enorme piscina. Ci rechiamo in camera e poco dopo ci riuniamo per la cena: la cucina ed i sapori egiziani sono ben graditi; ottimo il pane arabo, la carne, le verdure ed i dolci.
Dopo cena, un breve giro, ed infine ci rechiamo a dormire, ma il sonno &232; disturbato dal rumore della strada sopraelevata che scorre in prossimit&224; delle camere.
Parte prima
giovedì 10 aprile 2008
La sveglia suona alle 7,00 ma eravamo gi&224; svegli per il rumore del traffico pesante che dall’alba &232; aumentato. Usciti dalla camera veniamo accolti da un bellissimo cielo azzurro ed un p&242; di vento rende l’aria piacevole. Colazione e poi alle 8,00 si parte per la piana di Giza dove sorgono le piramidi.
Sul pullman facciamo la conoscenza della guida che ci accompagner&224; in questi giorni; si chiama Felice, ha 36 anni e parla discretamente l’italiano. Dopo un breve tragitto nel caotico traffico della periferia giungiamo su una collina dove possiamo avvistare le tre piramidi, velocemente ci avviciniamo al sito archeologico ma troviamo un’infinit&224; di pullman con turisti. Appena scendiamo dal pullman prima di accedere all’area archeologica, dobbiamo sottoporci al controllo del metal detector e ci troviamo incolonnati in una lunga fila di visitatori diretti alla piana.
Il posto di controllo sorge in prossimit&224; della piramide di Cheope e mentre sono in fila posso con tutta tranquillit&224; osservare la maestosit&224; dell’opera, sono a pochi metri dall’immensa base lunga 230 metri, la sua cima a 137 metri, &232; proprio sopra la mia testa, inutile negare un’emozione a scrutare questo immenso edificio che tante volte ho potuto ammirare in filmati, fotografie e servizi archeologici in tv. Ma essere in loco &232; sempre una grande ed immensa emozione. Sono lungo il fianco nord della piramide nel luogo in cui si vede l’accesso alle camere interne e malgrado l’ora, vi sono gi&224; molti turisti in attesa del loro turno per entrare.
Riprendiamo il pullman diretti verso un punto panoramico da dove &232; possibile osservare nella loro maestosit&224; le tre piramidi; quella di Choepe, Chefren e Micerino (E-TCI 112). Dall’angolazione cui osserviamo i manufatti parrebbe che la piramide di Chefren sia la pi&249; grande, ma &232; solo un effetto ottico dovuto alla prospettiva ed al terreno ondulato. Questo punto d’osservazione &232; frequentato prevalentemente da turisti ed appena scesi dal pullman prima di poter ammirare le piramidi e scattare delle foto, siamo circondati da locali che vogliono farsi fotografare con noi in cambio di qualche spicciolo; mentre poco distante vi sono dei venditori di souvenir oltre ai cammellieri che aspettano i turisti da portarli a dorso di cammello in prossimit&224; delle piramidi.
Il vento che soffia nel deserto rende difficoltoso il fotografare anche per la concomitanza della forte luce mattutina, che render&224; le foto un po’ chiare; mentre la sabbia sollevata e trasportata dal vento, s’infila ovunque, nei vestiti e nella macchina fotografica.
Terminato di fotografare, ripartiamo in direzione delle piramidi; ci fermiamo tra la piramide di Cheope e quella di Chefren, la guida ci da due possibilit&224;, o entrare nella piramide di Chefren oppure andare a vedere il “la barca del Faraone”, posta in una struttura adiacente alla piramide di Cheope: decidiamo per la seconda opzione.
Appena scendiamo dal pullman siamo assaliti da venditori di souvenir dozzinali, che con insistenza esasperante vogliono vendere qualcosa a qualunque costo, e solo a fatica e con poca delicatezza riesco ad allontanarmi da questi personaggi.
Avvicinandomi e costeggiando la piramide di Cheope resto attratto dall’imponenza e dalla bellezza della stessa, posso ammirare le serie di blocchi di pietra posati con estrema perizia e precisione che creano la struttura avvincente rendendola una delle 7 meraviglie del mondo antico.
Percorriamo la strada che costeggia un lato della piramide quando troviamo un edificio di recente costruzione; &232; “museo della Barca Solare”, (E-TCI 115) entriamo, paghiamo il biglietto e, dopo aver calzato delle buffe soprascarpe (per non rovinare il pavimento ligneo), accediamo all’interno delle sale dove vediamo la buca in cui &232; stata ritrovata la barca del Faraone; il manufatto ligneo, realizzato in cedro del Libano, secoli fa solcava le placide acque del Nilo trasportando il Faraone, Re d’Egitto.
Al piano superione della struttura &232; collocata la barca, &232; stupendamente bella. Lunga quasi 44 metri e larga 6, si presenta con la chiglia allungata, con la prua che si slancia imponente verso il cielo. Al centro la cabina di legno, supportata da dei pali a forma di fior di loto chiuso, poi lo spazio per 5 rematori per parte, ed in coda i due timonieri. Oggi si pu&242; solo immaginare la bellezza di tale imbarcazione che, ornata, leggera scivola sulle placide acque del grande fiume, trasportando il regale dell’Egitto antico.
Questo capolavoro d’arte fluviale &232; stato ritrovato 65 anni fa, ma solo da 5 anni &232; visitabile presso il museo che &232; stato realizzato sul luogo del ritrovamento. Chiss&224; quante cose d’innestimabile valore si celano ancora sotto la sabbia della piana di Giza.
Lasciamo la barca e costeggiando la piramide di Cheope ci dirigiamo verso il pullman fermo nei pressi della piramide di Chefren, ma ancora siamo assediati dai seccanti venditori di souvenir. Mentre aspetto gli altri componenti del gruppo, ho modo di ammirare la seconda piramide per imponenza alta 136 metri e larga 210 (E-TCI 117).
Risaliti sull’automezzo, ci dirigiamo verso l’estremit&224; opposta della piana, dove sorge La Sfinge (E-TCI 116), l’enorme statua a forma di leone con la testa da Faraone. Accediamo all’area archeologica, ma anche questa &232; invasa da vocianti turisti che rendono difficoltoso il movimento e fra i pi&249; incredibili vi sono i giapponesi che ordinatamente, scrupolosamente, s’infilano ovunque fotografando di tutto con macchine tecnologicamente parlando, sempre all’avanguardia.
Malgrado la grande presenza di tanti turisti, riusciamo a visitare bene l’aera dove vi &232; la Sfinge; vediamo il Tempio di granito (detto anche il Tempio della Sfinge), il cui nome deriva dagli imponenti blocchi monolitici di granito rosa, perfettamente posati tra di loro, che sono stati utilizzati per realizzare i muri e le colonne.
Arrivando in prossimit&224; della Sfinge &232; impossibile non restare ammaliati dall’imponenza della statua, lunga 57 metri ed alta 20 ed &232; posta a circa 350 metri dalle piramidi. Mi soffermo a scattare qualche foto; fotografarla da diverse angolature, con lo sfondo delle piramidi stesse &232; veramente un’emozione. Peccato che molti turisti presenti non riescano a coglierne completamente la bellezza perch&233; dal loro comportamento frettoloso noto che sono interessati alle sole fotografie ricordo.
Terminata la visita, lasciamo Giza dirigendoci verso il centro citt&224;, il traffico &232; sempre molto caotico e sostenuto; anche le strade sopraelevate a grande scorrimento si rivelano insufficienti per il gran numero di automezzi che circolano.
Poco prima di mezzogiorno arriviamo alla citt&224; vecchia, la parte coopta della capitale, dove si trovano delle antiche chiese. Si accede al quartiere, risistemato recentemente, percorrendo una via dove su un lato si erige l’antico muro di cinta e dall’altro scorre la metropolitana cittadina. Giungiamo ad uno slargo e ci fermiamo in prossimit&224; del museo coopto per osservare quello che rimane di un’imponente torre realizzata dai romani e parzialmente ricostruita (E-TCI 81), proseguiamo per alcuni metri ed accediamo, tramite un portale in sasso decorato, ad un cortile interno che da l’accesso alla chiesa “La Sospesa” (E-TCI 84). La chiesa si presenta con una bell’architettura interna, emerge al centro l’ambone marmoreo del XII sec. con colonne scolpite la cui bellezza lascia estasiati per la finezza della lavorazione.
Lasciando la Chiesa Sospesa e ripercorrendo un tratto di strada verso il pullman, visitiamo la chiesa di San Giorgio (E-TCI 82), dove all’esterno &232; collocata, a fianco alle scale che conducono alla chiesa, la statua di San Giorgio che lotta contro il drago, l’interno a forma circolare &232; una classica chiesa coopta, con tante icone.
Parte seconda
giovedì 10 aprile 2008
Proseguiamo il giro e tramite un vecchio acceso, oltrepassando le mura, camminiamo per stretti vicoli pieni di negozi, dove noto delle interessanti pubblicazioni, delle incantevoli foto in bianco e nero, oltre che a dei cd di musica egiziana e araba. Dopo qualche centinaio di metri giungiamo alla Chiesa di San Sergio (E-TCI 82), una chiesa coopta nascosta tra le case; costruita sull’abitazione dove la tradizione vuole che la Sacra Famiglia, qui abbia sostato durante la permanenza in Egitto, quando si erano rifugiati per evitare la caccia organizzata da Erode.
Questo luogo diventer&224; idealmente il punto di partenza del nostro esodo fino alla citt&224; Santa; Gerusalemme.
Lasciamo il quartiere coopto che sono quasi le 13 e ci dirigiamo verso il Nilo; in un ristorante affollato da turisti ci fermiamo per il pranzo; un cibo “passabile”, molto dozzinale dove l’unica cosa discreta &232; il pesce fritto ed il riso bianco con la cipolla.
Il pomeriggio &232; dedicato alla visita del Museo egizio (E-TCI 71), un luogo che &232; una sosta obbligata per un turista che vuole visitare Il Cairo. Il museo che &232; stato realizzato all’inizio del 1900 mostra tutti i suoi anni ed anche l’organizzazione delle sale risulta, come impostazione complessiva, “datata”; ma malgrado ci&242; &232; un’emozione poter ammirare tanti reperti delle dinastie dei Faraoni, poter vedere copia della famosa stele di Rosetta (l’originale &232; in Inghilterra), la pietra, scritta in tre lingue, arabo, greco e geroglifico, dove Champollion tra il 1822 ed il 1832 riusc&236; a decifrare per la prima volta i geroglifici, dando senso compiuto a questa forma di scrittura fatta di disegni e simboli. La visita al museo prosegue osservando dei sarcofaghi, poi accediamo al piano superiore che &232; quasi interamente dedicato al materiale ritrovato nella tomba di Thuthankamon: il Faraone morto all’et&224; di 18 anni, la cui tomba non fu mai scoperta n&233; violata dai predatori.
All’inizio del piano, posto su una parete, osservo un disegno raffigurante in sezione quanto e come &232; stato trovato nella tomba scoperta da Carter nel 1922; lo stesso Carter ha fatto un prezioso e certosino lavoro di catalogazione di tutti i pezzi ritrovati che ora sono esposti nelle teche di vetro presenti sul piano. Risultano particolarmente interessanti da guardare attentamente; il trono, finemente decorato ed impreziosito di pietre dure; i vasi in alabastro di raffinata fattura; i letti cerimoniali, delicatamente intarsiati o dipinti. Poi i Vasi Canopi, ovvero i 4 vasi che racchiudevano gli organi interni del corpo che gli imbalsamatori toglievano al defunto prima dell’imbalsamazione (fegato, polmoni, intestini e stomaco).
In bella mostra vi sono anche i carri da parata e da guerra che il Faraone usava, dove spicca un carro dorato di alta fattura proveniente dall’Asia.
In alcune teche sono racchiusi dei contenitori, che sembrano delle enormi scatole e guardandoli non riesco a comprenderne l’uso, e non vi sono neppure delle spiegazioni, chiedo a Felice cosa sono e mi dice che sono dei contenitori, che infilati l’uno dentro l’altro racchiudevano il sarcofago della mummia di Thuthankamon. Le dimensioni di questi contenitori sono davvero impressionanti e solo guardandoli con attenzione, con la prospettiva giusta, si vede che uno entra nell’altro, e nel contenitore pi&249; piccolo, si trovavano i vasi canopi ed il sarcofago d’orato.
Infine, in una stanza climatizzata e ben protetta vi &232; il “tesoro”, ovvero il sarcofago dorato, la maschera funeraria di Thuthankamon in oro massiccio arricchito di lapislazzuli (dal peso complessivo di 48 kg) e i gioielli che il faraone indossava. Un posto dove la bellezza non ha eguali, dove la storia dei faraoni mostra tutta la sua magnificenza ed il suo incanto, un posto dove le parole vengono a mancare per lo stupore e la meraviglia che coglie il visitatore interessato.
Uscendo dalla stanza del tesoro, rientriamo fra la ressa che affolla l’edificio, ed il caldo umido ci fa ritornare alla realt&224;. La fretta non mi permette di girare le sale come vorrei per vedere l’evoluzione delle varie dinastie dei Faraoni e i vari reperti che sono custoditi in questo luogo. Velocemente vediamo qualcos’altro, soprattutto facciamo un giro fra le statue di granito nero delle prime dinastie. Un vero peccato non aver potuto approfondire alcuni argomenti dell’antichit&224; egizia; ma oggi il turismo di massa &232; anche questo.
Terminata la visita al museo, rientriamo in albergo, doccia e poi cena a buffet. La serata trascorre tranquilla giocando a carte e chiacchierando, qualcuno si da ai primi acquisti.
Parte prima
venerdì 11 aprile 2008
La sveglia suona alle 8,00, ma prima era gi&224; passato il personale di servizio che voleva rifare la camera, incredibile la fretta e la disorganizzazione di quest’albergo. Colazione, poi controlliamo che le valigie siano caricate sul pullman e partiamo; malgrado siamo all’inizio della giornata l’aria &232; gi&224; pesante per l’inquinamento. Per fortuna che abbandoniamo la metropoli e ci dirigiamo verso la penisola del Sinai dove l’aria sicuramente sar&224; migliore.
Attraversando l’estesa capitale ci dirigiamo verso la periferia dove sono stati costruiti nuovi quartieri caratterizzati da piccole abitazioni, tutte dotate di parabola televisiva e dall’alto di una strada &232; divertente osservare queste centinaia di parabole che appaiono a perdita d’occhio; un segno evidente del progresso.
Dopo aver superato la citt&224;, nei pressi di una zona collinare, l’autista si dirige verso un’altura che &232; cintata e presidiata dalle forze dell’ordine; siamo giunti alla Cittadella (E-TCI 85), una imponente zona fortificata a ridosso delle montagne e sovrastante la citt&224;, ideata da Saladino nel 1176.
Pagato il biglietto d’entrata ci dirigiamo verso l’interno costeggiando le poderose mura merlate che da secoli sorgono sulla collina, man mano che camminiamo vediamo apparire sempre pi&249; vicine, spiccando alte verso il cielo, le guglie della moschea di Muhammad Ali, la nostra meta.
Dopo aver varcato un enorme portale accediamo alla parte interna della fortezza e solo dopo aver percorso una rampa di scale che conduce alla spianata superiore possiamo godere della completa visione della moschea di alabastro; un incanto unico. Il bianco minerale luccica sotto i raggi del sole, le decorazioni delle finestre, le guglie che svettano verso il cielo, il colore delle cupole, il contrasto tra il bianco dell’alabastro ed il marrone dell’intonaco, l’imponenza della struttura nel suo complesso fanno rimanere stupiti. Giriamo intorno alla moschea osservando altri edifici della cittadella, poi, tramite un portone accediamo al cortile della moschea; essendo un luogo sacro per i mussulmani, dobbiamo togliere le scarpe ed entrare scalzi, un rito, questo di togliere le scarpe e girare a pieni nudi, che viene osservato non solo dai mussulmani ma anche dai buddisti. Cammino nel cortile lastricato di marmo bianco ed osservo la vasca per le abduzioni ed il porticato dove posso posare le calzature per effettuare delle fotografie.
La moschea realizzata tra il 1824 ed il 1848 nella sua forma ricorda quella di Costantinopoli appare immensa. All’interno, le pareti laterali ed i pilastri sono rivestiti di alabastro decorato con motivi floreali, la volta presenta degli affreschi e degli stucchi dorati. E’ veramente un’opera meravigliosa e seducente, un bellissimo esempio di “barocco ottomano” par d’essere veramente in un sito dei racconti di mille e una notte. Mentre Felice descrive la struttura e la storia del luogo, mi diverto a scattare fotografie in esterno ed in interno e, malgrado la difficolt&224; di lavorare a mano libera all’interno, qualche foto risulta veramente bella.
Uscendo dalla moschea, ci troviamo su una terrazza da dove si gode un vasto panorama sulla citt&224;, un’estensione a perdita d’occhio; lontano il vento del deserto solleva sabbia ed offusca la vista delle piramidi. Scatto qualche foto e poi ci dirigiamo verso il pullman. Saliti sul mezzo, lo stesso riparte ma fatti pochi metri si ferma, salgono delle persone con i cestini del pranzo; siamo proprio prossimi a lasciare la metropoli per dirigerci verso il deserto del Sinai. Mentre usciamo dalla citt&224; all’estrema periferia noto molte case con la cupola a bulbo, caratteristica architettonica del mondo arabo.
Appena lasciamo la citt&224; ci troviamo nel deserto, la strada &232; ben asfaltata e la velocit&224; di crociera &232; buona, dopo circa un paio d’ore di viaggio arriviamo ad un posto di controllo, stiamo accedendo nel governatorato di Suez, il deserto muta colore, le rocce da color sabbia diventano di colore rosso e l’immensa pianura &232; disseminata di caserme militari, identificabili per le recinzioni ed i controlli all’ingresso. Ad un tratto si cominciano a vedere villaggi circondati da campi coltivati, e si nota che la presenza dell’acqua &232; rilevante, stiamo giungendo in prossimit&224; del Canale di Suez (E-TCI 165), il canale che attraversando il sabbioso deserto del Sinai permette il collegamento fra il mar Rosso ed il Mediterraneo.
L’idea di creare un canale di collegamento fra i due mari risale al faraone Sesostri, ma solo verso il 500 a.C. si comp&236; l’opera lunga oltre 92 km per collegare il mar Rosso con il “Lago Amaro”, il progenitore dell’attuale canale. Dopo varie ed alterne vicende storiche, si arriva alla realizzazione con l’attuale percorso del canale inaugurato il 17 novembre 1869. Il corso d'acqua, &232; stato rimodernato negli ultimi decenni del XX sec. per consentire il passaggio delle superpetroliere, oggi ha una profondit&224; di 23,5 metri, una larghezza di 480 e permette con un pescaggio massimo di 20,4 metri, il passaggio di navi da 260.000 tonnellate.
