Introduzione
martedì 17 novembre 2009
Sono di nuovo in partenza per un altro tour, stavolta la destinazione è la Patagonia, una terra desolata e lontanissima dal’Italia.
L’itinerario prevede di attraversare dell’Argentina fino ad arrivare nella Terra del Fuoco, la cosiddetta fine del Mondo, sbarcare (tempo ed autorità permettendo) a Capo Horn, il punto più meridionale del globo, risalire la Patagonia cilena, fermarsi ad osservare il Perito Moreno, l’enorme ed imponente ghiacciaio, infine visitare le maestose ed smisurate cascate di Iguazù al confine con il Brasile.
Un percorso molto impegnativo in termini di spostamenti, di variazioni climatiche e d’umidità. L’abbigliamento che preparo va dal pesante, al leggero e guardando le previsioni del tempo, anche se in Argentina è primavera inoltrata, in alcune località è previsto freddo e neve.
Seguendo la mia lista del viaggiatore preparo gli immancabili “accessori” per il tour; la mia reflex digitale (Nikon DX40) con tre schede di riserva, il mio inseparabile Moleskine® (il blocco per gli appunti), delle penne, il passaporto, il programma di viaggio, le guide e non per ultimi gli indispensabili biglietti aerei.
Per il viaggio ho scelto le guide:
• Argentina edita da Lonely Planet-EDT – 4° edizione italiana – novembre 2008;
• Cile ed isola di Pasqua edita da Lonely Planet-EDT; 6° edizione italiana – Giugno 2009 .
Entrambe le guide le reputo interessanti per l’elenco dei luoghi da visitare, oltre che fornire molte “notizie utili” per il viaggio.
Nel diario farò riferimento ai luoghi da me visitati indicando la pagina della guida con anteposta la nazione per facilitarne la rintracciabilità. Esempio: Argentina (A-LP pag.), Cile (C-LP pag.), in modo che chi volesse compiere approfondimenti trovi i riferimenti necessari.
martedì 17 novembre 2009
Il programma prevede il ritrovo all’aeroporto di Milano Linate alle 13,00. Partiamo da Rovello in auto; Lorenzo passa a prendere Ambrogina, me e Luigia: nell’automobile l’incastro tra persone e valigie comporta movimenti da contorsionista, ma la voglia di visitare la Patagonia supera qualsiasi difficoltà logistica. Giungendo in aeroporto troviamo parte del gruppo; incontro con piacere Giorgio e Rossella con cui ho condiviso altri viaggi; le presentazioni sono veloci: nei prossimi giorni conoscerò meglio gli altri componenti del gruppo. L’ultimo ad arrivare, ma puntuale, è Salvatore, il capo gruppo; ci siamo tutti, quindi imbarchiamo le valigie per Roma, dove le riprenderemo per destinarle a Buenos Aires.
Molti amici, prima di partire, mi hanno “raccomandato” di prendere appunti per l’ormai consueto diario di viaggio, ma soprattutto di fare belle fotografie sia da pubblicare sul mio sito, sia per la versione multimediale dei miei racconti.
A bordo di un MD80 di Alitalia partiamo puntuali; visto che non ho ancora approfondito il tour, mi concentro nella lettura della guida dell’Argentina e ricerco le località che visiteremo. Leggo che in qualche occasione non è previsto il pranzo, qualcuno si pone il problema di cosa mangiare, ma questa difficoltà non sussiste: l’Argentina è il regno della carne alla griglia, sicuramente troveremo qualche ristoro che soddisferà il nostro palato.
Arriviamo a Roma puntuali alle 15,20, ritiriamo i bagagli e ci dirigiamo verso il chek-in per l’Argentina, siamo allo sportello 409, dove troviamo una lunga fila di persone tutte dirette a Buenos Aires. Temendo una bassa temperatura all’arrivo siamo partiti da casa indossando abiti pesanti, ma non abbiamo considerato il caldo clima romano, qualcuno si cambia, altri sfilano i maglioni. Al chek-in ci informano che non possiamo imbarcare i bagagli fino a Trelew la città inizio del nostro tour; dovremo ritirarli a Buenos Aires per imbarcarli nuovamente.