Arriviamo all’area di parcheggio in prossimit&224; del canale di Suez e mentre pranziamo con i nostri cestini da viaggio, vediamo in mezzo al deserto qualcosa che si muove, sembrano dei container, ed in effetti osservando bene, sono proprio in movimento. Ma come fanno dei container a muoversi in mezzo al deserto? E’ un’allucinazione? Affatto no; &232; una nave che sta percorrendo il canale e a distanza regolare ne arriva una seconda e poi una terza, &232; un susseguirsi di navi mercantili che dal mediterraneo scendono verso il Mar Rosso. La navigazione nel canale procede in modo alternato; le navi entrano a distanze prestabilite e devono percorre il canale ad una velocit&224; costante. E’ gradevole osservare come a distanze regolari le navi passano una dopo l’altra. E’ altrettanto curioso osservare la velocit&224; delle navi che abilmente percorrono il corso d'acqua, nel luogo in cui avendo dei riferimenti ben precisi, il movimento parrebbe pi&249; veloce che in mare aperto dove non vi &232; nessun punto di riferimento. Veder dei colossi del mare muoversi nel deserto &232; un intrattenimento senza uguali, il divertimento &232; cercare d’individuare la bandiera della nave e comprenderne la nazionalit&224;.
Mentre le navi transitano, il gruppo &232; impegnato a “svuotare” i cestini di viaggio: panino con cotoletta, panino con melanzane e carne grigliata, succo di frutta, patatine. L’area di servizio dove siamo fermi &232; una tappa quasi obbligata per chi transita, quindi il ristoratore &232; attrezzato con dei tavoli che mette a disposizione di chi vuole consumare il cestino da viaggio, ed in cambio offre delle bibite fresche, viene il momento di pagare e ci accorgiamo che avere delle lire egiziane non sarebbe male, nessuno ha pensato di cambiare qualche euro. Alla fine troviamo a fatica la possibilit&224; di poter cambiare degli euro e riusciamo a pagare le bevande; queste difficolt&224; nel pagamento le ritroveremo anche nei giorni seguenti.
Si &232; alzato un vento caldo che rende la temperatura un p&242; torrida ed al posto di controllo prima dell’entrata del tunnel, degli idranti vengono aperti per bagnare l’asfalto e rinfrescare l’aria. Risaliamo sul pullman, e ci apprestiamo per passare il canale di Suez, il controllo risulta veloce in quanto vedono che siamo turisti, un’ occhiata ai passaporti, alle valigie e ci fanno passare. Entriamo nel tunnel “Ahmed Hamdi” che sono le 14,01. Il Tunnel lungo 1.640 mt mette in comunicazione la parte africana dell’Egitto con la penisola del Sinai. Noi, seppur sul pullman, stiamo ripercorrendo parte della strada percorsa da Mos&232; qualche decina di secoli fa e fra poco ci troveremo in pieno deserto arabo/asiatico.
Parte seconda
venerdì 11 aprile 2008
Il tunnel lo si percorre ad una velocit&224; di crociera, s’incontrano camion, macchine ed altri pullman che giungono in direzione opposta, pensare che sopra di noi scorre l’acqua che unisce due importanti mari e che permette ai trasporti marittimi di risparmiare qualche settimana sui tempi di navigazione, &232; veramente meraviglioso. Dopo qualche minuto di percorso, sull’asfalto s’intravede della luce naturale, siamo in prossimit&224; dell’uscita ed infatti il tunnel termina, stiamo iniziando una piccola salita che ci riporter&224; al livello del deserto quando l’autista compie una brusca ed improvvisa frenata, qualche urlo e di fronte a noi ……. appare la cabina di camion che viaggia in senso opposto, l’urto sembra inevitabile, i freni stridono, si sentono anche quelli del camion che procede in discesa. L’impatto si avvicina sempre pi&249;, ma a pochi centimetri uno dall’altro i mezzi si fermano: gli autisti cominciano ad imprecare, chi ha ragione non lo so.
Superato lo spavento il viaggio procedere regolarmente; siamo nel deserto della penisola del Sinai e stiamo viaggiando in direzione sud est diretti verso il punto pi&249; basso della penisola, dove sorge il massiccio del Sinai, che da il nome alla regione.
Lungo la strada superiamo le numerose ed onnipresenti caserme militari, dei villaggi circondati da terreni coltivati e, costeggiando il mar Rosso possiamo notare delle navi in rada che attendono il loro turno per transitare nel canale di Suez verso il mediterraneo. Avvicinandoci verso Sharm el Sheik, superiamo dei villaggi turistici e nei pressi di uno di questi facciamo una sosta per sgranchirci un p&242; le gambe, e qualcuno del gruppo, vedendo un bellissimo mare azzurro turchese ne approfitta per bagnare i piedi. Durante la sosta posso osservare come in questa zona la presenza del vento sia una costante; lo noto sia dalla dune di sabbia addossate alle abitazioni, sia delle piante che, come in tutti i posti di una certa ventosit&224;, crescono inclinate.
Riprendiamo il viaggio sempre costeggiando il mare finch&233; giunti ad un bivio, deviamo a sinistra e c’inoltriamo in pieno deserto diretti verso imponenti massicci rocciosi, un luogo in cui le colline e le montagne appaiono multicolore, si nota il marrone, il nocciola, il rosso, il nero che in alcuni tratti appare blu. Lateralmente alla strada che si dirige verso la parte centrale del massiccio, si aprono in modo alternato grandi e piccole vallate delimitate da imponenti ed aspre montagne rocciose.
La strada in alcuni tratti &232; costeggiata da stupende piante d’acacia, Felice dice che sono delle mimose, personalmente non ne sono convinto, ma mi appunto il particolare. In effetti, controllando poi, scopro che la mimosa fa parte della famiglia delle acacie: Felice aveva ragione. Proseguendo verso la nostra destinazione attraversiamo molti villaggi di beduini che da nomadi sono divenuti stanziali; ma ai bordi dei villaggi o nel deserto si vedono ancora delle tende di questo popolo che mantiene la tradizione nomade.
Il tragitto si snoda sul fondo di una valle disseminata di ampie colline e circondata da alte montagne, sembra d’essere un posto “custodito”, dove chiunque vi acceda debba chiedere il permesso, si ha l’impressione d’essere sempre sorvegliati e controllati da occhi attenti e discreti.
Ci fermiamo presso un piccolo monastero cristiano copto che sorge nei pressi del villaggio di Feiran (E-TCI 279), il cancello &232; chiuso e malgrado l’insistenza di Felice nel parlare con il portinaio non riusciamo ad accedere all’interno. Pare che tutti i sacerdoti siano impegnati, non si sa bene in cosa, ma a detta del guardiano, sono proprio tutti occupati; aspettiamo qualche decina di minuti, ma invano e allora risaliamo sul pullman e riprendiamo il viaggio. Ora la strada scorre tra le gole della montagna a volte strette a volte pi&249; ampie ed il paesaggio muta in continuazione; il sole sta tramontando colorando le pareti di arenaria delle montagne, che colpite dai raggi del tramonto si colorano di rosso ocra. Il colore ocra &232; interrotto solo da alcune intrusioni eruttive basaltiche di granito nero, con piacevoli venature di verde ed appaiono come un puzzle multicolore.
Lungo la strada troviamo dei villaggi circondati da palme da dattero e in alcune zone le coltivazioni delle palme creano degli scorci fantastici.
Noto che per decine di chilometri vi &232; uno scavo aperto, stanno posando una tubazione metallica dal diametro di 25 cm, la condotta solo in parte &232; posata ed ogni tanto si vedono i tubi accatastati pronti per essere saldati e posati; deduco che potrebbe essere un acquedotto o di un oleodotto.
Poco dopo il tramonto arriviamo all’area protetta di Santa Caterina ed in prossimit&224; di un bivio, ci fermiamo al posto di blocco e qui, meticolosamente i militari controllano tutti i passaporti. Ripartiamo e percorsi pochi chilometri, giungiamo in albergo, dove veniamo accolti con un cocktail di benvenuto. La struttura &232; realizzata con una serie di casette disseminate su alcune colline, e sulla pi&249; alta sorge il ristorante.
Sistemate le valigie, usciamo per fare un giro nel vicino villaggio; qui &232; gi&224; notte, le luci illuminano le strade e le case. Sotto dei portici troviamo qualche piccolo negozio aperto e notiamo che il prezzo delle mercanzie &232; pi&249; conveniente che a Il Cairo; un’ottima occasione per fare degli acquisti.
Rientriamo in albergo che &232; ora di cena, poi tutti a nanna per qualche ora, nel cuore della notte partiremo per la salita al Monte Sinai.
Parte prima
sabato 12 aprile 2008
La sveglia, implacabile suona alla 1,30, s&236; esatto alla una e trenta, praticamente abbiamo riposato solo poche ore, il pullman ci attende per la partenza verso il posteggio del Monastero di Santa Caterina (E-TCI 279). Appena fuori dall’albergo facciamo una sosta in un bar per bere del the caldo, il locale &232; affollato di turisti e di pellegrini che si apprestano all’ascesa sul Monte Sinai. E’ divertente osservare la differenza di abbigliamento della gente presente, chi indossa maglioni pesanti, chi gira tranquillamente in maglietta a maniche corte. Gli escursionisti esperti si notano, per il fisico, per l’abbigliamento, per l’attrezzatura; l’atmosfera mi ricorda le mie ascensioni alpine dove nei rifugi alla partenza vi &232; un rituale da rispettare, silenzio, colazione con the caldo, e poi assonnati si parte verso la meta. Anche qui avviene lo steso “rituale” solo qualche parola in pi&249;, ma nei visi della gente noto la stessa espressione di sonno e di freddo.
Saliamo sul pullman e velocemente raggiungiamo il posteggio del Monastero, dove l’automezzo si ferma, verifico le cose che ho nello zaino, posiziono la pila in tasca e scendo dal pullman, ma fatti pochi metri, siamo tutti fermi in colonna, che succede? Perch&233; non ci muoviamo? Anche se il freddo della notte si fa sentire, dobbiamo passare l’ennesimo posto di controllo. Lo superiamo ed accediamo ad una strada sterrata che conduce al Monastero, ci fermiamo, tento una foto notturna al gruppo, ma inquadrare e scattare nel pieno della notte &232; veramente un’azione che richiede molta fortuna per fotografare correttamente i soggetti. Si riparte e sulla strada sterrata, la polvere sollevata dalla gente che ci precede entra nel naso e nella bocca.
Nel totale buio della notte, la salita ha inizio, non so dove sono, non ho riferimenti, se non quello della strada che leggermente sale fino alle mura del Monastero di Santa Caterina, ora la strada si tramuta in un sentiero; dei militari controllano che tutti siano accompagnati da una guida, una ragazza spagnola risulta senza guida, senza un gruppo e viene fermata dalle inflessibili guardie, a cui malgrado l’oscurit&224; della notte nessuno scappa.
Nel pieno della notte stiamo salendo sulle pendici del Monte Sinai, il cielo di colore nero &232; costellato da migliaia di stelle; da molto tempo non vedevo un cielo cos&236; ben illuminato dagli astri. Dopo oltre mezz’ora di salita seguendo la scia di altre pile che ci precedono, giungiamo vicino a delle capanne, dove troviamo i dromedari che erano stati prenotati da componenti del gruppo che non sentendosi preparati per affrontare il lungo percorso, ha deciso di salire approfittando del passaggio degli animali.
Una persona alla volta, aiutata dai beduini, comincia a prendere posto sulla sella. Ma di notte, salire in sella, non risulta cosa semplice, con l’illuminazione delle pile ci si arrangia un poco; io scatto delle foto, poi mi fermo ad aspettare che tutti siano saliti sugli animali e ….. mi ritrovo praticamente solo, solo nella notte e solo alla pendice del Monte Sinai. Illumino con la pila la zona dove mi trovo per cercare di capire dove dirigermi, ma non scorgo nessuna traccia di sentiero. Solo in lontananza, alla mia destra, vedo sulla montagna, il lungo serpentone di pile accese delle persone che stanno salendo ma, nelle mie vicinanze proprio non vi &232; nessuno.
Per fortuna che qualche ascensione notturna l’ho compiuta, quindi non mi perdo d’animo, cerco sulla montagna finch&233; non individuo un sentiero, e m’incammino lungo la salita, ma mi accorgo che mi sto allontanando dal serpentone luminoso che sale sulla montagna. Guardo il cielo, &232; stellato, sono nel silenzio pi&249; assoluto, ne approfitto per camminare in piena solitudine, sono solo io col mio passo, col mio respiro, col mio zaino e con i miei pensieri ad ammirare questo spettacolo offerto dalla volte celeste. Mentre cammino il tempo passa e continuo a restare inesorabilmente distante dal serpentone luminoso, proprio non so dove sono. Mi fermo un attimo per valutare la situazione e decido di proseguire ancora per un p&242; e se non trovo un sentiero per la salita vedr&242; se sar&224; il caso di aspettare l’albeggiare o di ridiscendere e cercare il sentiero per poter salire sul Sinai.
Riprendo a camminare cercando d’illuminare quanto possibile per individuare un sentiero che mi riconduca agli altri e mentre sto camminando, all’improvviso, dal buio profondo della notte mi giungono delle voci; mi fermo per comprendere da che parte arrivino, con la torcia non riesco ad illuminare nulla e decido di proseguire con attenzione verso le voci. Ad un tratto le voci si fanno pi&249; nitide, sono italiani, accelero il passo, la luce della torcia cerca continuamente tracce e pi&249; tardi illumino e raggiungo dei dromedari con in sella delle persone; &232; una parte del mio gruppo che sta salendo, qualche saluto e decido di percorrere un tratto di strada con loro, la salita prosegue sempre tra terra e sassi, gli animali procedono rigorosamente in fila indiana sollevando molta terra che talvolta mangio, quindi decido di lasciare il gruppo e di dirigermi verso il serpentone di luci che si sta avvicinando e, sfruttando un sentiero che ho avvistato, mi allontano dai dromedari.
Da solo salgo abbastanza velocemente e mi sto rapidamente avvicinando al serpentone luminoso che mi precede nella salita; finalmente sono sulla strada giusta quando, dopo un dosso appare, illuminato da lampade, un posto di sosta, lo raggiungo e tra la molta gente presente trovo qualcuno del gruppo che saliva a piedi, altri arrivano a dorso di dromedario. Un veloce saluto, un sorso d’acqua e riprendo a salire nell’oscurit&224;; oramai il serpentone luminoso che sale &232; raggiunto, anch’io ne sono parte integrante. Qui si sale ognuno con il suo passo, chi in solitudine, chi in gruppo ma bisogna sempre fare attenzione ai dromedari che salgono perch&233; sono loro che hanno la precedenza; non fosse altro per la dimensione.
Salendo trovo la strada bloccata da un gruppo di giapponesi che la stanno percorrendo, sono perfettamente ordinati in quattro colonne una affiancata all’altra e preceduti da una persona che cammina tenendo sollevato un ombrello aperto (rammento che siamo di notte), tento di passare sia a destra che a sinistra, ma &232; impossibile, chiedo, gentilmente di passare ma non giunge nessun segnale, finch&233; stanco di mangiare polvere e di procedere ad un passo troppo lento, mi esprimo con decisione ed a voce alta utilizzando termini “crudi e dialettali”. Udendo la mia “richiesta”, il gruppo di giapponesi si ferma di colpo, l’apripista si sposta di fianco, verso la montagna, chiude l’ombrello e solo allora le file si dividono in due ali laterali che mi permettono il passaggio. Mi par d’essere Mos&232; che passa fra le acque del Mar Rosso.
Proseguo sul sentiero tra curve e sassi, a volte incontro persone che vanno avanti piano e che vengono superate dai dromedari che salgono, e come gi&224; detto prima loro hanno la precedenza ed &232; proprio durante uno di questi “ingorghi” che vengo urtato da un dromedario e mi ritrovo per terra, rotolando a mangiare polvere. Per fortuna dei sassi fermano la mia caduta, mi rialzo un po’ ammaccato e proseguo il mio cammino verso la cima facendo ben attenzione alle persone che camminando pi&249; piano dei dromedari possono crearmi dei problemi. Nel salire supero ancora qualcuno del gruppo, e giunto ad un’area di sosta incontro Francesca e Tonina che sono le nostre avanguardie, da qui in poi salir&242; con loro. Il sentiero ora corre sul fianco della montagna proprio sotto le strapiombanti pareti finali; la notte sta volgendo al termine e s’incomincia ad intravedere la forma della montagna. Alla fine di questo tratto di sentiero vi &232; il punto di sosta dove i dromedari si fermano e la gente deve scendere dalla sella, da qui in poi l’unica possibilit&224; per proseguire sono le pr
Parte seconda
sabato 12 aprile 2008
Al punto di sosta troviamo Mariella e Luigia che devono pagare il mezzo di trasporto. Noi tre proseguiamo, mentre lontano appaiono i primi segni del sole, una debole fascia bianca appare all’orizzonte.
Percorrendo il sentiero passiamo in un canale scavato fra le granitiche pareti della montagna, qualche metro di discesa ed arriviamo ad un pianoro con delle costruzioni; siamo “all’anfiteatro dei 70 anziani d’Israele”. Qui oggi sorge un punto di ristoro ed in una capanna un gruppo di ortodossi sta pregando al chiarore delle candele. Vi &232; molta gente, alcuni si fermeranno qui, altri proseguiranno la salita verso la cima della montagna, ed il sentiero ora si trasforma in un’immensa ed infinita scalinata, sono 734 gradini, scavati dai monaci, che portano alla cima. Salire &232; un’impresa, le gambe fanno male, il passo &232; incostante per i gradini disomogenei; anche se qualcuno ci fa passare, la fatica del salire si sente nelle gambe e nel respiro.
Pian piano saliamo, affrontiamo la prima rampa, poi una seconda ed infine arriviamo ad un punto di sosta, siamo accaldati e sudati; occorre fare attenzione al fresco della notte per evitare problemi muscolari e respiratori. Siamo sugli ultimi 100 gradini, la fatica, dopo quasi 3 ore di salita si fa sentire, ma siamo vicini alla meta, le gambe fanno male, ma non si molla, cerco il mio passo costante ed in poco tempo arrivo sullo spiazzo finale della montagna; qui vi &232; gi&224; gente seduta sui massi, Tonina e Francesca hanno trovato un posto “libero” e ci affettiamo a farlo nostro. Sono le 4,30 quando seduti sulla fredda roccia granitica della cima del Monte di Mos&232; (E-TCI 280) aspettiamo il sorgere del sole.
Tonina mantiene la posizione, mentre dagli zaini togliamo un maglione e le giacche leggere per ripararci dall’aria fredda della montagna.
La luce del sole pian piano arriva ad illuminare la montagna ed il gruppo del Sinai mostra tutta la sua bellezza selvatica e la sua imponenza. Le montagne prima grigie, ora colpite dalla luce, diventano rosse ed emergono dall’oscurit&224;. Siamo seduti sul granito ad aspettare gli altri del gruppo quando, verso le 5 arrivano i primi; avendo tenuto la posizione possiamo farli accomodare vicino a noi. Ad un tratto, seppur essendo sull’orlo di un precipizio dobbiamo litigare con dei giapponesi che con la scusa di voler fare delle foto, vogliono occupare il nostro posto, solo la nostra fermezza allontana questi barbari che manifestano la loro incivilt&224;. Quest’ultimo fatto, come altri comportamenti, dimostrano che, malgrado quel che notoriamente si dice, l’italiano risulta essere una persona molto civile ed educata.
Alle 5,20 dietro le nuvole che si stagliano all’orizzonte appaiono i primi intensi raggi solari, velocemente la palla di fuoco sbuca dalle nuvole, i suoi raggi illuminano tutto e tutti, cominciando a scaldare le ossa di chi &232; fermo sulle rocce ad aspettarlo, &232; incantevole poter ammirare il sorgere del sole da quest’altezza e con questo cielo sereno e pulito; le stelle all’arrivo della luce, stanno velocemente scomparendo e la pietra continua ad illuminarsi, a colorarsi ad assumere una forma ben precisa.
Con la luce, decidiamo di salire in cima al monte dove sorge una piccola cappella ed una moschea. Poco dopo iniziamo la lunga ed impegnativa discesa sugli interminabili gradini che risultano affollatissimi sia da chi sta salendo e da chi sta scendendo. Faticando veramente nello scendere decido di andare gi&249; sul fianco della montagna che costeggia i gradini ed in breve, giungo alle capanne; inizio il secondo tratto dove la discesa &232; ripida, impervia e dove si procede lentamente a zig-zag. Verso la fine trovo Simona che poco prima &232; scivolata, ha una distorsione del ginocchio ed una ferita alla mano destra; non riesce a camminare, bisogna cercare un dromedario per farla scendere fino al Monastero e successivamente raggiungere il pullman.
Siamo sopra la biblica “piana di Elia”, una piana dove &232; presente una grotta che &232; stata il rifugio del profeta durante il suo soggiorno sul monte, quando ritroviamo Felice, la nostra guida; la ricerca del dromedario diventa pi&249; semplice. Mentre sto aiutando Simona a raggiungere il dromedario noto che qualcuno del gruppo al posto di tenere il sentiero di destra, ovvero quello dove siamo saliti, imbocca il sentiero di sinistra, “la scalinata”, un sentiero fatto da oltre 8.000 gradini che, scendendo, porta direttamente ed in breve tempo al Monastero di Santa Caterina. Io accompagnando altri componenti del gruppo che vogliono scendere utilizzando il servizio dei dromedari, prendo il sentiero percorso durante la salita; arrivati sulla piazzola dei dromedari chi vuole usare gli animali a fatica contratta il prezzo per la discesa.
Inizio cos&236; la lunga ed estenuante discesa dove incontro gente di ritorno dalla cima e qualcuno che arrendendosi per la fatica, ha deciso di ritornare al punto di partenza. Mentre scendo, i primi raggi del sole, sbucando dalla montagna, illuminano l’imponente mura di cinta del sottostante Monastero, quale miglior occasione per scattare delle fotografie?
Proseguo insieme ad altri del gruppo nella discesa e pochi minuti prima delle 8,00 arriviamo al posteggio trovando il pullman, la fatica della salita e della discesa si sente nelle gambe, la stanchezza &232; veramente tanta. Verso le 8,30 il gruppo pian piano si ricompone, e chi &232; sceso per “la scalinata” arriva letteralmente distrutto con un fortissimo mal di gambe.
Ricomposto il gruppo si riparte per l’albergo, dove una bella doccia toglie un p&242; di stanchezza, successivamente una buona ed abbondante colazione e poi si riparte per la visita al Monastero di Santa Caterina (E-TCI 279).
Ritornando al posteggio dobbiamo superare ancora il controllo della notte, siccome Simona cammina male, riusciamo, in via del tutto eccezionale a transitare col pullman che ci porta fino al cancello del Monastero, l’appuntamento per la partenza verso il mare &232; fissato alle 11,00 nello stesso posto.
La visita al Monastero, delimitato da possenti mura di difesa, &232; un bagno di folla, una calca disordinata che si muove senza un percorso prestabilito, si fa fatica ad entrare ed a muoversi all’interno delle strette vie che corrono fra gli edifici. L’interno del Monastero &232; un confuso insieme di verande, ballatoi, porticati, scale, edifici grandi e piccoli, celle per i monaci, biblioteca e campanile. Nella chiesa ortodossa, dove l’enorme mosaico della Trasfigurazione &232; in restauro, non si riesce a muoversi ed ascoltare quello che Felice sta illustrando, qui il rispetto per la religione &232; prossima allo zero. E’ solo un posto turistico consumistico; per me una delusione immensa. Uscendo dalla chiesa sostiamo sotto il roveto, che la tradizione indica come il roveto ardente di Mos&232;.
Esco dal Monastero infastidito da tanto disordine e mi reco all’appuntamento per la partenza; arrivo al piazzale dove l’autista ci ha lasciato ed il pullman non c’&232;. Siamo un bel gruppetto, aspettiamo 10 minuti ed il pullman non arriva, le 11 sono trascorse da un p&242; ed allora decido di scendere al piazzale a piedi e quando arrivo trovo Felice ed il bus. Felice, la guida, che in quest’occasione si &232; dimostra completamente disattenta ed male organizzata; uscendo dalla porta opposta a quella d’entrata non s&236; &232; preoccupato di verificare quante persone del gruppo aveva con s&233; e si &232; diretto verso il piazzale del posteggio, dimenticandosi che l’appuntamento era da tutt’altra parte. Ora &232; preoccupato perch&233; siamo in ritardo per la partenza verso il traghetto che ci deve condurre in Giordania. Ma non possiamo partire, manca qualcuno del gruppo che, giustamente si &232; fermato dov’era fissato l’appuntamento delle 11,00. Solo con un taxi riusciamo a recuperare tutti e con un ritardo di quasi un’ora partiamo in direzione del Mar Rosso, ma la domanda &232;:
Parte terza
sabato 12 aprile 2008
Durante il viaggio, mentre l’autista corre verso la costa, pranziamo col cestino da viaggio. La velocit&224; a tratti &232; elevata e l’autista seppur bravo a condurre il pesante automezzo, ogni tanto deve compiere notevoli frenate per rallentare e poter affrontare le curve della tortuosa strada, soprattutto perch&233; il pullman &232; rialzato e nelle curve, sui rettilinei, quando incrociamo delle raffiche di vento, l’effetto del baricentro alto si percepisce. Mi sto apprestando a scrivere questo diario quando dalla TV apprendo che il 2 maggio 2008, in Egitto, sulla strada del Sinai &232; avvenuto un incidente stradale: “il pullman, con a bordo 40 persone, era partito da Sharm el-Sheikh per Il Cairo: a causa della velocit&224; elevata &232; uscito di strada affrontando una curva, ha urtato una barriera di cemento, si &232; capottato pi&249; volte e ha preso fuoco. Il bilancio della tragedia &232; di 9 morti e 29 feriti” (notizia tratta da internet), supero questa notizia e mi concentro sulla prossima meta.
Alle 13,15 arriviamo in prossimit&224; di Nuwiba e ci dirigiamo al porto, siamo fermi ad un accesso secondario dedicato al transito dei passeggeri, fuori sulla strada e sui piazzali moltissimi camion attendono di poter scaricare la loro merce.
Ci sta attendendo l’addetto dell’agenzia, Mohamed, che sta completando tutte le pratiche necessarie per l’uscita, lo vediamo in un continuo andirivieni tra un ufficio doganale ed il posto di guardia. La partenza della motonave &232; prevista per le 14,30; dovremmo fare in tempo a passare la dogana ed espletare il relativo controllo dei bagagli.
Mentre noi siamo comodamente seduti sul pullman dotato di aria condizionata, per strada, sotto il sole cocente una lunga fila di persone aspetta pazientemente di accedere ai controlli doganali.
Dopo qualche minuto di attesa, possiamo scaricare le valigie dal pullman ed anche noi, sotto il sole cocente dobbiamo aspettare in silenzio, e rispettosi delle regole egiziane, che ci facciano accedere al controllo dei bagagli e dei passaporti. Poi, uno ad uno, entriamo in una piccola stanza, facciamo transitare le valigie sotto il metal detector ed uscendo dall’edificio, ricarichiamo tutti i bagagli sul pullman per dirigerci, a pochi metri di distanza, in un enorme edificio per il visto d’uscita. Accediamo in un capannone, un ampio locale &232; riempito di panchine con seduti degli uomini che aspettano il loro turno per poter uscire dall’Egitto: mentre attraverso il locale, ho la sensazione di vivere come in un’immagine associata, d’essere in una vecchia foto in bianco e nero degli italiani che, all’inizio dello scorso secolo, sbarcando in America, venivano stipati in locali simili per i relativi controlli; l’impatto &232; veramente tra i pi&249; inaspettati ed incredibili che potessi avere.
In un locale adiacente facciamo la fila per il visto d’uscita, e qui, malgrado vi sia gi&224; una coda di persone, abbiamo la precedenza. L’ufficiale addetto ai controlli &232; scrupoloso, dobbiamo scrivere tutti i nostri dati in stampatello ed in modo perfettamente leggibile e se lui ritiene che non vadano bene, li corregge al momento; questo rende il controllo per il visto un’operazione che richiede parecchio tempo.
Apposto il visto d’uscita sul passaporto, per recarci al pullman riattraversiamo il locale di prima e noto che in una stanza adiacente, sono sedute le persone di sesso femminile; uscendo dall’edificio, riprendiamo il pullman dove per fortuna ci hanno custodito le valigie, altrimenti chiss&224; che caos doversi muovere nell’edificio del visto d’uscita con tutte le valigie al seguito.
Finalmente arriviamo nei pressi della motonave che ci porter&224; in Giordania, la Queen Nefertiti; il pullman per l’ultima volta, si ferma.
Sul molo in fila indiana, sotto il solo cocente e senza nessun riparo, delle persone aspettano il loro imbarco, tutto &232; rigidamente e rigorosamente controllato dalla polizia portuale. Ci dicono che per salire a bordo dobbiamo metterci anche noi in fila indiana e noi da buoni italiani, chiacchierando ci predisponiamo in fila due per due.
Salendo a bordo depositiamo le valigie nella stiva, superando il controllo dell’imbarco ci accomodiamo in coperta a poppa dove vi &232; un bar con dei tavoli e qui incontriamo un signore che parla molto bene l’italiano e funge da cameriere: dice d’essere un turista che sta aiutando il personale di bordo, ma mi da l’impressione di essere ben affiatato con l’equipaggio. Dopo di noi la nave pian piano si riempie di persone che occupano tutti i posti a sedere, a alle 16,00 finalmente partiamo. La navigazione procede bene, si chiacchiera, si legge, si guardano le foto fatte durante la salita sul Sinai, ma la stanchezza della nottata emerge; ed alla fine si dormicchia sulle poltrone e sui divani della motonave.
Dopo un paio d’ore di navigazione si attracca al porto di Aqada, un poliziotto giordano, gentilmente chiedendoci se siamo italiani ci da il benvenuto nella sua terra. Prima della partenza, mentre salivamo a bordo, la polizia ha ritirato i nostri passaporti e li riavremo solo quando sbarcheremo, con tanto di visto d’ingresso in Giordania.
Le procedure di sbarco sono iniziate da tempo, il portellone posteriore della nave &232; stato calato sul molo e s’inizia a sbarcare seguendo un ordine ben preciso, il primo che sbarca &232; uno sceicco cha viaggiava con la famiglia, poi tocca a 4 inglesi, poi noi italiani. Usciamo dalla nave e sul molo troviamo dei pullman, ma non &232; il nostro, qualche telefonata per capire dov’&232; il nostro mezzo, e dopo qualche decina di minuti eccolo che arriva; possiamo caricare le valigie e salire a bordo. Nell’attesa di salire sul nostro mezzo, le operazioni di sbarco erano state sospese, ed i viaggiatori, stivati nelle sale restano in attesa di poter scendere. Partiamo con destinazione la dogana portuale, facciamo poca strada e l’automezzo si ferma vicino a dei carrelli contenenti moltissime valigie, scendiamo, prendiamo le nostre valigie ed entriamo in un’ampissima sala d’attesa dove, dai doganieri, ci viene segnalato che non c’&232; nessuno dell’agenzia a prenderci. Qui le cose si stanno complicando, doveva esserci un incaricato dell’agenzia, ma non essendoci la polizia tentenna nel consegnarci i passaporti; ci sediamo sulle sedie della sala d’attesa ed aspettiamo che la situazione evolva. Mentre siamo seduti, i passeggeri della nave giungono alla dogana d’ingresso; scendendo dai pullman prendono le loro valigie dai carrelli posti all’esterno, entrano e si mettono ordinatamente in fila indiana. Praticamente tutti i passeggeri della nave ci passano davanti, mentre dell’incaricato dell’agenzia nessuna traccia.
Osservo con attenzione le persone che ci scorrono dinnanzi, sono tutti di lingua araba, osservando il colore dei passaporti capisco che sono di varia nazionalit&224;, hanno enormi sacchi, valigie, scatole, sacche ed alcuni devono essere molto pesanti vista la fatica che fanno per trasportarle o trascinarle. Non comprendo se sono diretti a casa o sono immigrati, oppure di transito in Giordania diretti in altri paesi, comunque aspettando i nostri passaporti ho modo d’osservare questa interessante moltitudine d’umanit&224;.
Giorgio ed Ambrogina, due componenti del gruppo, iniziano a dialogare con la polizia di frontiera, stanno tutti cercando la nostra guida che davvero sembra non essere arrivata; mentre i poliziotti fanno qualche telefonata, anche gli ultimi passeggeri della nave ci sono passati davanti. Ora, quando l’immensa sala d’attesa &232; completamente nostra, finalmente compare un uomo di notevole stazza, parla animatamente in arabo con i poliziotti. Comprendiamo che &232; dell’agenzia e sostiene di aver avvisato i doganieri che era fuori ad attenderci, i poliziotti non sono convinti e chiedono a Giorgio e Ambrogina di firmare un verbale che attesti il ritardo dell’incaricato. Alla fine ci ridanno i nostri passaporti e possiamo dirigerc
Parte quarta
sabato 12 aprile 2008
Giunti sul piazzale troviamo l’autobus che ci aspetta, carichiamo le nostre valigie e partiamo verso l’albergo, il percorso attraverso la citt&224; si snoda su strade dove il traffico &232; abbastanza intenso ma scorrevole, abbiamo un primo assaggio di questa citt&224; fatta di edifici moderni con belle ed illuminate strade. Arriviamo all’albergo che si presenta pulitissimo e confortevole, tempo di una doccia e poi nella cena a buffet troviamo moltissimi piatti arabi ben cucinati e curati, tra tutti spiccano le quaglie, l’agnello, della pasta con delle verdura. Infine dopo aver fatto un giretto per l’esterno dell’albergo un bel sonno restauratore serve a rigenerarsi dalla fatica della giornata.
Parte prima
domenica 13 aprile 2008
Suona il telefono, sono le 8,30, Natalia e Simona, mi chiamano per la colazione, questa notte, in camera con l’aria condizionata che andava pian piano, sotto un bel piumone ho dormito proprio bene. Guardando fuori dal balcone, la giornata appare soleggiata; scendo per la colazione, dove trovo delle ottime spremute di frutta, degli ottimi dolci e tantissimo altro cibo.
La mattina &232; dedicata il relax, c’&232; chi ne approfitta della spiaggia per prendere il sole, chi si tuffa in mare scoprendo che l’acqua &232; fredda, chi invece utilizza le calde piscine dell’albergo; io ne approfitto per leggere, per sistemare gli appunti e controllare le foto scattate nei giorni precedenti.
In attesa dell’arrivo della guida leggendo un libro trovo degli spunti interessanti che mi aiutano a capire dove sono: sono in Medio Oriente. Si pu&242; definire il Medio Oriente il concetto geo-politico che identifica un’aera geografica caratterizzata dalla coabitazione di un crogiolo di antichissimi popoli legati fra loro da una comune matrice linguistica e culturale, ma divisi da millenni di conflitti interetnici. In questa particolare e turbolenta area sono racchiusi gli stati della Giordania, del Libano, della Siria, di Israele e della Cisgiordania (la Palestina).
Faccio una passeggiata fuori dall’albergo per osservare la citt&224; di Aqaba (G-TCI 131); trovo strade ed edifici in costruzione, la citt&224; si sta allargando e mostra la sua modernit&224; fatta di belle case, di lussuosi alberghi, di strade ben tenute. Di fronte all’albergo si apre la baia del mar Rosso ed in essa vi sono delle navi ancorate ed oltre la baia vi &232; una collina dove svettano dei grattacieli che sembrano di recente costruzione, circondati da case basse e da verde. Il cielo &232; sereno ed il vento &232; sostenuto.
Aqaba &232; una citt&224; modernissima ed in pieno e moderno sviluppo urbanistico, posta fra Israele e l’Arabia Saudita, con i suoi 27 km di costa &232; l’unico sbocco della Giordania sul mare. Aqaba &232; il porto della Giordania, qui transitano non solo le navi giordane ma anche quelle iraniane, in cambio dell’utilizzo del porto l’Iran fornisce petrolio gratis alla Giordania.
Si avvicina l’ora della partenza e compare la nostra guida, si chiama Mohamud; una persona che parla un fluente italiano e si rivela fin da subito cordiale, attento e simpatico; ci accompagner&224; nel tour della Giordania, fino al confine con Israele. Fatta la conoscenza della guida, &232; l’ora di prendere le nostre valigie, salire sul pullman partire; un breve giro della citt&224; per veder velocemente, strada facendo, gli edifici pi&249; interessanti e poi ci dirigiamo verso la periferia, dove inizia il deserto.
Mentre viaggiamo vediamo che il cielo &232; fosco e l’orizzonte &232; nascosto, Mohamud, ci dice che questa foschia &232; dovuta al vento che solleva la sabbia del deserto; poi ci racconta qualche particolare della vita della sua nazione. La Giordania &232; una nazione con una popolazione molto giovane, infatti il 50 % della popolazione non supera i 15 anni di et&224;, il 5% supera i 70 anni ed il 38 % ha un’et&224; compresa tra i 18 ed i 60 anni. Gli abitanti sono circa 6 milioni di cui oltre 1,5 milioni sono scolari; un paese veramente giovane.
Mentre ci addentriamo nel deserto costeggiamo campi coltivati a zucchine, patate, angurie. Mohamud ci informa che l’agricoltura in Giordania &232; un problema ed incide pesantemente sulla bilancia dei pagamenti, nel paese l’acqua &232; una rarit&224; in quanto dovrebbe arrivare dal fiume Giordano, ma Israele ha costruito un’enorme diga che, alla foce, rende il fiume praticamente un piccolo e maleodorante rigagnolo, e lo stesso Israele vende alla Giordania l’acqua per scopi agricoli, mentre l’acqua potabile viene importata dalla Siria. Solo recentemente &232; stata scoperta una falda acquifera a 88 mt. di profondit&224; e questo permette la coltivazione di verdure ed ortaggi.