Saliamo sull’Airbus 340 dell’Argentinas Aerlines; gli ultimi sms di saluto e poi spengo il cellulare pensando a quando ritroverò le mie consuete modalità comunicative; sono in vacanza e le telefonate di lavoro è giusto che rimangano in Italia. Le uniche telefonate che voglio fare sono alle persone a me care. L’aereo è parzialmente pieno, sono seduto vicino al finestrino; sono le 19,50 quando sul monitor di bordo appare la rotta che percorreremo; il tragitto prevede il sorvolo dell’Africa per poi attraversare l’oceano Atlantico; infatti poco dopo appaiono le luci delle città della Tunisia, guardando nell’oscurità individuo la linea costiera, il porto, il mare che appare nero ma punteggiato dalle luci brillanti delle barche dei pescatori. Stiamo volando a 9.330 metri di quota quando le luci delle città lasciano lo spazio all’immenso deserto africano ed al buio della notte.
Il volo durerà 14,30 ore e l’arrivo è previsto a Buenos Aires alle 5,50 locali. Dopo il caldo di Roma penso alla temperatura che troveremo durante il viaggio, le previsioni danno freddo, pioggia, neve e qualche giornata soleggiata: è un bel dilemma l’abbigliamento da indossare.
Seduto vicino a me, un sacerdote; Padre Tommaso dell’Ordine “Figli di Maria”, è italiano, laziale, e da anni vive nel sud dell’India dove gestisce una missione con un seminario e alcune scuole; con 2 confratelli si sta recando in Cile per un convegno internazionale sulla formazione dei seminaristi.
Durante il volo si cena e poi si dorme, ad un tratto ci dicono d’allacciare le cinture di sicurezza: incontrando una perturbazione atlantica sobbalziamo.
Arrivano le prime luci del giorno, l’alba illumina il mare di nuvole sotto di noi, stiamo scendendo verso Buenos Aires, e oltrepassando le nuvole scorgo un tratto di costa; sono le 5,30 locali e fra pochi minuti atterreremo.
Parte prima
mercoledì 18 novembre 2009
La città di Buenos Aires (A-LP 73) dall’alto offre una panoramica unica; strade diritte che s’intersecano in continuazione creando un disegno geometrico regolare. La città parzialmente illuminata dai lampioni sta per essere irraggiata dalla luce solare; svettano verso il cielo i grattacieli e si vedono numerosi parchi verdi; il sole sorgendo, ci dà il benvenuto.
Sbarchiamo, controllo doganale, ritiro delle valigie, poi uscendo troviamo la nostra guida: Silvia, una distinta signora che ci accompagnerà nella giornata fino all’imbarco pomeridiano per Trelew. A bordo di un pullman ci dirigiamo verso la città. Vicino all’aeroporto sorge un quartiere di ville, sono ben tenute ed armoniose; è uno dei quartieri più esclusivi della città; qui abita anche Maradona. Poco distante sorgono i campi di allenamento della nazionale di calcio, che, come in Italia, è lo sport più popolare.
Si procede pian piano, siamo nel pieno del traffico diretto verso la capitale; una città immensa e cosmopolita di oltre 16 milioni di abitanti su una popolazione nazionale di circa 40 milioni.
Arrivati nella metropoli la prima sosta sarà per la colazione, percorriamo immensi viali, transitiamo dinnanzi al parlamento, attraversiamo il Viale 9 Luglio e poi ci fermiamo al “Caffè de los Angelitos” (A-LP 122), un locale storico; durante il giorno è un rinomato bar ed alla sera è uno dei luoghi di grande richiamo dove si balla il tango. L’atmosfera è calda ed accogliente, l’arredamento è degli inizi del 1900, alle pareti sono appese foto di famosi personaggi argentini, tra cui riconosco Fangio e Che Guevara. Ci sediamo ed arriva l’abbondante colazione; caffè, succo d’arancia, torte dolci, paste salate; abbastanza per un pasto completo, ottimo e squisito.