Viaggiando arriviamo nei pressi di una cittadina industrializzata e nelle vicine montagne sono presenti delle miniere nel luogo in cui vengono estratti fosfati che sono trasportati via treno oppure con camion verso Aqaba per l’esportazione; questa &232; una delle ricchezze delle Giordania ed i maggiori paesi acquirenti sono India e Giappone.
Avendo come meta un escursione nel deserto del <strong>Wadi Rumstrong>, Mohamud ci spiega qualcosa sugli abitanti del deserto, i beduini: un popolo da sempre nomade abituato a vivere nel deserto utilizzando quanto a loro disposizione.
Hanno un fisico asciutto e dei bellissimi lineamenti; in effetti nei giorni che verranno avr&242; occasione d’ammirare questi fantastici lineamenti sia degli uomini sia delle donne che come osserver&242; hanno occhi o di un neri intenso o di un verde incantevole.
Si cibano principalmente con latte di dromedario e datteri, due alimenti che qui non mancano e che sono altamente nutrienti, bevono the e caff&232;. A causa dell’esposizione al sole, l’invecchiamento della pelle &232; precoce. Sono persone di grande disponibilit&224; e rispettose dell’ospite, ma sono anche di testa molto dura e questo, da sempre ha creato problemi e conflitti che vengono sempre risolti fra le trib&249; senza mai l’intervento delle forze dell’ordine. Le donne sono sempre vestite di nero, una tradizione che deriva dall’usanza di indossare il colore nero in caso di lutto, e secoli fa, quando gli scontri nel deserto erano frequenti, le donne rimanevano spesso in lutto, dal 1700 hanno deciso di indossare sempre il colore nero. Nel deserto, avendo poca acqua ed utilizzandola principalmente per bere, la pulizia personale passa in secondo piano.
L’animale pi&249; presente, che funge da mezzo di trasporto, da sostentamento ed altro &232; il dromedario, un animale appartenente alla famiglia dei camelidi, con una gobba sola, chiamata anche la “nave del deserto”, e nei secoli passati, per la sua resistenza allo sforzo era utilizzato come mezzo di trasporto di mercanzie e persone che dovevano attraversare il deserto sulle “vie carovaniere”. Una delle sue caratteristiche &232; la capacit&224; di immagazzinare acqua nelle zampe, mentre la gobba &232; un’enorme riserva di grasso.
Lo stato ha costruito delle case per loro, ma questi preferiscono la tenda, anche per il fatto che costruita secondo la loro usanza risulta fresca durante il giorno e calda la notte, permettendo una permanenza pi&249; che piacevole.
E mentre Mohamud ci racconta della vita che i beduini fanno, arriviamo ai confini del <strong>Wadi Rumstrong> (G-TCI 124), un deserto chiamato Valle rossa, per il caratteristico colore delle rocce e della sabbia. Prima d’inoltrarci nel deserto oltrepassiamo la ferrovia che lo attraversa, dove vediamo un treno merci che carico di fosfati (la ricchezza della zona) sta andando verso la citt&224; che poco prima abbiamo superato. Imbocchiamo una strada laterale e ci fermiamo per la pausa pranzo in una struttura ricettiva particolare; realizzata con tende tipiche dei beduini, e per la notte vi &232; un’area attrezzata con delle tende, le quali possono ospitare dalle due alle sette persone; sono ben allestite e pulite. Dormire di notte nel deserto poter vivere questo fascino &232; molto richiesto dai turisti e stanno sorgendo numerosi posti attrezzati in questo modo.
Il pranzo &232; a buffet, verdure, formaggi, ceci, yogurt, riso con pollo, riso con agnello (cucinato veramente bene); pranziamo sotto una tenda aperta da un lato, l’aria entra e la copertura ferma i raggi solari, si sta proprio bene sotto questa semplice ma efficace struttura. Mentre pranziamo, arrivano altri turisti e la tenda, seppur ampia si riempie, per fortuna che arrivati per primi abbiamo potuto mangiare in tutta tranquillit&224;. Alla fine del pranzo vi &232; la possibilit&224; di degustare il Nescaff&232; o dell’ottimo caff&232; turco.
Parte seconda
domenica 13 aprile 2008
Riprendiamo il viaggio e c’inoltriamo nel <strong>Wadi Rumstrong>, in questo stupendo tratto di deserto la cui descrizione mi viene difficile per la sua bellezza e mi sembra giusto riportarla tratta dal libro “<strong>Wadi Rumstrong>, il deserto dei beduini”. Ed.plurigraf, pag. 4: “Visitare il <strong>Wadi Rumstrong> &232; veramente un’esperienza splendida non solo per il corpo ma anche per lo spirito. Il lavoro spettacolare del creatore &232; accattivante qui come in molti altri luoghi della terra, non foss’altro per la sua grandezza.”
Nello stesso testo a pag. 8 si legge: ”La geologia unica del Wadi, la sua storia e la sua grandiosa vastit&224; sono di uno splendore immediatamente percepibile.
Conosciuto come la “valle della luna”, si estende nella parte meridionale della Giordania. Di formazione antichissima, deve la definizione con cui &232; famoso proprio alla continua azione degli agenti atmosferici che nel corso di millenni hanno modellato il paesaggio rendendolo lunare, regalando gli stupendi scenari di rocce arenarie che si ergono improvvise in mezzo a distese di sabbia, dune impalpabili color aragosta, pareti scavate dal vento, pinnacoli di pietra, vallate profonde, antichi letti di fiume prosciugati.”
Il <strong>Wadi Rumstrong> &232; la terra dei beduini, il cui nome deriva dall’arabo ”badiah” che significa “abitante del deserto”, un popolo che, per chi vive in questa zona, tutt’ora mantiene il nomadismo originario, dedicandosi all’allevamento di cammelli, pecore e capre; ed &232; per garantire il pascolo al bestiame l’origine del nomadismo perenne. La struttura della famiglia &232; patriarcale, pi&249; famiglie formano un clan e pi&249; clan costituiscono una trib&249;.
Nei secoli hanno saputo conservare le loro tradizioni che arrivate intatte fino ad oggi sono visibili; la gerarchia familiare, la divisione dei compiti, l’abbigliamento, la preparazione del the e del caff&232;, l’ospitalit&224;.
Grande attenzione va riposta nella struttura della tenda, la casa mobile del beduino, realizzata con tessuti ricavati dalla lana dei dromedari e delle capre, i primi sono di colore marrone e vengono utilizzati per le pareti, i secondi di colore nero, vengono utilizzati per la copertura superiore della tenda. Questa lana nera ha la propriet&224; di far passare il vento durante il giorno ed in caso di pioggia, di diventare impermeabile.
Durante le sere nelle tende i beduini amano intrattenersi con canti e danze, che sono accompagnati dal suono di uno strumento locale, lo rababah: fatto da una piccola cassa armonica, con un manico e poche corde tese che si suona con un archetto. Ad esibirsi nei balli sono solo gli uomini, mentre le donne cantano e battono ritmicamente le mani.
Ma ritorniamo al nostro viaggio, lasciato il posto del pranzo c’avviamo presso il punto d’ingresso nel <strong>Wadi Rumstrong>, il Centro Visitatori dove pagato il biglietto saliremo a bordo di fuoristrada. Qui una montagna particolare attira l’attenzione di tutti; sembrano dei pilastri che si stagliano verso il cielo. In effetti &232; la montagna che ha ispirato Thomas Edward Lawrence, colonnello inglese noto come “Lawrence d’Arabia” per aver guidato la rivolta araba conto i turchi nella prima guerra mondiale, a scrivere il suo libro “I sette pilastri della saggezza”. La vista e la particolare conformazione del monte, diventa l’occasione per delle fotografie.
Finalmente partiamo con i fuoristrada verso il deserto; gli automezzi sono guidati da ragazzi poco pi&249; che adolescenti, il nostro ha la batteria scarica e parte solo in discesa, quindi l’autista fa di tutto per posteggiare il mezzo curando che la partenza sia in discesa. La guida non &232; certo delle migliori e questi autisti si divertono a correre sulla sabbia del deserto. Noi siamo seduti dietro ed a volte, per gli eccessivi sobbalzi, non &232; cos&236; divertente come potrebbe sembrare. Compiamo un bel giro tra le affascinanti montagne del deserto, saliamo in cima ad una collina dove abbiamo una visuale davvero unica su gran parte del deserto, poi ci dirigiamo in direzione di una tenda beduina ma poco prima ci fermiamo in prossimit&224; di una valle laterale, Mohamud ci invita a salire un ripido pendio sabbioso per veder cosa c’&232; in alto, con Tonina mi inerpico sulla salita, alla fine della stessa troviamo delle piante che inaspettatamente sono cresciute fra le rocce della montagna, questo deserto veramente non finisce mai di stupire.
Scendiamo dalla montagna e ripartiamo verso la tenda beduina dove ci offrono the e caff&232; seguendo il loro rituale, il the caldo lo si beve con la mano destra tenendo il bicchiere con pollice ed indice per non scottarsi. L’infuso &232; fatto con the, cardamono, salvia e cannella, che sapientemente miscelate creano una bevanda per me gradevole, anche se a qualcuno del gruppo, poi dar&224; problemi di stomaco.
Prima di riprendere il viaggio di rientro, ci fermiamo a vedere delle incisioni rupestri risalenti al 1.000 a.C., poste su una parete. Riprendiamo il deserto giungendo in una gola, dove la conformazione ad “U” della montagna ha permesso che in epoche di conflitti questa zona venisse trasformata in prigione naturale riparata dal costante vento del deserto, ci fermiamo ad osservare un masso dove cono state incisi i volti di Lawence d’Arabia, del principe Abdhullah (nome che significa Servo di Dio) e dell’allora capo dei beduini.
Fatte le foto al posto riprendiamo il viaggio attraversando l’ultimo tratto di deserto verso il nostro pullman. Ci dirigiamo ai margini del <strong>Wadi Rumstrong> e poi iniziamo a salire verso le montagne in direzione di <strong>Petrastrong>, l’antica, misteriosa ed introvabile capitale dei nabatei, un popolo che per secoli ha abitato la zona.
Mentre proseguiamo nel viaggio, il deserto muta conformazione, da sabbioso diventa roccioso, poi le colline diventano verdeggianti e compaiono dei tratti arati e coltivati a grano, che serve come foraggio per i greggi al pascolo.
E’ sera quando arriviamo all’albergo posto sul crinale della montagna, da dove si vede la sottostante e profonda vallata. Assegnazione delle camere, doccia e poi cena con piatti giordani; ottima la carne di manzo affumicato, le salse semi piccanti, il pollo. Dopo cena tra l’immancabile partita a carte e qualche chiacchiera, Franco suona il pianoforte rendendo la serata veramente piacevole. Esco all’esterno per fare un giretto, ma visto il freddo ed il vento che soffia &232; veramente difficile rimanerci, quindi decido di rientrare ad ascoltare la musica e compio un giro nel negozio; mentre curioso tra i libri, ne trovo alcuni in italiano che mi sembrano interessanti, decido di acquistarli.
Parte prima
lunedì 14 aprile 2008
Sveglia alle 7,00, stanotte non ho dormito benissimo, continuavo a svegliarmi, sar&224; l’emozione di veder <strong>Petrastrong>? Colazione ed alle 8,00 siamo pronti per la partenza verso il fondovalle dove, nascosta e protetta fra la roccia sorge <strong>Petrastrong>. Dall’alto non si vede assolutamente nulla, solo montagne brulle e valli desertiche, chiss&224; dove si nasconde questo tesoro dei nabatei? D’altronde se questa citt&224; fu scoperta solo nel ‘800 il motivo ci dev’essere: era veramente ben nascosta tra le inospitali montagne.
Uscendo dall’albergo veniamo accolti dal vento proveniente da est, un vento sabbioso che arrivato dal deserto trasporta sabbia rendendo il cielo colore nocciola. La guida ci dice che siamo stati fortunati ad andare ieri nel <strong>Wadi Rumstrong>, oggi a causa del vento sabbioso si sarebbe visto davvero poco.
Effettuata la discesa, percorriamo la valle dove vivono circa 22.000 persone la cui fonte di sostentamento &232; il turismo. Attraversiamo un paese, con strade a volte strette ed arriviamo ad un esteso piazzale, posteggio per i pullman; siamo giunti a <strong>Petrastrong> (G-TCI 106). <strong>Petrastrong> &232; una delle maggiori fonti di ricchezza della Giordania, in effetti sono milioni i turisti che ogni anno la visitano; nei periodi di maggiore affluenza hanno delle punte di 7.000 persone al giorno.
<strong>Petrastrong> era la capitale dei nabatei, un popolo nomade arricchitosi con i traffici carovanieri le cui carovane si spingevano dall’Arabia meridionale lungo l’asse sud-nord e dalla Siria all’Egitto lungo la direttrice da est-ovest. L’abilit&224; commerciale dei nabatei risiedeva nella bravura di individuare quali fossero le merci pi&249; pregiate richieste nei paesi posti alle estremit&224; delle vie di comunicazione; bitume per la mummificazione, mirra ed incenso per i riti religiosi, spezie per la cucina, oro, argento, vetri, tessuto damascato e sete. Queste merci resero immensamente ricco questo popolo che divenne stanziale nella citt&224;. Quando, per vicissitudini storiche conobbe l’oblio, <strong>Petrastrong> fu dimenticata nel tempo, venne riscoperta nel XIX sec. e da allora divenne un punto d’attrazione archeologica e poi successivamente turistica.
E’ difficile descrivere <strong>Petrastrong>, forse le parole migliori le ha scritte Fabio Bourbon: “Ho amato <strong>Petrastrong> la prima volta in cui l’ho vista e ancora oggi, a distanza di anni, nelle occasioni in cui ho l’onore di visitarla nuovamente, mi sento emozionato come un ragazzino al suo primo appuntamento. Pur avendo girato il mondo, non sono stato ovunque, ma penso di poter affermare senza esitazioni che questo &232; un luogo assolutamente unico. <strong>Petrastrong> &232; uno di quei rari posti dove anche chi non crede alla magia ben presto deve ripensare alle sue convinzioni. Se saprete coglierne l’incanto - ascoltando la poesia del silenzio, osservando il caleidoscopio, inesauribile dei colori, ammirando il superbo equilibrio delle architetture rupestri - anche voi sarete ripagati dall’intima, profonda sensazione di una bellezza senza pari. Soprattutto, tornerete a casa portando un tesoro nel cuore…..” (Fabio bourbon - Guida archeologica a <strong>Petrastrong>, Prefazione)
Ma ritorniamo al nostro viaggio, scendiamo dal pullman e ci dirigiamo verso l’entrata nella vallata. Un cancello sbarra la strada; solo dopo aver acquistato il biglietto ed aver superato i controlli possiamo accedere all’area. La strada sterrata si snoda leggermente in discesa ma &232; possibile prendere dei cavalli per evitare di percorrerla a piedi, ma la guida lo sconsiglia; in effetti chi ha preso il cavallo ha percorso solo poche centinaia di metri e giunto all’imbocco del siq terminer&224; il suo viaggio, tra l’altro qui sono disponibili dei calessi per percorrere il siq, ma per un tratto inferiore ai 2 km, la somma richiesta &232; davvero stratosferica.
Iniziamo a scendere nella valle e fin dai primi metri si possono incontrare, scavati nella roccia, i primi monumenti funerari nabatei che presentano le porte rivolte verso est, dove sorge il sole e risultano anche posizionati contro vento. Originariamente le tombe avevano porte piccole, poi nel tempo, quando le tombe state utilizzate come case, le porte sono state ampliate. In questo luogo, storicamente abbiamo il passaggio da necropoli ad acropoli.
I morti venivano posti nelle tombe e, una volta che restavano solo le ossa, le stesse venivano raccolte e tumulate da altre parti. Oggi tutte le tombe hanno un nome che &232; stato attribuito dagli abitanti secondo la conformazione o la presenza di alcuni particolari.
La prima tomba che incontriamo, posta sulla destra della strada &232; la tomba del serpente, il nome deriva da una scultura presente nella tomba, raffigurante un serpente attorcigliato su se stesso, che per i nabatei simboleggiava l’eternit&224;. In alcune tombe sono presenti delle scale laterali, che secondo i costruttori servivano all’anima del defunto per salire verso il cielo.
Proseguendo verso l’entrata del canyon, sulla sinistra della strada si vede la tomba degli obelischi (G-TCI 109), nome derivante da quattro obelischi scolpiti in alto sulla tomba, mentre in basso, oltrepassando la porta principale, si entra nel triclino, luogo destinato alla commemorazione dei defunti.
Nelle tombe trasformate in case, si possono notare, oltre che alle porte d’ingresso allargate, anche i canali, scavati nella roccia che servivano per il recupero dell’acqua piovana che veniva raccolta in cisterne. I nabatei si sono dimostrati grandi ingegneri nella raccolta e nella conservazione dell’acqua piovana in questa zona desertica dove le piogge sono veramente rare.
Proseguendo lungo la strada arriviamo ad uno slargo e qui, inizia il siq (G-TCI 110), ovvero lo stretto canyon che conduce alla citt&224;. Il siq, &232; una spaccatura avvenuta nella roccia a seguito di un terremoto e poi modellato per secoli dall’acqua e tutt’ora &232; un percorso stretto dove in alcuni punti la distanza tra la roccia non supera i due metri; l’ingresso al siq veniva considerato sacro. Poco prima dell’entrata &232; visibile la diga ed il tunnel che i nabatei hanno scavato nella roccia per far defluire le acque piovane ed evitare allagamenti nell’antica citt&224;. Entriamo nel siq e fatti pochi metri, vediamo i resti dell’arco di trionfo romano che indica l’ingresso nella citt&224;. Lungo le pareti, sono ben visibili, scavati nell’arenaria, i canali e le tubazioni di terra cotta che raccoglievano e convogliavano l’acqua piovana nelle cisterne.
Si cammina nel siq dove l’occhio si perde tre le ripide pareti alte fra gli 80 ed i 100 metri, mentre il sole a volte fatica ad arrivare sul fondo sassoso. Sulle pareti, orientate verso est, ovvero verso il sorgere del sole, sono scolpiti degli altari e delle edicole che racchiudevano delle divinit&224;. Ad un tratto sulla parete s’intravede, seppur erosa dalla sabbia trasportata dal vento, una scultura raffigurante due dromedari e due cammellieri a grandezza naturale che sono diretti verso la citt&224;, mentre sul lato opposto altre figure in direzione dell’uscita dalla citt&224;. Guardando verso l’alto, la guida ci fa vedere una conformazione di arenaria bellissima sia nelle forme che nei colori, la forma &232; opera del vento che trasportando la sabbia del deserto, nei secoli ha modellato la roccia creando questa surreale forma dai colori stupendi: possiamo ammirare il giallo dato dallo zolfo, il grigio dato dal ferro ed il rosso dato dal rame.
Proseguiamo quando ad tratto Mohamud ci fa fermare e ci dice d’avvicinarci ad una parete; nella fessura che vi &232; tra le due pareti s’intravede un particolare finemente decorato, &232; il Tempio del Tesoro o del Faraone (G-TCI 111): siamo giunti a <strong>Petrastrong> !!!
Terminato il siq, fra le pareti di arenaria sbuchiamo in un piccolo spiazzo, nel luogo in cui sul fronte opposto sorge questo magnifico tempio, chiamato in arabo Al-Khaznah, dalla stupenda architettura, dalle fini e delicate decorazioni.
Parte seconda
lunedì 14 aprile 2008
Ci fermiamo per scattare foto, osservarlo in tutta la sua bellezza, entriamo a visitarne l’interno ed &232; straordinario come i nabatei abbiano saputo scavare la roccia creando nelle vere e proprie tombe, palazzi con tanto di facciata con camere principali e secondarie.
Riprendiamo il cammino verso altre meraviglie di questa stupenda citt&224; che in antichit&224;, nel suo massimo splendore, ha raggiunto i 13.000 abitanti qui nella parte inferiore ed altri 12.000 sulle colline adiacenti. Vediamo una cisterna dell’acqua decorata esternamente, poi percorrendo il siq esterno, giungiamo ad un primo gruppo di tombe.
La vista si perde fra le pareti d’arenaria, fra le decine di tombe, di abitazioni, di buchi realizzati nelle pareti delle montagne, la roccia assume dei colori policromi di esaltante bellezza ed all’interno di qualche tomba mi fermo a fotografare le forme particolari della roccia dai fantastici colori. Percorrendo la Via delle Facciate possiamo ammirare tombe scavate con diversi stili architettonici, poi giungiamo all’anfiteatro (G-TCI 113). Mentre possiamo ammirare in tutto il suo splendore questa realizzazione che conteneva 3.000 spettatori, ci fermiamo per una sosta, un bicchiere di the alla menta ci vuole proprio, qui il caldo secco e ventilato provoca una grande dispersione di acqua corporea e bisogna sempre bere, tra l’altro un p&242; di sosta fa bene alle gambe che non hanno ancora smaltito la fatica della salita sul Sinai dei giorni precedenti. Dopo qualche minuto di riposo, il gruppo si divide, una parte che non vuole intraprendere una salita un p&242; impegnativa decide di proseguire lungo la strada principale e di aspettarci all’ombra di una enorme pianta di pistacchio che sorge vicino alle rovine di un tempio romano. Noi cominciamo a salire una scala intagliata nella roccia, i gradini salgono sulla montagna e noi li percorriamo sotto un sole cocente ed in breve arriviamo alla parete delle “Tombe Reali”, nome che &232; stato dato per la bellezza e la maestosit&224; degli edifici scavati.
La prima tomba che visitiamo &232; la tomba dell’Urna (G-TCI 113), una tomba che rientra nella montagna avendo un piazzale all’esterno costeggiato da due colonnati, anche loro ricavati nell’arenaria.
La pietra prima di essere scolpita veniva bagnata, questo rendeva pi&249; facile il lavoro degli scultori e permetteva di ottenere delle forme veramente raffinate. Una volta impostata la facciata scavavano le porte e le stanze, la pietra tolta dall’interno veniva poi utilizzata per la costruzione delle abitazioni. Questa tomba, nel 447 d.C. divent&242; una chiesa cristiana e a tutt’oggi sono ancora visibili alcuni segni che indicano la sua destinazione.
Procediamo nel giro e vediamo la Tomba della Seta chiamata cos&236; per gli spettacolari colori cromatici dell’arenaria, poi la Tomba Corinzia (G-TCI 113), che presenta moltissimi capitelli finemente lavorati. A causa della sabbia trasportata dal vento nel corso dei secoli la facciata &232; stata in gran parte levigata, ma fortunatamente si riesce ad intravedere ancora la bellezza e l’imponenza originaria della struttura.
Successivamente vediamo la Tomba Palazzo (G-TCI 113), un imponente tomba di tre piani, dove sono stati usati anche dei mattoni (unico esempio nell’area) per la sua edificazione. Poi, mentre il gruppo si dirige verso l’albero di pistacchio per raggiungere gli altri, Tonina ed io andiamo a vedere la tomba di Sextus Florentinus un soldato romano, che &232; posta dietro la montagna, un breve tratto su alcuni gradini scavati nella roccia, una discesa su un piazzale, uno sguardo veloce alla tomba e poi ritornando sui nostri passi raggiungiamo il gruppo e tutti insieme arriviamo all’albero dei pistacchi; una pianta enorme che crea molta ombra, un cartello posto nelle vicinanze afferma che ha oltre 450 anni di vita.
Ora che tutto il gruppo si &232; ritrovato possiamo salire su una collina per vedere i resti di una Chiesa Bizantina (G-TCI 114) dove, protetti da una tettoia, si possono ammirare i bellissimi mosaici del pavimento. Frontale alla chiesa il battistero, e qui una sorpresa, il battistero ha forma a croce greca; &232; uno dei primissimi battisteri dell’epoca cristiana, successivamente nel corso dei secoli il battistero ha assunto una forma ottagonale.
Sopra la chiesa bizantina si vedono delle colonne, e mentre il gruppo inizia la discesa, velocemente raggiungo il sito per vedere i resti della Cappella Azzurra il cui nome deriva dalle incantevoli colonne di colore azzurro.
Inizio la discesa e velocemente raggiungo il gruppo che &232; fermo nei pressi del Tempio del Leone, un tempio ancora da riportare alla luce, infatti dalla sabbia emergono i pezzi delle colonne; &232; veramente poco quanto visibile e bisogner&224; aspettare che gli archeologi abbiano il tempo di riportare alla luce questa antichissima struttura.
Di fronte a noi, nella parte opposta della valle, si vede il Grande Tempio, ad un primo sguardo potrebbe sembrare un’unica costruzione, ma sono pi&249; costruzioni, con delle piazze per i mercati, quello che colpisce &232; l’imponenza delle colonne e dello spazio edificato che creano una bellezza magica.
Poco distante sorge Qars el Bint, il Tempio della Principessa, l’unico tempio che, malgrado i terremoti, &232; restato parzialmente in piedi in quanto, per la costruzione del tetto sono state usate delle travi in legno e non di arenaria; questo ha alleggerito notevolmente la struttura.
Arriva l’ora dalla pausa pranzo che avviene in un edificio ricavato in parte nelle antiche tombe ed una parte coperto da un tendone. Cibo a buffet dove si gustano: verdure, agnello con una salsa verde molto gustosa, involtini di pollo avvolti in una pasta che assomiglia alla nostra piadina, e per dissetarmi bevo una birra fresca e dell’acqua. Terminato il pranzo, un discreto caff&232; da la carica per ripartire.
Si decide che il ritrovo sar&224; alle 17 presso il cancello d’uscita ed il gruppo si divide in tre frange: chi ritorna pian piano verso il pullman, chi sale al “monastero” a dorso di asino, chi sale al “monastero” a piedi. Tonina ed io saliamo a piedi verso il “monastero”, ovvero una tomba nabatea che, tra le pi&249; belle &232; stata scavata vicino alla cima di una montagna, per raggiungerla occorre fare un percorso di circa 2.000 gradini con un dislivello superiore ai 200 metri. Abbandonata la strada sterrata del fondovalle, girando a sinistra iniziamo a salire lungo la gradinata scavata nell’arenaria dove solo in alcuni piccoli tratti i gradini sono stati recentemente rifatti. La salita, seppur non sia ripidissima &232; comunque impegnativa; si snoda nella valle, fra le pareti della montagna dove sono visibili alcune tombe, &232; un continuo muoversi fra l’ombra delle pareti ed il sole caldo che colpisce la roccia.
Lungo la strada vi sono molte bancarelle di beduini che con rispetto ti chiedono se vuoi acquistare qualcosa, sulle bancarelle vi sono gioielli, accessori per vestiti, minerali, fossili e qualche oggetto d’antiquariato; a volte si vedono delle cose veramente carine e soprattutto non sono dozzinali come in altri posti turistici. In alcune bancarelle mi soffermo, non tanto per osservare quanto esposto, ma piuttosto ad osservare i lineamenti della gente, sia donne che uomini hanno un aspetto bellissimo e qualche beduina ha degli incantevoli occhi verdi.
Salendo si suda molto, il passo, seppur sostenuto &232; regolare, ma la fatica si fa sentire e Tonina &232; veramente atletica, i miei chili di troppo in quest’occasione si sentono, &232; come camminare con un costante zaino sulle spalle. Ad un certo punto, pi&249; in basso, avvistiamo il gruppo che sta salendo a dorso d’asino e poco dopo veniamo raggiunti, ne approfitto per una sosta e con la scusa di far loro delle fotografie, mi riposo un attimo in un posto all’ombra.
Parte terza
lunedì 14 aprile 2008
Mi appresto a ripartire, ma sento Michelina che grida, essendo a poca distanza corro a veder che &232; successo: trovo Michelina in piedi vicino all’asino. A seguito di un movimento brusco, una sua staffa si &232; incastrata con la staffa di un altro asino e Michelina si &232; trovata disarcionata, per fortuna senza nessuna conseguenza, e soprattutto &232; stata disarcionata dalla parte della parete e non dal lato opposto dove si apre un dirupo.
A questo punto proseguiamo a piedi e fatti pochi metri arriviamo ad una piazzola, &232; il capolinea della salita con gli asini e la gente viene fatta scendere, da qui in poi si prosegue e piedi. Non capisco come mai non fanno proseguire gli asini pi&249; avanti, ma fatti pochi metri la risposa arriva da sola: arriviamo ad una cengia scavata nella roccia lunga qualche decina di metri e larga poco pi&249; di uno con da una parte la parete di arenaria e dall’altra, sotto ai nostri piedi, un baratro di qualche centinaio di metri. Ecco il perch&233; facevano scendere la gente, per evitare che qualcuno potesse cadere percorrendo la cengia.
Riprendiamo a salire ed il sole caldo si fa sempre pi&249; sentire, i gradini seppur regolari sembrano non terminare mai, molta gente &232; ferma per riposare e riprendere fiato; proseguiamo e finalmente troviamo un poco di discesa, qualche gradino per sciogliere le gambe e poi ancora un tratto di salita, la strada si snoda fra le pareti di arenaria quando, quasi per magia, alla nostra destra appare la facciata di Ad-Dayr, il “monastero” (G-TCI 116), questa stupenda tomba che nell’epoca bizantina venne trasformato in un monastero da cui prende il nome. La facciata &232; stupefacente, &232; tra le pi&249; belle, se non la pi&249; bella di <strong>Petrastrong>, &232; scavata nella roccia e per creare il frontale verticale hanno asportato moltissima roccia obliqua. Questo monumento va visto al pomeriggio quando il sole muovendosi verso ovest, ne esalta i colori, ed allora il rosa si trasforma in rosso, il rosso in marrone ed il cielo azzurro crea un contrasto unico di affascinate bellezza. Posso ritenermi fortunato ad ammirare simile magnificenza, infatti, visto il percorso comunque impegnativo, non tutte le persone salgono fin qui per ammirare questa tomba.
Breve sosta al punto di ristoro per recuperare un p&242; di fiato e poi proseguiamo verso il posto panoramico posto a qualche minuto di tragitto. Camminiamo su una roccia desertica, dove anche l’erba &232; rada, la sabbia e la roccia sono gli unici elementi che compongono questo paesaggio, lontano il cielo appare fosco, in effetti, oltre le montagne, il vento sta trasportando sabbia che rende la visuale limitata. Cammin facendo arriviamo ad un bivio; due sentieri portano a due punti panoramici, cominciamo salendo su quello a sinistra, che da sul deserto, ma per via del vento sabbioso oltre la catena montuosa non si vede nulla se non il grigio/rosso della sabbia. Arrivo in cima al punto panoramico e m’invitano a fare delle foto, ma sto barcollando, mi gira la testa, la disidratazione &232; davvero tanta, tolgo dallo zaino la bottiglietta dell’acqua, ne sorseggio un p&242; e velocemente mi riprendo; ora posso fotografare, prendere appunti ed ammirare quanto si vede da questo luogo. Siamo in cima alla montagna e sporgendomi per guardare nel vuoto, vedo sotto di me, vallate con meravigliosi colori derivanti dalla roccia, dal verde e dalle conformazioni geologiche.
Abbandono questo punto panoramico e vado ad osservare il paesaggio dal secondo punto d’osservazione che dista poche centinaia di metri, arrivato in cima mi ritrovo su uno spuntone di roccia tra le cime delle montagne che fanno da contorno dove posso ammirare la sottostante vallata. Mentre mi allontano dal vertiginoso spuntone, guardando a sinistra del sito e pochi metri sotto di me, noto l’altare sacrificale nabateo. L’altare &232; ben visibile nella roccia, noto perfettamente il bordo ben scolpito, il canale di scolo del sangue ed un buco dove lo stesso veniva raccolto; &232; scolpito talmente bene nell’arenaria che appare come perfettamente appoggiato.
Fatte le foto e preso appunti ridiscendo verso il “monastero” dov’&232; l’appuntamento con tutti coloro che sono saliti, qui foto di gruppo e poi scendiamo verso il fondovalle. Ora dobbiamo risalire la lunga strada percorsa alla mattina. Siccome il mal di gambe comincia a farsi sentire, decido di fare un tratto cavalcando un asinello che trotterellando cammina sull’antica strada romana lungo il maestoso colonnato. L’esperienza &232; veramente piacevole, andare a dorso d’asino permette d’osservare bene il paesaggio, con lo spettacolo assoluto del tramonto sulle Tombe Reali, sulla via delle Facciate e su altre Tombe. Malgrado l’andamento dell’asinello riesco a scattare qualche foto, ma soprattutto facendo riposare un p&242; le stanche gambe. Risalgo fino all’anfiteatro, dove gli asinelli si fermano, pago il pedaggio e procedo all’ombra fino al Tempio del Tesoro. Qui il gruppo si ricompone ancora, una breve consultazione e poi c’&232; chi s’incammina verso l’uscita immettendosi nel siq e chi aspetta il calesse per percorrere pi&249; comodamente questo tratto di strada. Sono passate da poco le 16, stiamo aspettando i calessi per contrattare i prezzo; alle 16,15 i calessi non arrivano e deduco che siamo in ritardo per l’appuntamento. Alle 16,30 decido di rientrare a piedi, m’avvio per il siq e fatti pochi metri i calessi arrivano, ritorno indietro, per veder di contrattare il prezzo, ma i carretti sono presi d’assalto da altri turisti che non rispettano la fila di gente che ordinatamente attendeva, i guidatori chiedono 30€ per il trasporto di due persone, personalmente ritengo che questo sia un furto vero e proprio e decido di avviarmi a piedi. Dopo 30 minuti di buon cammino sono, puntuale al cancello d’entrata, ma dobbiamo aspettare coloro che erano con me; pochi minuti dopo giungono anche loro.
Partiamo per l’albergo, doccia, cena ed alle 20,00 indosso scarpe comode, prendo lo zaino con macchina fotografica, cavalletto e partiamo per <strong>Petrastrong> by night. Col pullman arriviamo al centro turistico dove fanno una breve presentazione della serata, la sensazione epidermica &232; quella di un’iniziativa solo per turisti senza troppo valore aggiunto; ma visto il costo della serata, ben 12€, spero di sbagliare. Ci avviamo verso la vallata oltrepassando il cancello d’ingresso e … sulla strada illuminata da decine di candele ci incamminiamo verso l’imbocco del siq. La luna semipiena illumina bene la strada dove &232; bello passeggiare. Vi &232; molta gente, e decido di chiudere il gruppo stando attento di non lasciare nessuno indietro. Nel frattempo approfitto per scattare qualche foto in notturno utilizzando il cavalletto che ho portato con me. Raggiungiamo il siq ed entriamo; tutto illuminato dalle candele che creano un grande e suggestivo effetto. Procedere nel canyon &232; davvero fantastico con le pareti parzialmente illuminate dalla luna. Nei punti pi&249; bui, le candele rischiarano bene la strada evidenziando le ombre della massicciata romana che parzialmente la compone. In breve arriviamo al Tempio del Tesoro, tutta la piazza &232; disseminata di candele poste per terra fra file di stuoie, dove poter sederci. Dopo qualche minuto inizia lo spettacolo di musica beduina, d&224; inizio un suonatore di rababah (lo strumento musicale beduino) che suona qualche motivo poi &232; succeduto da un suonatore di flauto che, anche lui suona per qualche minuto e poi pi&249; nulla; nessuna danza o nessun accompagnamento alla musica. Terminata questa scarsa rappresentazione, che pi&249; che musicale si pu&242; definire teatrale, viene distribuito del the alla menta ed inizia la vendita dei DVD/CD di musica beduina. Una serata esclusivamente commerciale che di arte e cultura esprime proprio poco. L’unica cosa piacevole &232; l’aspetto suggestivo del siq illuminato dalla luce dalle candele e della luna.
Parte quarta
lunedì 14 aprile 2008
Mentre ripercorriamo il siq, Don Maurizio, spiega i fatti storici e religiosi dell’esodo del popolo ebraico, i significati, i simboli, i riti.
Un p&242; delusi rientriamo in albergo verso le 22,30 e prima di coricarmi, mi gusto una bella birra fresca.
Parte prima
martedì 15 aprile 2008
Sveglia alle 7,30, prepariamo le valigie, colazione e poi controlliamo che siano caricate sul pullman e partiamo da <strong>Petrastrong>, lungo la strada ci fermiamo in un punto dove, si pu&242; scorgere tra le rocce della montagna, l’accesso al siq e parte della citt&224;, ma bisogna avere veramente un buon occhio per poterli individuare.
Lasciata la valle, il viaggio prosegue su colline desertiche dove sono state edificate le case dei beduini; nelle valli laterali si vedono delle querce che crescono dove vi &232; acqua. L’uomo sta coltivando la zona desertica a grano come alimento per gli ovini che pascolano sulle colline. Per regole interne, la produzione di grano per uso alimentare non pu&242; superare il 10% del fabbisogno nazionale, il rimanente seminato &232; usato dalla pastorizia; il grano per alimentazione umana viene importato dagli USA.
Mentre Mohamud sta descrivendo la vita in Giordania, giungiamo in prossimit&224; del castello di re Baldovino: un’imponente struttura edificata in cima ad una collina rocciosa, attualmente in fase di restauro. Siamo sulla via dei Re, un percorso che si snoda in tutta la Giordania ed, anticamente, era costellato da una serie di fortezze dove la popolazione ed i militari potevano trovare riparo ed alloggio.
Mohamud, con tanto orgoglio, su nostre domande riprende a parlarci della sua nazione, spiegandoci che il sistema pensionistico non esiste, o meglio, essendo uno stato di recente costituzione, il sistema non &232; ancora consolidato ed i genitori sono mantenuti dai figli. L’et&224; media delle donne &232; di 70 anni, quella degli uomini &232; di 69. In Giordania le scuole sono molto serie ed i giovani studiano, il ciclo scolastico prevede 6 anni di elementari, 3 anni per le medie, 3 anni per le superiori ed infine l’universit&224;, dove ben il 57% degli studenti sono donne. L’alta scolarit&224; crea una grave carenza di manodopera che viene importata dall’Egitto; saranno le persone che erano con noi sulla barca quando siamo approdati ad Aqada? La disoccupazione &232; abbastanza bassa, attestata da tempo sul 13 %.