Lasciamo il locale e col pullman ci apprestiamo ad effettuare il tour della città. Iniziamo dal Viale 9 Luglio 1816 (A-LP 92); è la data dell’unione delle provincie argentine, praticamente la nascita dell’attuale Argentina. Il viale ha dimensione enormi è lungo oltre tre chilometri, ha una larghezza di 149 metri e nella sua carreggiata sono presenti ben 16 corsie. Le strade che percorriamo sono tutte abbellite con piante che in questo periodo sono fiorite; vi sono numerose jacaranda che presentano il loro bel fiore viola, e più sporadicamente piante con fiori rossi: i Seibo, il fiore simbolo dell’argentina.
Arriviamo a Plaza de Mayo (piazza di Maggio) (A-LP 89), al cui centro sorge un obelisco, la Piramide de Mayo (A-LP 90), che riporta la data 25 maggio 1810, il giorno dell’allontanamento del viceré di Spagna e della dichiarazione dell’indipendenza argentina dalla Spagna. Ad un lato della piazza sorge un bell’edificio coloniale bianco, il Cabildo (A-LP 90), ora destinato a museo, di fianco un bel palazzo stile francese, mentre su un lato troviamo la Cattedrale metropolitana (A-LP 90); realizzata in stile barocco coloniale, fronteggiata da un colonnato. La chiesa, il cui interno è arricchito dal pavimento a mosaico, presenta una grande navata centrale, affiancata da due navate laterali dove sorgono delle cappelle; l’altare, anch’esso barocco è argenteo. Nelle cappelle laterali sono presenti monumenti funebri fra i quali il principale è il mausoleo di San Martin, storico condottiero argentino; poco distante la cappella con la statua della Madonna protettrice dell’Argentina.
Uscendo dalla chiesa compiamo il giro della piazza, dirigendoci verso l’obelisco marmoreo noto che intorno ad esso, sul pavimento marrone, sono dipinti con colore bianco dei fazzoletti annodati al collo; questo luogo è ricco di significati: durante il triste periodo della dittatura, le madri dei desaparecidos per 1.500 giovedì, ovvero per trent’anni, si ritrovarono a compiere un silenzioso girotondo attorno all’obelisco.
Ai lati della piazza vi sono le scale di accesso alla vecchia metropolitana cittadina risalente all’inizio del ‘900 e ancora funzionante con un numero limitato di stazioni. Sul lato opposto al museo Cabildo sorge la “Casa rosada” (A-LP 90) il palazzo del Presidente della repubblica argentina, il nome deriva dalla colorazione di questo palazzo in stile coloniale.
Passeggiando per le vie e per la piazza osservo un discreto numero di persone che dormono per strada: paese che vai, purtroppo, misera che trovi.
Riprendendo il tour, percorriamo strade con un traffico fluente dove scorgo un ufficio dell’INAS CISL (un patronato italiano); avere la possibilità di regolarizzare ed allineare i propri contributi pensionistici con l’Italia è un opera veramente utile, davvero un pregevole servizio ai nostri connazionali che risiedono in questo paese.
Nel quartiere Palermo (A-LP 97) possiamo vedere stupendi parchi frequentati da gente impegnata in attività sportive, lo zoo, il giardino botanico e poco distante vediamo l’ambasciata italiana. Poi ci fermiamo in prossimità di un parco dove è posata una scultura metallica, la “Floralis Generica” (A-LP 96), un fiore i cui pistilli vengono illuminati alla sera, i petali si aprono e si chiudono seguendo il corso del sole, come un fiore vero.
Giungendo nel quartiere Gomero, ci fermiamo presso un’aiuola dove è presente un maestoso Ficus Macrofilas, una pianta enorme di oltre 200 anni di vita; è impossibile non farsi fotografare sotto questo gigante. Giunti a “la Regoleta”, visitiamo la Iglesia Nuestra Senora del Pilon (pilastro), edificata in stile coloniale nel 1732, dall’interno in stile barocco. Successivamente visitiamo il monumentale cimitero di Regolata; fra molteplici e imponenti tombe, vivono pochissime piante; in questo luogo che appare come una triste città dei morti, possiamo vedere la tomba di Evita Peron. Poco distante, mi colpisce una tomba con la statua di una fanciulla a grandezza naturale e una targa scritta in italiano: la dedica del papà che, scultore e poeta, ha creato tutto per la figlia.