Un dato “curioso” &232; legato al mercato del lavoro, qui le donne guadagnano meno degli uomini, di conseguenza il costo del lavoro per le aziende &232; inferiore rispetto ai dipendenti maschi e questo fenomeno fa si che sia il gentil sesso a lavorare come dipendenti e gli uomini stanno a casa, il pi&249; delle volte mantenuti dalle donne.
L’abbigliamento &232; libero, ma il foulard &232; una tradizione antichissima, gli uomini portano questo copricapo che si chiama Kifia ed in origine i colori avevano un significato ben preciso:
• bianco e rosso, per i giorni della settimana:
• bianco e nero, per il lutto;
• bianco, per i giorni di festa.
Oggi, l’uso dei colori &232; stato storpiato e la kifia identifica la nazionalit&224;:
• bianco e rosso, per la Giordania:
• bianco e nero, per la Palestina;
• bianco, per chi &232; stato alla Mecca.
Poi Mohamud ci illustra alcune tradizioni religiose mussulmane, partendo dalla preghiera giornaliera che deve essere fatta 5 volte al giorno; all’alba, a mezzo giorno, nel pomeriggio, al tramonto, ed infine al buio. La preghiera &232; anticipata sempre dalle abduzioni in segno di purificazione.
Ci spiega i 5 portamenti dell’islam;
• Dio &232; unico e misericordioso e Maometto &232; il suo profeta;
• la Preghiera
• il Ramadam;
• l’elemosina;
• il pellegrinaggio alla Mecca.
Prosegue nella descrizione dei riti funebri, dove il defunto viene lavato, fasciato con un lenzuolo bianco, poi messo, provvisoriamente, in una cassa da morto e portato alla moschea per il rito funebre. Infine viene seppellito nella terra, sdraiato e con il viso rivolto verso la Mecca. Sopra la tomba viene posta una pietra con inciso nome e cognome, data nascita e di morte.
I parenti durante la veglia funebre seguono un rituale ben preciso:
• il primo giorno, gli uomini si radunano sotto una tenda, bevono the e mangiano un dattero;
• il secondo giorno, le donne visitano il defunto leggendo frasi del corano.
Sempre in tema religioso, Mohamud ci racconta che le feste si dividono in due tipi:
• la festa piccola, che avviene alla fine del ramadam ed &232; caratterizzata dal cibo che viene cucinato per l’occasione, oltre ai regali che vengono fatti ai bimbi;
• la festa grande, che avviene nei due mesi successivi al pellegrinaggio alla Mecca, dove la tradizione vuole che l’evento sia festeggiato col sacrificio di montoni.
Le usanze legate alla religione vedono una forte tradizione popolare e tra i mussulmani vi &232; circa l’85% di praticanti.
Parlando di artigianato la guida ci riferisce che in Giordania sono caratteristici i vasetti riempiti di sabbia colorata con varie figure create dalla sabbia stessa; cammelli, palme sono le figure pi&249; diffuse oltre a sfondi del deserto con monti ed uccelli, dromedari e palme.
Mentre Mohamud racconta della sua terra natia, il viaggio prosegue nel deserto costellato di qualche villaggio, le strade sono ben asfaltate ed &232; un piacere viaggiare, l’autista ha una buona guida.
Arrivando in prossimit&224; di un centro abitato, facciamo una sosta, chi per motivi “idraulici”, chi per dissetarsi. Accediamo ad un bar, al cui interno si apre un immenso negozio di souvenir e di prodotti artigianali, ad un primo colpo d’occhio parrebbe merce dozzinale, ma osservando bene mi accorgo che i manufatti sono di buona, se non di ottima e raffinata fattura. Vi sono pugnali e gioielli in argento, collane di corallo e pietre dure, l’immancabile narghil&232; ed il rababah, brocche per il caff&232; in ottone, vario vasellame in terracotta o ceramica, sedie e tavoli da gioco decorati con pietre, tavoli con mosaici con fiori o motivi geometrici ed in un locale attiguo vi &232; un artigiano che lavora le pietre dure realizzando collane ed orecchini.
Vedendo questi gradevoli e raffinati prodotti, &232; scontato che qualcuno del gruppo si dedica agli acquisti e mentre sono intenti a scegliere i prodotti, io proseguo il giro del locale dove posso ammirare dei pregiati tappeti in seta, oltre che delle sedie in legno lavorate in ebanisteria con madreperla, che sul nero del legno assume una lucentezza con delle sfumature affascinanti. Sempre all’interno del bazar, vi &232; un reparto di bellezza con i prodotti provenienti dal vicino del Mar Morto.
Riprendiamo il viaggio ed arriviamo a Al-Karak (G-TCI 99), una cittadina che sorge sulla “via dei Re” l’antico percorso che collegava il nord al sud della Giordania costellata di castelli realizzati dai crociati. Arriviamo nella citt&224; completamente fortificata, percorrendo strette strade dove l’autista deve utilizzare tutta la sua bravura per poter condurre il pullman fino all’ingresso della fortezza. Visitiamo il luogo, o meglio quello che ne rimane, visto che nei secoli, la struttura &232; stata saccheggiata ed utilizzata come cava per attingere materiale per le costruzioni delle case limitrofe. La fortificazione &232; veramente imponente, costruita su pi&249; strati ha delle dimensioni immense, visitiamo le antiche stalle, le cucine, le sale da pranzo ed altri locali destinati a svariati usi. Vediamo le anguste e nascoste prigioni, oltre che l’immensa piazza d’armi e l’edificio dove alloggiavano i cavalieri crociati.
Terminata la visita, riprendiamo il nostro viaggio e, attraversando la citt&224; transitiamo nei pressi di un ospedale italiano fondato nel 1934 e ed ancora gestito da suore comboniane.
Riprendiamo la Via dei Re diretti verso nord e, mentre ci avviciniamo ad un avvallamento vediamo delle antiche pietre miliari; poste a distanze regolari di 1.420 metri, segnalavano la corretta via ai cammellieri che percorrevano questa antica ed importante strada. Probabilmente, visto che una carovana non percorreva pi&249; di 40/42 chilometri al giorno, ogni 28 o 29 pietre miliari vi era un pozzo d’acqua dove far abbeverare gli animali e gli uomini (vedi mio diario Usbekistan e Turkmen
Parte seconda
martedì 15 aprile 2008
Lungo la strada avvistiamo moltissime piante di mimosa mentre al bordo dei campi ammiriamo la costante presenza delle piante di ibis nero fiorite. Restando affascinato da questo stupendo e desertico paesaggio collinare, giungiamo in prossimit&224; de Lo uadi al-Mawjib (G-TCI 98) una valle profonda oltre 800 metri nel cui fondo &232; stata realizzata, da ingegneri greci, interrompendo il corso del fiume, una diga a gravit&224; che crea un bacino artificiale la cui acqua viene usata per scopi agricoli.
Scendiamo nel letto del fiume, lo attraversiamo e risaliamo l’altro fianco della valle arrivando dalla parte opposta dove, con nostra grande sorpresa, troviamo terreni coltivati a grano ed ulivi, dove ogni appezzamento terriero ingloba la casa dei contadini affittuari o dei proprietari. E’ veramente incredibile come da un lato all’altro della valle il paesaggio cambi radicalmente da deserto a zona verde ed agricola
E’ giunta l’ora della sosta per il pranzo, ci fermiamo in un ristorante dove troviamo pollo, agnello, creme, pasta, riso e gradiamo un rag&249; di carne molto buono e gustoso.
Riprendiamo il viaggio e avvicinandoci a Madaba (G-TCI 90), notiamo che la auto hanno delle targhe di colore differente, chiediamo a Mohamud e ci chiarisce il mistero, le targhe;
• Bianche sono per i mezzi private;
• Rosse sono per i mezzi statali;
• Verdi sono per i mezzi pubblici.
Giunti nella citt&224; di Madaba l’attraversiamo e posteggiamo il pullman presso un parcheggio per turisti. Non avendo letto bene il programma della giornata, non riesco ad afferrare cosa vi sia da vedere il questa cittadina dall’aspetto abbastanza moderno. Scendiamo dal pullman percorrendo delle vie ricche di negozi di artigianato locale dove si osservano tappeti e mosaici, dopo qualche minuto di cammino sotto il cocente sole, arriviamo nei pressi di una cinta, siamo arrivati alla chiesa ortodossa di San Giorgio (G-TCI 91). Accediamo all’area e adiacente alla chiesa vi &232; un edificio moderno, la mia curiosit&224; sta salendo, capisco che andiamo a vedere un mosaico, ma non avendo al guida con me, non ho altri riferimenti; accediamo nell’edificio e su una parete &232; esposta una foto che riproduce il mosaico. Mohamud ci spiega l’importanza di questo importantissimo e mirabile capolavoro; realizzato nel 600 d.C. &232; la Mappa della Terrasanta pieno di riferimenti religiosi, ed &232; giunta fino ai nostri giorni. L’imponenza del mosaico &232; impressionante, 16 per 6 metri, realizzato con oltre tre milioni di tessere. La guida basandosi sui quattro punti cardinali, ci illustra il territorio riportato nel mosaico, si notano: il fiume Giordano, il mar Morto, la citt&224; di Gerusalemme con il cardo romano, la citt&224; di Madaba dove siamo noi. Terminata la spiegazione entriamo nella chiesa di San Giorgio e sul pavimento adiacente l’altare, possiamo ammirare questo capolavoro, che seppur incompleto attraverso il corso dei secoli, &232; giunto fino ai nostri giorni.
Lasciamo Madaba dirigendoci verso il Monte Nebo (G-TCI 93), il luogo in cui Mos&232; vide la Terra Promessa; da qui si domina il Giordano, la Palestina ed il Mar Morto. Ed &232; anche il posto dove vi &232; la tomba di Mos&232; e che finora non &232; stata trovata.
L’entrata avviene transitando per un cancello custodito da guardie, un militare ferma Tonina e dice “no entry”. Un momento di leggero panico, che succede? Perch&233; non la fa entrare? Poi ridendo il guardiano afferma “visto che sei affascinante &232; meglio che rimani qui”. Sorridendo riprendiamo il cammino e poco dopo, salendo per la strada lastricata giungiamo ad un enorme cippo; un monumento che &232; stato posato in occasione della visita del Papa Giovanni Paolo II.
Oggi fa caldo e per la foschia, la vista non pu&242; spaziare all’infinito ed osservare la “terra promessa”. Sul monte sorge una chiesa custodita dai frati Francescani della Custodia di Terrasanta, che &232; in ristrutturazione, di conseguenza &232; impossibile accedere all’interno per ammirare i mirabili e famosi mosaici pavimentali realizzati nel VI sec. Facciamo un giro nell’area, qualche foto ricordo ed una alla croce di ferro che ricorda la croce di Mos&232; con cui guariva le persone morse dai serpenti nel <strong>Wadi Rumstrong>.
Riunito il gruppo recitiamo una preghiera e poi ci rechiamo a visitare il locale museo archeologico dove, in una tenda sono custoditi dei pregevoli mosaici.
Lasciando il monte Nebo mentre scendiamo, lungo la strada ci fermiamo presso un laboratorio di mosaici. Oltre ad essere una bottega artigianale dove vengono realizzati mosaici di ogni dimensione e fattura, la struttura racchiude anche una scuola sull’arte del mosaico. Accediamo alla manifattura dove troviamo tre persone che sono impegnate nell’approntamento di mosaici, ci spiegano come vengono realizzati e ci mostrano i vari passaggi, c’illustrano che la scuola e l’adiacente cooperativa ha 250 collaboratori dei quali ben 210 sono “diversamente abili”. Terminata la visita al museo, accediamo al negozio, dove si possono ammirare mosaici di ogni forma e soggetto, mobili intarsiati, gioielli in argento, tappeti in lana o seta, collane, orecchini in pietra dura, vasellame lavorato a mosaico.
Durante la sosta ci viene offerto dell’ottimo the caldo, che ci disseta. Alla fine risaliamo in pullman e ripartiamo per Amman. Lungo la strada perfettamente asfaltata che percorre la regione, vediamo decine di pini che sono cresciuti storti frutto della costante azione del vento che soffia da ovest. Proseguendo il viaggio, dopo circa 1 ora arriviamo ad Amman, la capitale della Giordania, la visione &232; unica, tutti i palazzi sono rivestiti di pietra bianca calcarea, infondendo alla citt&224; una colorazione particolare, soprattutto al tramonto quando la bianca pietra si tinge di rosso colpita dagli ultimi raggi solari.
L’estensione della citt&224; &232; a perdita d’occhio. Amman, come Roma, sorge su 7 colli, &232; una citt&224; moderna con negozi, ampi centri commerciali, strade perfettamente tenute dove scorre un fluente traffico. Un particolare mi colpisce immediatamente, per terra non vi &232; una nemmeno un pezzetto di carta e neppure la minima immondizia. Chiediamo a Mohamud come mai tanta pulizia, e lui spiega che 24 ore su 24 degli spazzini tengono letteralmente pulita l’intera citt&224;.
In occasione di un incrocio stradale noto che i vigili portano un curioso cappello sulla cui sommit&224; si erge uno spuntone metallico, che ricorda lo stile austro ungarico di qualche secolo fa.
Arriviamo all’albergo; una struttura di 20 piani, fin da subito si dimostra un vero porto di mare frequentato da turisti e da uomini d’affari. Alla reception &232; un continuo via vai di gente, chi arriva e chi esce. Osservando bene l’edificio appare abbastanza datato sia nell’arredamento interno che nei servizi, gli ascensori sono lentissimi, cerco di salire a piedi, ma risulta impossibile accedere alle scale di servizio, quindi devo aspettare l’ascensore che lentamente, mi accompagni fino al mio piano.
Mentre aspetto che le valigie mi siamo consegnate in camera, approfitto per leggere qualcosa di Amman e proseguo nell’aggiornamento dei miei appunti di viaggio. Arrivano le valige, doccia e scendo per la cena. Nella sala da pranzo, il gruppo si riunisce su tre tavoli, il cibo &232; a buffet, quindi si pu&242; assaggiare quello che pi&249; soddisfa il palato ed alla fine del pranzo vi &232; da pagare le bevande; i camerieri chiedono cosa si &232; bevuto, portano le ricevute e chiedono il denaro. Riportano il resto, e mi accorgo che &232; sbagliato, richiamo il cameriere e faccio una piccola discussione sull’ammontare, d’altronde la matematica non &232; un’opinione, alla fine, dopo il terzo “chiarimento” arriva il resto, ma manca ancora qualcosa. Dialogando gli altri del gruppo ci accorgiamo che i camerieri lucrano sul conto. La restituzione del resto non &232; mai come dovrebbe essere! Un vero peccato
Parte terza
martedì 15 aprile 2008
Terminata la cena, decidiamo di rimanere in albergo, ma gli spazi per attivit&224; ludiche sono veramente limitati, faccio un giro per vari salotti e poi decido in compagnia di salire al 20&176; piano sulla terrazza panoramica. Dopo un p&242; d’attesa, riusciamo a prendere l’ascensore che ci porta in cima all’albergo, ma all’uscita troviamo la strada sbarrata da una guardia del corpo che ci chiede il pass. Il pass per andare dove? La terrazza e la piscina risultano occupate da una festa privata e per accedervi occorre avere l’invito. Riprendiamo il nostro ascensore e ritorniamo al piano terra, dove stanno giungendo dei pullman di americani, la gente riempie la reception e tutto il piano terreno. A questo punto decido di andare in camera ed utilizzare il tempo per leggere e per scrivere, passo la serata a leggere uno dei libri di <strong>Petrastrong> scritti da Fabio Bourbon, che ho acquistato nei giorni scorsi. La lettura, le fotografie ed i disegni sono avvincenti e la serata trascorre velocemente, alla fine un bel sonno.
Parte prima
mercoledì 16 aprile 2008
La sveglia suona puntuale alle 7,00, colazione e poi alle 8,00 &232; prevista la partenza, ma la lentezza degli ascensori ci fanno ritardare di qualche minuto.
Ripreso il nostro pullman, ci dirigiamo verso il sito archeologico di Gerasa, percorriamo circa un’ora di strada quando i prossimit&224; di un piccolo ponte su un fiume ci fermiamo, siamo giunti al fiume Alzarga Jaboc; il luogo raccontato dalla Bibbia che vide Giacobbe lottare con l’Angelo.
E’ un posto dalla simbologia molto forte; Israele significa “l’uomo che ha lottato con Dio” e avendo Giacobbe lottato con l’angelo il suo nome &232; mutato in Israele; qui avviene il passaggio da Giacobbe/trib&249; a Israele/popolo.
Dopo le spiegazioni storica e religiosa fatte da Mohamud e da Don Maurizio, il viaggio riprende verso Gerasa (G-TCI 68), dove vi giungiamo sotto il caldo sole gi&224; alto nel cielo. Lasciando il pullman ci avviciniamo al complesso archeologico della bellissima citt&224; romana che sepolta dal deserto, fu ritrovata solo pochi secoli fa, ed &232; tutt’ora attenzione di un stabile scavo e restauro. Anche se molto &232; gi&224; stato portato alla luce e ricostruito, moltissimo giace ancora sotto la sabbia del deserto, in attesa d’essere scoperto.
Accediamo a Gerasa attraversando l’imponente e stupefacente Arco di Adriano (G-TCI 69), costruito nel 129 d.C. in occasione della visita dell’Imperatore. L’arco realizzato in marmo &232; tutt’ora in fase di restauro, presenta delle bellissime e raffinate sculture. Poco dopo l’Arco, sulla sinistra vi &232; l’ippodromo, ricostruito su quello originale. Adiacenti all’ippodromo degli antichi negozi con raffinati pavimenti a mosaico. Nelle vicinanze sorge il cimitero cristiano bizantino.
Prima di proseguire il giro del sito archeologico, facciamo sosta in un bar e mentre stiamo ripartendo arriva una scolaresca che procede cantando e suonando flauti e tamburi. Per fortuna si ferma in prossimit&224; delle mura, in modo che noi possiamo accedere alla citt&224; senza l’orda di scolari al seguito.
Entriamo nella citt&224; romana attraverso l’antica Porta Sud e, fatta poca strada arriviamo alla Piazza Ovale da cui partiva, in direzione nord, il Cardo Massimo. Questa vastissima piazza lunga 90 metri e larga 80, &232; l’unica piazza romanica ovale conosciuta, in tutta l’Asia.
Transitiamo per quello che resta del Tempio di Zeus ed arriviamo al Teatro Sud (G-TCI 74), realizzato in marmo, &232; stato restaurato ed &232; conservato benissimo. Ha un’acustica perfetta, poteva e pu&242; ospitare ben 3.500 spettatori seduti. In alcune occasioni la parte dell’orchestra veniva allagata ed era oggetto di rappresentazioni navali. Al suo interno un piccolo gruppo di beduini, vestiti da guardie del deserto, suonano cornamuse e tamburi.