Ritorniamo al pullman ma il mezzo è in panne e in attesa che sia riparato approfittiamo per fare un giro fra negozi, cambiamo dei soldi e con i pesos argentini beviamo un buon caffè, un ottimo metodo per combattere il sonno che è latente. L’autista riesce a riparare il guasto, così riprendiamo il tour e transitando per il quartiere Telmo e giungiamo a “La Boca” (A-LP 94), un caratteristico e colorato quartiere in riva al Rio de la Plata. Originariamente questo era il luogo dove sbarcavano i genovesi che giungevano in argentina, poi divenne la residenza dei lavoratori che al porto verniciavano le navi; utilizzavano la vernice avanzata per colorare le lamiere poste a protezione delle case lignee e nel tempo questa cromaticità è diventata la caratteristica del quartiere. Percorriamo il caminito, una via dove si possono osservare le case colorate, ricca di attrazioni turistiche quali ballerini di tango, musicisti, pittori i cui dipinti a volte appaiono veramente pregevoli. Nei negozi si trovano sia oggetti dozzinali che pregiati. Mi diverto a fotografare ed osservare questo spaccato dell’immensa metropoli.
E’ giunta l’ora del pranzo e nel dirigerci al ristorante, mentre costeggiamo il Rio de la Plata, noto che sul lungofiume sono stati posati dei tabelloni con quadri e relative didascalie: sono riproduzioni di alcune opere presenti al Louvre di Parigi; una bellissima idea riprodurre questi capolavori per diffonderne la conoscenza.
Arriviamo nella zona dei vecchi magazzini inglesi che, ristrutturati, sono divenuti locali pubblici e abitazioni; le strutture in mattone rosso sono gradevoli da vedere. La sosta per il pranzo ci permette di assaggiare la buona cucina argentina: fagottini ripieni di carne “le empanadas”, manzo alla griglia, gelato o frutta sciroppata.
Seconda parte
mercoledì 18 novembre 2009
Ripartiamo costeggiando il Rio de la Plata, questo immenso fiume dal colore marrone nocciola che trasporta verso il mare la rossa terra raccolta nel suo percorso di 240 km, alla foce, con i suoi 50 km di larghezza, assume la dimensione di un mare vero e proprio. La sponda opposta che si vede in lontananza è l’Uruguay e tra le due nazioni vi è un regolare servizio navale. A tratti il colore dell’acqua, a causa dell’inquinamento, da marrone diventa nero e oleoso.
Giungiamo all’aeroporto Jorge Newberg situato in prossimità della costa fluviale, dove decolleremo per Trelew, fa caldo e dopo quasi due giorni di viaggio il sonno fa la sua comparsa e per combatterlo, al bar prendo un caffè nero e forte. Durante il volo c’è chi chiacchiera, chi cerca di riposare, consulto la guida per conoscere le località che visiteremo nei prossimi giorni, cerco di aggiornare il diario ma risulta impossibile per le turbolenze incontrate.
Tutti quanti esprimiamo la voglia di una bella e ristoratrice doccia, poi ipotizziamo il tempo che da domani incontreremo, sarà ancora caldo o la temperatura più mite?
Mentre in volo approfondisco la conoscenza della Patagonia, scopro che Antoine de Saint-Exupéry (A-LP 493), l’autore de “Il piccolo principe” è stato in Patagonia direttore dell’Aeropostal Argentina dal 1929 al 1931. Parte delle descrizioni e delle immagini presenti nel suo libro derivano da questo territorio; il boa costrictor è simile ad un’isola vicino alla Penisola Valdes; i vulcani perfettamente conici sono presenti nel sud della Patagonia, le montagne, tutto riportato nell’Asteroide B612 del bellissimo libro che mi richiama alla mente una persona a me cara.