Proseguendo il giro, arriviamo a quello che resta di tre chiese bizantine:
• San Giorgio, edificata nel 529 d.C. presenta resti delle mura perimetrali con tracce della pavimentazione a mosaico;
• Giovanni Battista, edificata nel 531, con agli angoli motivi che ricordano le 4 stagioni;
• Cosmo e Damiano, edificata nel 533, con il pavimento a mosaico quasi interamente conservato ed ammirabile dall’alto, dove si vedono motivi floreali, persone e scritte latine.
Avanzando nella citt&224;, arriviamo ai resti della Cattedrale con adiacente la chiesa di San Teodosio. Esterna alla chiesa una piccola piazzetta, era il luogo di sosta dei catecumeni; solitamente adulti in cammino nella conversione religiosa, non avendo ancora ricevuto il sacramento del battesimo non potevano accedere alla chiesa, di conseguenza restavano sulla piazzetta ad ascoltare le funzioni religiose celebrate all’interno dell’edificio religioso.
Ma perch&233; tante chiese cos&236; una vicina all’altra? Il motivo va ricercato nell’antica tradizione in cui nei giorni feriali, la Santa Messa poteva essere celebrata in una chiesa, una sola volta al giorno (usanza poi superata dal Concilio Vaticano) a questo punto nasceva un problema, se si voleva celebrare una seconda messa che fare? Serviva un’altra chiesa, magari adiacente, come in questo caso.
Ascoltando le spiegazioni fatte da Mohamud e da Don Maurizio rifletto sul fascino e sull’intensit&224; di avvenimenti successi nella storia e richiamo alla mente che nell’odierna civilt&224; molti concetti si danno per scontati mentre in tempi passati le consuetudini religiose e di vita avevano un percorso fatto di riti, di segni, di momenti scanditi nel tempo. Pratiche che oggi stanno perdendo il loro significato religioso, storico e culturale; sarebbe il caso di riprendere ed approfondire questa cultura, prima che sia irrimediabilmente persa.
Lasciando le chiese cristiane, facciamo pochi metri e su una collina accediamo all’imponente tempio di Artemide (G-TCI 74), dove verso il cielo svettano le bellissime colonne sormontate da magnifici capitelli corinzi marmorei, finemente scolpiti. Mohamud s’intrufola fra le mastodontiche colonne a giunto alla base di una si ferma, ci fa osservare un cucchiaio infilato nella base della stessa; il cucchiaio si muove!! Ovvero la colonna compie un’impercettibile oscillazione che viene evidenziata dal cucchiaio posto proprio alla base. Ambrogina vuole riprendere l’oscillazione con la telecamera, mi avvicino e metto la mano come punto di riferimento; posso osservare che l’oscillazione del cucchiaio &232; rilevante; a volte arriva vicino ai 10 centimetri. E’ veramente impressionante pensare che sono sotto ad una colonna alta una decina di metri che oscilla in continuazione; forse &232; meglio cercare una zona meno “fluttuante”.
Lasciamo il tempio di Artemide e scendendo lungo la scalinata posta sulla collina, giungiamo al Cardo Massimo (G-TCI 75), dove alla nostra destra, che volge a nord vediamo la Porta di Damasco. Il cardo costruito nel I sec d.C. era una lunga strada lastricata e completamente porticata ai lati. Percorrendola arriviamo al Ninfeo (G-TCI 77), stupenda costruzione dedicata alle divinit&224; delle fonti che ai tempi era rallegrata da fontane d’acqua. Pi&249; avanti arriviamo al titrapile, un spiazzo circolare, antenata delle nostre rotonde stradali, con ai lati i resti di antiche botteghe, poco distante troviamo dei negozi con adiacente una fontana con una forma di croce, osservo con attenzione l’orientamento, chiedo a Mohamud in che direzione &232; Gerusalemme e constato che la croce &232; orientata verso la citt&224; Santa; sar&224; una coincidenza?
Proseguiamo sul Cardo Massimo finch&233; giungiamo alla Piazza Ovale, sosta per delle foto ricordo e poi, avvicinandoci all’uscita verso l’Arco di Adriano, dall’ippodromo si alza una nuvola di terra, che succede? Sembra di vedere qualcuno che sta correndo, sembra una biga romana, ma sto sognando? Affatto no, &232; in atto uno spettacolo con la corsa delle bighe. Sugli spalti dei turisti e nell’arena si vedono due bighe che stanno avanzando rapidamente, mentre ai lati delle comparse indossano armature di romani, con il loro mantello rosso porpora. Ci avviciniamo per vedere, ma un guardiano ci allontana dicendo che se vogliamo assistere allo spettacolo dobbiamo pagare il biglietto. Il gruppo si sposta, ma qualcuno riesce ad avvicinarsi alla cinta e scattare delle fotografie.
Usciti dal sito archeologico, riprendiamo il pullman dove l’aria condizionata porta un po di sollievo rispetto al caldo di Gerasa. Il programma prevede la visita alla fortezza di Qal&224;at al-Rabad cui giungiamo dopo un viaggio di oltre mezz’ora. Ci avviciniamo alla montagna dove sorge l’imponente fortificazione crociata, ma giunti sul piazzale, la guida si accorge che la strada &232; chiusa per lavori, quindi bisognerebbe salire a piedi la collina terminale. A questo punto un rapido consulto e visto che, l’interno della roccaforte &232; similare a quella di Kerak che abbiamo gi&224; visitato, Mohamud ci propone un’alternativa; recarci a Gerasa per il pranzo e nel pomeriggio andare a vedere il teatro romano di Amm
Parte seconda
mercoledì 16 aprile 2008
Accettiamo molto volentieri la modifica del programma e ritorniamo a Gerasa per il pranzo dove il ristorante &232; posto nell’area archeologica, il pranzo &232; a buffet e la cucina giordana ci offre molte specialit&224; tra cui riso e montone, pollo, verdure, salse, frutta (le banane locali, piccole e gustose), io gusto in particolar modo delle melanzane con latte e delle polpette. I nostri tavoli sono collocati vicini al forno del pane, dove la pasta viene tirata come per una pizza e poi viene infornata; il pane cotto &232; fragrante, ottimo e davvero gustoso.
Mentre pranziamo arrivano i bambini della scuola che abbiamo incontrato in mattinata ed il locale si ravviva allegramente. A fine pranzo, avendo visto l’insegna di un caff&232; italiano, lo ordiniamo, scelta corretta in quanto il caff&232; &232; davvero buono.
Terminato il pranzo rientriamo ad Amman (G-TCI 50), a bordo del pullman facciamo un giro turistico per la capitale, vediamo il palazzo reale che sorge su una collina con la relativa imponente entrata e poco dopo ci fermiamo per visitare l’anfiteatro romano (G-TCI 56). Adiacente all’anfiteatro sono stati allestiti il museo della tradizione popolare ed il museo del folklore.
Decido, per prima cosa di visitare i due musei, iniziando da quello delle tradizioni popolari dove posso osservare l’abbigliamento tipico raffigurato per trib&249;, gioielli in argento, collane in pietre dure, copri viso (per le donne), armi, mosaici e manufatti in lana per gli usi quotidiani.
Nel museo del folklore posso guardare attentamente la ricostruzione delle tende dei beduini, armi da sparo e da taglio; la ricostruzione delle botteghe del venditore di caff&232;, del calzolaio, del produttore di vasellame; sono altres&236; riprodotte gli interni delle abitazioni. In altri locali sono esposti gli attrezzi per il lavoro della terra, quelli per la fabbricazione dei cesti, la macina del grano, la lavorazione della lana. Mentre all’interno di teche di vetro bicchieri in ottone, vasellame, stoviglie, libri ed ampolle per il profumo.
Lasciando i musei ed entrando nel teatro, salgo la ripida scalinata per godermi la vista dall’alto, l’occhio spazia sulla citt&224; e sull’imponente teatro pu&242; contenere 7.000 spettatori.
Terminata la visita si rientra verso l’albergo dove qualcuno decide di fermarsi, con parte del gruppo proseguo, sempre in pullman, per un bazar dove vendono souvenir, gioielli in argento ed in oro, stoffe, ceramiche e prodotti del mar Morto; qualcuno del gruppo, chiaramente fa acquisti.
Concluse le compere, si rientra in albergo, cena e stasera sto molto attento al resto dei camerieri, anzi pago con tutte le monetine che ho a disposizione per evitare altri “brogli” come la sera precedente. Terminata la cena, visto che gli spazi a disposizione sono limitati, qualcuno decide di andare in camera a fare la partita a carte, qualcuno tenta di telefonare in Italia, io con un gruppetto tento di fare un giretto all’esterno dell’albergo; facciamo pochi passi ma vista la temperatura veramente fresca, decidiamo di rientrare. Approfitto per andare in camera e proseguire la lettura di <strong>Petrastrong> iniziata la sera precedente.
Parte prima
giovedì 17 aprile 2008
La sveglia &232; prevista per le 7,00 ma da tempo sono sveglio, ho visto il sole sorgere su Amman e dipingere di rosa le bianche case; il lontananza delle nuvole nere e minacciose si stanno avvicinando. Colazione e poi, con una temperatura veramente fredda che richiede un golfino, uscendo dall’albergo prima di salire sul pullman, controlliamo attentamente le nostre le valigie. Lasciamo Amman con una temperatura di 22 gradi; la nostra meta &232; il Mar Morto.
Mentre viaggiamo Mohamud, su nostro invito, riprende a raccontarci delle Giordania; il sistema sanitario &232; nazionale, organizzato in una serie di ambulatori non molto puliti dove viene garantita l’assistenza di base; di conseguenza &232; decisamente meglio il trattamento privato. Le principali cure ospedaliere sono garantite dallo Stato, ma anche qui per essere ben curato devi rivolgerti ai privati.
Vedendo numerose persone di etnie diverse, chiediamo com’&232; la popolazione che abita il paese, risponde che la Giordania &232; popolata da numerosi palestinesi che sono emigrati, mentre la manodopera &232; fornita dagli egiziani che vengono qui a lavorare per il cambio estremamente favorevole.
Mentre viaggiamo verso la nostra destinazione mattutina, arriviamo nei pressi dell’enorme depressione arabica, la depressione dove sul proprio fondale vi &232; il Mar Morto. Arrivati all’altezza zero sul livello del mare, il pullman si ferma e noi ne approfittiamo per una sosta e per scattare qualche fotografia. &200; impressionante sapere che sei al livello del mare, mentre osservi sotto di te, l’immensa distesa che appare ai tuoi occhi, una depressione infinita, lunga centinaia di chilometri e larga alcune decine. Durante la sosta, grazie alle indicazioni di Mohamud, possiamo osservare il Monte Nebo che abbiamo visto ieri, le colline di Gerusalemme e di Gerico, che vedremo oggi e nei prossimi giorni.
Scendendo lungo la depressione arriviamo sul fondo piatto e proseguendo in un luogo praticamente desertico, dove non vi &232; nessuna forma di vita per la salinit&224; dell’acqua e l’intensa calura, arriviamo sulle rive del Mar Morto; una localit&224; turistica con molti alberghi ben strutturati, ed alcuni veramente imponenti sono in costruzione.
Il maggior affluente del Mar Morto era il Giordano, ma Israele con la realizzazione di una diga ha interrotto l’apporto di acqua dolce, creando due problemi:
• l’aumento costante della salinit&224;;
• la diminuzione dell’acqua presente nel mare che evapora per via dell’alta temperatura.
Ci fermiamo presso una struttura balneare dove &232; possibile accedere alla spiaggia, noleggiamo gli asciugamani e ci dirigiamo verso il mare, con la voglia di sperimentare quest’acqua che con il suo 33% di salinit&224; permette il galleggiamento dei bagnanti.
L’acqua &232; fredda, il fondo &232; formato da sassi appuntiti dove per non tagliarsi (come ho fatto io) bisogna stare attenti a camminare, ci si bagna pian piano e la sensazione di stare in acqua &232; davvero inusuale, non si affonda!! Si galleggia, ma il raddrizzarsi diventa impresa ardua se non ci si aiuta con degli appoggi; anche nuotando a dorso occorre una bella spinta per rimettersi dritto.
Mentre siamo in acqua, vediamo poco distante delle persone coperte di fango, notiamo il punto dove lo estraggono dal fondale marino e decidiamo di recarci anche noi per fare i fanghi. Arrivati in loco, ci accorgiamo che il fondale da sassoso &232; divenuto fangoso e camminandoci sopra sprofondiamo leggermente, la sensazione d’avere i piedi nel fango caldo e morbido &232; veramente irripetibile.
Prendiamo del fanghiglia dal fondale e ci cospargiamo tutto il corpo, lo facciamo asciugare e poi per toglierlo, un bagno finale. Dopo un trattamento seppur breve, al tatto la pelle risulta pi&249; liscia e vellutata; il fango del mar Morto ha davvero delle propriet&224; terapeutiche.
Mentre stiamo facendo i fanghi od il bagno, qualcuno ha la sfortuna di bagnare gli occhi; deve uscire subito dall’acqua salata e dirigersi velocemente sotto la doccia per lavare gli occhi ed evitare il bruciore. Infine uscendo dall’acqua salata, facciamo subito una doccia per togliere immediatamente il sale che si sta depositando sulla pelle e sul costume.
Ci asciughiamo e poi con Augusto faccio un giro lungo la spiaggia per raccogliere i cristalli di sale che sono depositati sul bagnasciuga.
Terminata la sosta al mare, &232; l’ora del pranzo, si mangia a buffet, e poi, costeggiando il Mar Morto, di dirigiamo verso il confine con Israele; lungo la strada costeggiamo campi coltivati a melanzane, cavoli, zucchine, pomodori e vicino al confine troviamo piantagioni di banane ed agrumi. Notevole, imponente e capillare &232; il sistema d’irrigazione delle campagne; fasci di tubazioni costeggiano la carreggiata e poi si disperdono nelle aride, secche ed assolate campagne trasportando il prezioso liquido che permette la coltivazione e la vita.
Arriviamo alla frontiera poco prima delle 13,30, dobbiamo essere precisi e rapidi in quanto per una ricorrenza festiva, il confine chiude alle 14,00.
Mohamud ritira i passaporti con 5 € per il bollo d’uscita e poi si reca in dogana a sbrigare tutte le pratiche necessarie all’uscita: dopo un p&242; di tempo trascorso sotto il sole del deserto, ritorna Mohamud con i nostri passaporti omnicomprensivi di visto collettivo per l’uscita dalla Giordania. Salutiamo Mohamud che non ci pu&242; accompagnare fino al confine israeliano, e solo con l’autista del pullman ci dirigiamo verso la zona neutra tra le due nazioni. Percorriamo un’ampia zona desertica, costellata di casematte e di reticoli di filo spinato, attraversiamo un avallamento, transitiamo sul ponte di recente costruzione dedicato a Re Hussein di Giordania, e poi dopo aver costeggiato delle desertiche colline disseminate di casematte militari, giungiamo al confine con Israele dove, in prossimit&224; di un’imponente recinzione ricoperta da reticolati, ci fermiamo per il primo controllo; lo superiamo e poco dopo arriviamo in un piazzale, &232; il posto di frontiera dove ci attende il nostro ingresso in Israele. Possiamo scendere dal pullman e ritirare i nostri bagagli, poi in fila indiana e muniti di passaporto, iniziamo i controlli; i bagagli sono ritirati dagli agenti che li controllano, mentre noi ci accodiamo per entrare nella dogana; il check-in &232; molto rigoroso, non passa assolutamente nulla di metallico, devo togliere giubbino, marsupio ed ogni oggetto metallico che indosso. Al passaggio di una donna un rilevatore continua a suonare, nessuno comprende il perch&233; ma gli agenti si stanno un p&242; innervosendo, dopo qualche tentativo si scopre la causa; le mollette metalliche dei capelli, simile rigore non l’ho mai visto.
Ci apprestiamo al visto d’entrata in Israele quando in dogana vogliono vistare tutti i passaporti, leggendo le note presenti sulle guide, chiediamo la stampa del visto, da allegare al passaporto, nulla da fare, i doganieri sono inflessibili, ogni passaporto dev’essere vistato; Ambrogina e Giorgio tentano di non far timbrare il passaporto, arriva il capo degli agenti, discussione e infine tutti i passaporti vengono timbrati. Scopriamo che una disposizione interna fa si che da inizio del 2008 tutti i passaporti devono essere timbrati ed &232; stata rimossa la possibilit&224; d’avere il visto da allegare al passaporto. Avere il passaporto timbrato da Israele significa non poter pi&249; accedere in un paese arabo escluso la Giordania e chi di noi dovr&224; recarsi, per qualsiasi motivo in un paese arabo, dovr&224; rifare il passaporto!
Timbrati i passaporti ci mettiamo in fila indiana per uscire, ma vi &232; un ennesimo controllo da superare, Tonina viene fermata; risulta avere una differenza numerica tra biglietto e timbro, in dogana hanno sbagliato a scrivere e deve ritornare dai doganieri per la correzione del caso.
Finalmente dopo parecchio tempo rientriamo in possesso delle nostre valigie e co
Parte seconda
giovedì 17 aprile 2008
Troviamo una persona sulla cinquantina che parla un ottimo italiano, si chiama Sergio, &232; di Torino e da anni vive in Israele, &232; una sensazione veramente strana avere una guida italiana in un paese straniero, comunque una bella comodit&224; per la comprensione dell’idioma.
Dopo aver caricato le nostre valigie sul pullman, Sergio ci spiega che siamo in Giudea sulla piana di Samaria, una parte del deserto asiatico. Gerusalemme, la meta odierna sorge a pochi chilometri di distanza, ai margini della depressione del Mar Morto, la citt&224; ha un clima mediterraneo, molto fresco e ventilato. La Giudea, a seguito di evento politici &232; stata divisa in due; nella parte ovest vi sono gli israeliani, mentre nella parete est vi sono i mussulmani (palestinesi) ed il tutto &232; diviso, come vedremo poi, da enormi, orrende, imponenti mura di delimitazione.
Dopo un breve viaggio, giungiamo a Gerusalemme; destinazione tanto ambita, meta finale del nostro pellegrinaggio. La citt&224; si presenta edificata su pi&249; colline, per cui solo nei prossimi giorni comprender&242; esattamente l’ubicazione dei luoghi che sono riportati nella Bibbia e che, sono noti, oltre che per gli avvenimenti storici, perch&233; hanno visto la passione di Ges&249;.
Percorrendo un’agevole strada asfaltata giungiamo in cima di una collina dove ci fermiamo, scendiamo dal pullman; siamo al Monte degli Ulivi, ed &232; il luogo di partenza ideale per accedere Gerusalemme; la si vede dall’alto, si pu&242; ammirarla in tutto il suo incanto. Iniziamo il giro partendo da un edificio ottagonale, siamo all’edicola dell’Ascensione (I-TCI 115), uno dei tre luoghi edificati da Sant’Elena, che sono:
• La cappella della vera Croce presso il Sacro Sepolcro;
• La nativit&224; a Betlemme;
• L’edicola dell’Ascensione presso il Monte degli Ulivi.