Guardando dal finestrino i pensieri svaniscono all’apparire della Patagonia (A-LP 476): una terra sconfinata che si estende a perdita d’occhio e che offre uno spettacolo affascinante; dall’alto la steppa si presenta disseminata di cespugli con pochissime piante. E’ notevole il contrasto con la verdeggiante pampas che circonda Buenos Aires e che solo poche ore fa stavo sorvolando.
L’aeroporto di Trelew ha una struttura essenziale; ritiriamo i bagagli ed uscendo incontriamo la nostra guida: Andrea. Saliamo sul pullman a noi destinato ed alle 19,15 iniziamo il viaggio verso Puerto Madryn; durante il percorso mi godo la steppa, un paesaggio selvaggio, desolato, un susseguirsi di pascoli recintati con cura.
Andrea, ci spiega qualcosa della località; stiamo percorrendo la Route National n.3 la strada Panamericana che parte dall’Alaska e che dopo 17.848 km termina nella Terra del Fuoco (luogo che poi visiteremo). La Patagonia è una terra per lo più pianeggiante ed è ricca di meraviglie naturali. Chiunque può acquistare dei possedimenti terrieri per trasformarli in pascolo. Qui l’unico problema è l’acqua, infatti i proprietari terrieri scavano dei pozzi alla ricerca del prezioso liquido, ma la perforazione non è priva d’imprevisti in quanto se trivellando trovano del petrolio o dell’oro, diventa proprietà dello stato, mentre se trovano delle pietre preziose, restano al proprietario.
Andrea, di origine gallese, ci racconta che i suoi antenati nel 1700, per sfuggire a persecuzioni religiose per poter conservare la loro cultura e le loro tradizioni, si sono trasferiti in Patagonia; una volta insiedatisi stabilmente hanno convissuto con gli aborigeni apprendendo usanze, conoscenze e tradizioni.
Giungiamo a Puerto Madryn (A-LP 483) che ancora è chiaro, qui il sole tramonta verso le 21, in albergo ci assegnano velocemente le camere, io condivido la stanza con Chen, di origine cinese ma da decenni residente in Italia. Doccia e poi, per la cena andiamo in un ristorante in riva al mare; timballo di verdure e uova, parrilla, frutta. Rientro in albergo e per la stanchezza accumulata crollo; dormire in un buon letto è veramente rigenerante.
Prima parte
giovedì 19 novembre 2009
Prima del suono della sveglia sono in piedi, il sole è già alto e mi godo lo spettacolo della baia frontale all’albergo. Preparo i vestiti e l’attrezzatura fotografica per la giornata che mi attende; colazione e alle 8,00, partenza per la penisola di Valdés: l’aspettativa di vedere le balene è davvero grande.
Lasciando Puetro Madryn ne attraversiamo in periferia la zona industriale dove costeggiamo fonderie di alluminio, capannoni di artigiani dedichi alla lavorazione del porfido, edifici dell’industria della pesca circondati da un’infinità di gabbiani; i volatili sono concentrati nel luogo dove vengono ammucchiati gli scarti della lavorazione; la presenza di tanto cibo che attira centinaia di volatili è diventato un problema per l’alterazione dell’equilibrio naturale.
Viaggiando nella steppa constato come l’acqua sia veramente un problema per il bestiame e per gli agricoltori; Andrea ci spiega che per superare parzialmente questa difficoltà, ultimamente sono stati realizzati dei depuratori per le acque scure affinché l’acqua purificata possa essere utilizzata per l’irrigazione di giardini e campi.
Ci avviciniamo alla riserva faunistica della penisola di Valdés e mentre percorriamo lo stretto istmo che collega la penisola al continente vediamo i primi guanaco, un simpatico mammifero della famiglia dei cammelidi, che assomiglia al più famoso lama andino.
Da ore stiamo costeggiando senza soluzione di continuità le recinzioni delle tenute agricole ed Andrea ci spiega che in Patagonia le fattorie hanno estensioni grandissime, dai 20.000 ai 300.000 ettari di terreno. L’area viene suddivisa in appezzamenti cintati in modo da far pascolare bovini ed ovini senza disperderli. Le mandrie sono accudite da gaucho, i leggendari cavallerizzi della pampas e della Patagonia che, vivendo praticamente a cavallo, svolgono preziose attività dedicate all’allevamento del bestiame ed alla cura delle staccionate. In questa zona vengono allevate pecore la cui pregiata lana viene esportata in Asia ed in Europa. La carne ovina, è il principale alimento e per aumentarne la produttività gli animali vengono castrati, un’operazione cruenta sia per gli animali che per gli addetti che richiede abilità da parte dei gaucho. Vediamo velocemente i vari modi di castrazione utilizzati:
• i gaucho legano per un mese i testicoli degli animali fino a quando non si staccano, ma è un sistema molto doloroso per gli animali;
• tagliano lo scroto, ma questo provoca gravi emorragie;
• con una lama molto affilata, incidono lo scroto ed il gaucho afferra con i denti i testicoli dall’animale staccandoli. Quest’ultimo metodo pare essere la tecnica privilegiata dagli addetti che, peraltro, alla fine della giornata, dopo aver castrato e tagliato la coda agli agnelli, raccolgono tutto il reciso e lo cucinano sul fuoco. A detta di Andrea, questo pare essere un piatto gustoso; personalmente rimango molto scettico.
Giungiamo all’entrata della riserva naturale della penisola di Valdes (A-LP 490), una sbarra blocca il passaggio, adiacente alla strada un edificio accoglie la sede della riserva naturale e un piccolo museo. Andrea scende, ritira i biglietti d’ingresso, poi ripartiamo con destinazione Puetro Piramides dove verificheremo le condizioni del mare e la possibilità di imbarcarci per poter andare ad osservare le balene australi che qui si riproducono. Se questo non fosse possibile, il programma della giornata muterà; qui è la natura che detta le condizioni, mi sembra doveroso osservare che siamo semplici esseri umani di passaggio in quest’incantevole luogo.
Uscendo dall’istmo, Andrea ci spiega che esistono due golfi; a nord il Golfo San José e a sud, dove siamo diretti, il Golfo Nuevo; i due golfi sono accumunati da una caratteristica: quando in un golfo vi è l’alta marea nell’altro vi è la bassa marea e viceversa.
Noto che nel Golfo San Josè vi è la bassa marea e degli uccelli stanno riposando sul bagnasciuga; sono uccelli migratori che dal Canada si stanno dirigendo in Antartide.
Giungiamo al piccolo borgo di Puerto Piramides (A-LP 490), un porto il cui moderno sviluppo deriva dalla pesca delle balene e delle foche per ricavarne olio per le lampade; ma l’origine è remota, infatti nella località è stato trovato un antico cimitero indiano.
Ci fermiamo in un’agenzia dove organizzano escursioni marine per avvistare le balene; stamane le condizioni del mare permettono l’uscita in barca ed i natanti sono già al largo, quindi dobbiamo aspettare che uno rientri: quale migliore occasione per girare il villaggio e, scorta un’insegna pubblicitaria, bere un caffè italiano? Passeggiando per vie costeggiate di case lignee policrome ad un piano osservo la chiesa appena ricostruita in quanto quella vecchia è stata abbattuta dal vento. Vedendo la barca che rientra in porto ci prepariamo per l’escursione: indossiamo i salvagente, foto di gruppo e poi saliamo sulla barca attraccata sulla spiaggia. Come? Sulla spiaggia? Certo qui è tutto originale, ed anche le barche quando giungono a riva vengono ingabbiate in strutture metalliche e con trattori trasportate sulla riva dove le persone sul bagnasciuga salgono e scendono dalla barca.
Prendiamo posto sull’imbarcazione che viene riportata in mare, uscendo dalla gabbia metallica inizia la navigazione e sebbene il mare sia abbastanza calmo, il sobbalzare soprattutto a prua è notevole. Con Ambrogina e Luigia mi accomodo a poppa e comodamente seduti contempliamo il paesaggio. Lontano si vedono le prime balene, le cui code s’innalzano verso il cielo prima di scomparire nell’acqua blu, ci avviciniamo alla zona e poi nulla … per lunghi minuti i mammiferi sembrano scomparsi, nulla si muove sopra la superficie marina … la barca si sposta, il comandante cerca altri posti per avvistare i cetacei; il movimento sussultorio prodotto dalle onde crea qualche problema e a qualche passeggero compaiono i sintomi del mal di mare.