Posta entro un terreno murato, sorge la struttura che edificata dai crociati &232; stata rimaneggiata dai Mammalucchi. Al centro dell’edificio vi &232; una roccia con l’impronta simile ad un piede. Per tradizione, questo &232; reputato il luogo dell’Ascensione di Ges&249;.
La struttura ottagonale ha un profondo significato simbolico, l’ottavo &232; il primo giorno successivo alla settimana trascorsa, il che significa continuit&224;.
Lasciamo l’edicola dell’Ascensione e percorrendo una strada in discesa arriviamo alla Basilica del Sacro Cuore con l’adiacente chiostro del Padre Nostro (I-TCI 115), all’interno dell’edificio vi &232; una grotta di calcare bianco, dove Ges&249; ha insegnato ai discepoli il Padre Nostro. Le pareti del Monastero e della Chiesa sono adorne di tavole riportanti la preghiera scritta in moltissime lingue e dialetti.
Lasciando la Basilica ci fermiamo, in una piazzetta ad osservare il panorama della citt&224;; Gerusalemme &232; il luogo dove si dice esista la roccia che fond&242; l’universo: &232; il sito dove Abramo sacrific&242; il figlio Isacco. Storicamente &232; una localit&224; che fu scelta per la sua costante ventilazione, ideale per la battitura del grano. Re Davide fond&242; la citt&224; e Salomone la ampli&242; e fece erigere il primo tempio ebraico. Quando nel 586 a.C. i Persiani la conquistarono, gli ebrei andarono in esilio e poi ritornarono. Al loro rientro ricostruiscono il Tempio con l’Arca dell’Alleanza; da allora la citt&224; ebbe un continuo sviluppo.
Di fronte a noi possiamo ammirare l’imponente e dorata cupola della moschea di Qubbet es-Sakhra chiamata anche moschea di Omar, il luogo dove Maometto sal&236; al cielo. Pi&249; in alto Sergio ci fa notare i campanili della chiesa del Sacro Sepolcro, col Golgota, il luogo della crocifissione di Ges&249; che ai suoi tempi sorgeva ai limiti della citt&224;, mentre ora &232; completamente inglobato.
Siamo sopra la valle del Cedron, nei luoghi dove Ges&249; visse la settimana della Passione.
Il punto panoramico sorge al limite di un vastissimo cimitero ebraico avente un fortissimo significato; la tradizione ebraica vuole che nel giorno della resurrezione, i primi morti che risorgeranno saranno quelli seppelliti sotto le mura di Gerusalemme, poi quelli che riposano nella valle del Cedron ed infine tutti gli altri, quindi questi deceduti, dovrebbero essere tra primi a resuscitare.
Lasciando il punto panoramico, scendiamo lungo una ripida strada che ci conduce in prossimit&224; di un cancello, Sergio suona il campanello e malgrado l’avvicinarsi dell’ora della chiusura, il guardiano ci fa entrare: siamo alla chiesa francescana della Domus Flevit (I-TCI 115), il luogo dove Ges&249; pianse pensando alla futura distruzione della citt&224;, che avvenne nel 70 d.C. e che vide anche la distruzione del Tempio. Dal giardino possiamo continuare ad ammirare il paesaggio sulla citt&224; e nell’interno vediamo una grotta con degli ossari risalenti all’epoca romana. La chiesa, moderna &232; fatta a goccia, una struttura slanciata e di un fascino unico, dove la luce attraversando i vetri crea pregevoli giochi luminosi, con l’altare posto esattamente di fronte alla moschea di Omar.
All’esterno un mosaico bizantino del VII sec, presenta una delle figure pi&249; rare da rintracciare: la conchiglia simbolo dei primi cristiani.
Uscendo dalla Domus Flevit ci rechiamo a visitare l’immenso cimitero ebraico che occupa un intero fianco del Monte degli Ulivi. Qui possiamo notare come le tombe ebraiche siano senza foto e fiori, solo dei sassi apposti sulla tomba indicano il ricordo del passaggio di qualcuno.
Scendendo dal Monte degli Ulivi in prossimit&224; della valle di Cedron, giungiamo all’Orto dei Getzemani (I-TCI 116), il luogo nel quale originariamente veniva preparato l’olio per le funzioni al Tempio &232; il posto dove, mentre gli apostoli dormivano, Ges&249; pregava. Qui sono presenti alberi di ulivo dagli enormi tronchi e si dice che abbiano oltre 2.000 anni di vita.
Entriamo a visitare l’adiacente chiesa di Tutte le Nazioni (I-TCI 116) dove, davanti all’altare maggiore vi &232; la Roccia dell’Agonia, la pietra sulla quale Ges&249; trasud&242; sangue. La chiesa progettata da un frate francescano italiano &232; decorata con mosaici a soffitto, ed alle pareti laterali sono presenti delle vetrate colorate. Molto bella &232; la facciata a mosaico.
Terminato il primo giro per Gerusalemme ci dirigiamo verso l’albergo, arriviamo e siamo accolti con un cocktail di benvenuto. Mentre si scaricano le valigie, mi soffermo a parlare con Sergio e scopro che nativo di Torino, per anni ha fatto il fotoreporter, poi il giornalista ed infine stabilizzandosi a Gerusalemme &232; diventato guida turistica; &232; bello dialogare con una persona colta, pacata, rispettosa, con un suo inconfondibile e piacevole stile.
Sergio ci avvisa che siamo nel sabato della pasqua ebraica e quindi, come tradizione vuole, domani &232; il giorno dell’importantissima festa e, seppur l’albergo sia internazionale, viene rispettata l’usanza ebraica dell’uso di pane azimo.
Ci vengono assegnate le camere, ritiriamo le valigie, doccia e poi cena; come predetto troviamo il pane azimo, ovvero pane non lievitato; delle gallette rettangolari che assomigliano a dei crackers. Alimento gustoso ed abbinabile a qualsiasi cibo.
Dopo cena decidiamo di uscire a fare un giro per il centro storico della citt&224;, recuperiamo delle cartine nella hall dell’albergo, usciamo e cominciamo a dirigerci verso la parte antica della citt&224; ma, con le cartine recuperate abbiamo molta difficolt&224; ad orientarci. Chiediamo indicazioni e poco dopo giungiamo alla Porta di Damasco, entriamo nella citt&224; vecchia e percorrendo i vicoli ci troviamo nel mercato dove i negozi stanno chiudendo, solo qualche esercizio &232; ancora aperto, dei calzolai, delle macellerie e qualche negozio di articoli fotografici. Qui non vi &232; un orario ben preciso, i negozianti possono aprire e chiudere quando vogliono, ma una cosa &232; certa; pi&249; ore tengono aperto, pi&249; affari fanno.
Parte terza
giovedì 17 aprile 2008
Vogliamo recarci a veder la chiesa del Santo Sepolcro, ma non sappiamo dove andare, ci facciamo illustrare la strada e prendiamo un vicolo in salita, altra strada, richiediamo, ci rimandano indietro, altri vicoli nel suq, infine quando giungiamo nella piazza dov’&232; uno dei due accessi alla chiesa, ci dicono che le entrare alla sera sono chiuse.
Ben stanchi, ritorniamo verso la Porta di Damasco, abbiamo camminato oltre un’ora in un’atmosfera da fiaba dove gli edifici, i negozi ed i vicoli sono illuminati dalle lampade che rendono il luogo veramente unico, e dove non abbiamo nessuna difficolt&224; a girare per strade e vicoli a noi sconosciuti.
Rientriamo in albergo e nella hall troviamo il solito gruppetto che sta giocando a burraco, un saluto e poi tutti a nanna, domani si riparte verso altre mete.
Parte prima
venerdì 18 aprile 2008
La sveglia dell’albergo non suona, per fortuna ho puntato la mia del telefonino, prima di scendere per colazione, proseguo nella sistemazione del mio diario di viaggio, poi colazione con pane azimo, ed infine i preparativi per la partenza; guida, macchina fotografica, borsa, acqua. L’appuntamento &232; nella hall; dove in orario ci ritroviamo tutti. La prima meta della giornata &232; Betlemme, in Palestina o Cisgiordania.
Giungiamo in prossimit&224; della frontiera con la Palestina e Sergio che ha il passaporto israeliano deve scendere dal pullman in quanto non pu&242; entrare in Palestina, il blocco e le tensioni esistenti si notano anche da queste cose; in Palestina avremo un’altra guida.
Poco dopo giungiamo al confine tra Israele e Palestina, un enorme, imponente, tetro muro di cemento si alza verso il cielo e divide le due nazioni, le case che sorgono nei paraggi lo hanno a pochi metri, se non sono proprio adiacenti questa impressionante muraglia grigia; la barriera &232; veramente smisurata, provvista di fari e sormontata da un’enorme quantit&224; di filo spinato, presenta a distanze regolari torri di controllo blindate. E’ impressionante il taglio prodotto da questo divisorio nella citt&224;, qui siamo veramente un mondo blindato; alla dogana i posti di controllo sono delimitati da cinte ricoperte di filo spinato. Siamo fermi, non si prosegue, non capiamo come mai, poi vediamo arrivare qualcuno; &232; la maratona della pace. Vi sono molte persone con macchine fotografiche, telecamere; finalmente arriva la fiaccola con la bandiera delle olimpiadi con molta gente al suo seguito.
Passiamo la dogana e sul pullman sale la nostra guida per la Palestina, parla un italiano stentato, e ci racconta qualcosa della sua terra.
I palestinesi attualmente vivono nella parte pi&249; povera ed arida della Giudea, mentre la parte fertile, ventilata e con acqua, l’hanno tenuta gli israeliani; a loro hanno dato la parte che si affaccia verso la depressione araba, la parte assolata, desertica e non coltivabile.
Ci fermiamo in un negozio di cristiani per acquistare oggetti artigianali in legno di ulivo; alcuni oggetti sono ben fatti, dove vi sono delle belle ed interessanti icone.
L’acquisto di qualcosa diventa una forma d’aiuto per la popolazione cristiana che &232; praticamente una minoranza. Un dubbio mi sorge: il muro non sar&224; anche una divisione delle religioni? Da una parte gli ebrei e dall’altra i mussulmani con una limitata minoranza di cristiani?
Lasciato il negozio in breve giungiamo a Betlemme e ci fermiamo in un moderno posteggio adatto per il pullman, usciamo dall’edificio, percorriamo una strada che si snoda sulla collina ed in breve giungiamo in una piazza dove su un lato sorge la Basilica della Nativit&224; (I-TCI 241). La chiesa presenta una curiosit&224;; in origine l’entrata era ampia, poi i crociati la restrinsero per far entrare solo le persone a cavallo ed infine la porta d’entrata fu rimpicciolita per far entrare solo le persone a piedi; e siccome la porta &232; talmente bassa, occorre piegarsi per non picchiare la testa. Un segno di rispetto per il luogo sacro o solo una difesa?
Nella chiesa ortodossa il cui interno si presenta buio e trascurato, con dei bei mosaici sul pavimento, regna una gran confusione, disordine e vi &232; molta calca per le persone presenti; &232; in corso una cerimonia religiosa e l’altare &232; pieno di gente. Chi vuole andare a vedere la grotta della nativit&224; deve mettersi in coda secondo le indicazioni dei sacerdoti ortodossi, che appaiono molto disorganizzati cambiano spesso le disposizioni. Per recarsi alla stella della nativit&224; si accede dal lato dell’altare; posso osservare la funzione in corso, oltre ad un uso esagerato di incenso e di candele, durante la funzione viene distribuito del pane. Finalmente dopo tante spinte, qualche discussione con i popi (i sacerdoti ortodossi), riusciamo a raggiungere la grotta della nativit&224;. Nel punto dove &232; nato Ges&249; vi &232; una stella. Scatto qualche foto e poi per la gran ressa bisogna uscire. Ci rechiamo nella vicina chiesa di Santa Caterina ed in una cappella laterale vi &232; in corso una Santa Messa con canti gregoriani risalenti a Sant’Ambrogio; don Maurizio essendo un grande cultore di musica, comprende immediatamente la bellezza e la suggestivit&224; del canto.
Usciamo dalla chiesa della Nativit&224; e giriamo un p&242; per Betlemme, qui tutte le case alle finestre presentano una grossa e robusta inferriata.
Lasciamo Betlemme centro e col pullman ci dirigiamo in periferia, presso il Campo dei Pastori, dove sorge una moderna e carina chiesa abbellita da affreschi. Poco distante vi &232; una grotta, ora trasformata in chiesa, la leggenda vuole che qui sostarono i pastori che fecero visita a Ges&249;. In effetti queste grotte, per la loro forma venivano e vengono usate dai pastori per ricoverare le bestie durante la notte. La volta della grotta appare completamente annerita dal fumo dei fuochi accesi in passato e delle candele che oggi bruciano nella chiesetta. Uscendo dalla grotta ci incamminiamo lungo la collina ricoperta di pini e di cipressi, il profumo delle resine emesse dalle piante riempie i polmoni di aria fresca e piacevole da respirare.
Riprendiamo il pullman, percorriamo la strada in direzione della frontiera e transitiamo nei pressi dell’enorme muro di separazione fra i due stati che appare in tutta la sua tragica manifestazione. Infine ci fermiamo per la sosta pranzo, il locale &232; parzialmente addobbato per un matrimonio, i preparativi degli addobbi sono in corso e noi possiamo sederci in un’ala del ristorante non ancora addobbato. Verdure, pollo, pesce, riso, pasta con un sugo di verdure e pane lievitato, in effetti essendo in Palestina la settimana della Pasqua ebraica non &232; osservata.
Mentre pranzo penso che Gerusalemme, citt&224; oggi divisa da questo immane ed inutile muraglione di cemento, ma che fino a pochi anni fa era un tutt’uno &232; davvero una citt&224; cosmopolita. E mentre mangio il pane lievitato penso che pur essendo i giorni della Pasqua ebraica, il pane fresco &232; tranquillamente reperibile nei negozi del quartiere mussulmano e cristiano.
Terminato il pranzo ci dirigiamo verso la frontiera e transitiamo in una zona valliva dove la costruzione dell’imponente muro &232; stata sospesa e vi sono “solo” dei reticolati ed una stazione di confine. I controlli sono minuziosi, ma essendo un pullman di turisti possiamo transitare verso Israele in tempi abbastanza rapidi. Qui rincontriamo Sergio che ci ha atteso durante la nostra visita in Palestina. Ci rechiamo nei sobborghi di Gerusalemme, arriviamo in una zona collinare e ci fermiamo ai piedi di una collina, siamo ad En Kerem (I-TCI 82), ai piedi della collina vi sono delle abitazioni e vi &232; una fontana la cui acqua &232; molto fresca, essendo una zona calcarea, l’acqua viene raccolta ed incanalata in queste antiche fontane non sorgive. La zona &232; particolarmente suggestiva dal punto di vista paesaggistico, Sergio afferma che questo &232; il paesaggio tipico della terra di giudea dove gli Israeliani sono arrivati alla fine del loro esodo durato ben 40 anni. Quello che hanno trovato era la terra promessa la terra dove scorre latte e miele, in effetti il latte era dato dalle capre ed il miele era dato dai datteri. In questa terra tanto soleggiata ma fertile veniva ed &232; coltivata l’avena, il pane per gli animali; il grano, il pane per gli uomini, il melograno, che richiede tanta acqua, il fico, l’olivo e l’uva per dell’ottimo vino, oltre che alle palme che danno dei datteri unici in bont&224; e dolcezza.
A piedi, sotto il cocente sole, percorrendo una strada lastricata e gradinata, risaliamo la collina ed in cima, arriviamo ad una cancellata di ferro che da l’accesso alla Chiesa della Visitazione (I-TCI 82), nel cortile adiacente alla chiesa delle tavole in terracotta appese al muro di cinta, conten
Parte seconda
venerdì 18 aprile 2008
Stiamo per accedere alla chiesa inferiore quando Fernanda riconosce una persona, la chiama per cognome e lui si volta, &232; Zorzi un noto giocatore italiano di basket, il cestista si ferma a chiacchierare un poco con noi, e poi salutatoci, ognuno riprende il proprio giro; trovare degli italiani fa sempre piacere quando si &232; in terra straniera.
Accediamo alla parte inferiore dell’edificio che presenta dei mosaici ed in una grotta &232; presente un pozzo antico, ora in disuso in quanto l’acqua &232; stata deviata per alimentare la fontana che abbiamo osservato in basso alla collina. La chiesa superiore &232; moderna, realizzata in stile toscano, regione natia dell’architetto francescano Antonio Barluzzi (lo stesso che ha ideato la chiesa dei pastori), le cui pareti interne sono ricoperte da affreschi ed in uno appare una figura con il viso di Padre Barluzzi.
Terminata la preghiera di un gruppo di un paese dell’Europa dell’est, Franco prende posto sull’organo e suona l’Ave Maria, il gruppo di italiani lo accompagna col canto; &232; un momento veramente suggestivo, coinvolgente, ricco di religiosit&224; e di emozione.
Lasciamo la chiesa, riscendiamo la collina ed attraversando questo villaggio arriviamo al Santuario di San Giovanni Battista (I-TCI 82). Qui nel cortile, appesa al muro troviamo delle formelle di terracotta con la preghiera del Benedictum. Nella chiesa vi &232; una cripta che la leggenda vuole sia il luogo della nascita di San Giovanni Battista. Scatto alcune foto alla cripta e poi esco per riprendere il pullman.
Rientrando a Gerusalemme facciamo una sosta su una collina per vedere il Parlamento Israeliano, dove, frontale all’entrata vi &232; la Menorha di bronzo (I-TCI pag. 81), il candelabro sacro per gli ebrei che riproduce quello presente nel Tempio che preso dai romani come bottino di guerra &232; stato portato a Roma ed il fatto &232; riportato nell’arco di Tito a Roma. Il candelabro &232; a sette braccia, dove il sette rappresenta il numero della perfezione ed anche i giorni della settimana, di cui il sabato &232; il braccio centrale. Qui ci fermiamo per delle foto ricordo.
Riprendiamo il giro e ci avviciniamo alla parte storica della citt&224;, percorriamo la strada che scorre sotto le antiche e possenti mura di calcare bianco e, giunti in un’area di parcheggio ci fermiamo. Scendiamo dal pullman ed a piedi varchiamo una porta d’ingresso alla citt&224;. Stiamo per accedere all’area dove sorge il Muro del Pianto. I controlli sono rigorosi, ci mettiamo in fila indiana ed uno per volta passiamo sotto il metal detector per poter accedere al piazzale. Il Muro del Pianto, denominato cos&236; perch&233; gli ebrei piangono il luogo dove sorgeva il Tempio di Salomone, distrutto dai romani nel 70 d.C. (di cui Ges&249; pianse la distruzione di Gerusalemme), &232; preceduto da un ampio piazzale; diviso un due parti, la cui parte destra &232; riservata alle donne e la parte sinistra &232; riservata agli uomini.
Le donne accedono alla