Ad un tratto, quasi per incanto il mare si popola di balene australi: appaiono sulla superficie per respirare, si vede il soffio, si possono ammirare nuotare a filo d’acqua, girarsi, giocare, amoreggiare e poi immergersi; vedere la loro coda alzarsi e poi scomparire è sempre una grande emozione. Sulla barca c’è chi riprende con la telecamera, io “armato” di macchina foto sono impegnato ad inquadrare e scattare; l’operazione richiede un bel mix di fortuna e bravura; inoltre devo calcolare lo spostamento della barca e delle persone che stanno anch’esse fotografando.
Dopo due ore di navigazione rientriamo in porto mentre le persone colpite dal mal di mare, hanno trasformato la poppa in un vero e proprio pronto soccorso.
Attraversando velocemente il Golfo Nuevo lasciamo alle spalle i cetacei che nuotano liberamente nel mare. Giunti in prossimità della riva la barca aumenta considerevolmente la velocità quasi per voler uscire dal mare, che succede? Stiamo per entrare dentro la gabbia metallica agganciata al trattore che ci porterà a terra. Scaletta e scendiamo sulla terra ferma, togliamo i salvagente; chi è stato colpito dal mal di mare rapidamente migliora. Ci riuniamo e celermente raggiungiamo il pullman per partire verso la parte sud est di questa meravigliosa area naturale. Procediamo lungo una strada sterrata che percorre la steppa, quando ci accorgiamo che la polvere sollevata dalle ruote del pullman entra nelle bocchette dell’impianto di aerazione rendendo una parte dell’abitacolo veramente invivibile. Durante questo tragitto possiamo osservare guanachi e struzzi che liberamente pascolano mentre nel paesaggio appaiono saline il cui livello è di 42 metri sotto il livello del mare.
Seconda parte
giovedì 19 novembre 2009
Qui le abitazioni sono molto distanti, per questo motivo dove sorgono le aziende più grandi esistono delle strutture di servizio come se fosse un piccolo villaggio. Ogni casa seppur costruita in legno è dotata di tutti i moderni confort; non bisogna assolutamente pensare a questi come posti desolati, inospitali e selvaggi: la popolazione è cordiale, vive con un buon tenore di vita e non è difficile trovare discendenti di italiani.
Arriviamo a “Il faro” una località che prende il nome dall’omonimo manufatto, vi sono degli edifici fra cui un ristorante, un bar ed un negozio di artigianato; qui ci fermeremo per il pranzo.
Nella sala da pranzo, abbastanza ampia da contenere comitive di medie dimensioni, ci viene servito il pranzo; le empanadas, ravioli ripieni con carne e uova di struzzo, agnello alla griglia con insalata, creme caramel. Il cibo è buono, la carne ottimamente cotta non presenta il classico sapore di selvatico che hanno i nostri agnelli; è proprio vero che gli argentini sono degli specialisti nella preparazione e cottura di carne alla brace.
Mentre pranziamo tra una portata e l’altra il negozio di souvenir si riempie di persone, io approfitto per osservare bene il locale che arredato con stile semplice, si presenta organizzato e pulito. Ai muri sono appesi dei quadretti che contengono in modo ordinato manufatti in selce del neolitico, noto punte di freccia, lame, utensili vari.
Terminato il pranzo, uscendo all’aperto, mi godo l’immensa pianura disseminata di cespugli e fotografo dei fiori ed una cartina del luogo dove ci troviamo, poi risaliti sul pullman partiamo per Punta il Faro, dove potremo osservare gli elefanti marini. Percorsi pochi km, ci fermiamo su una radura; tutti in gruppo e facendo attenzione a non scivolare, scendiamo un costone sabbioso giungendo sulla spiaggia dove, a seguito della bassa marea, stanno riposando decine di elefanti marini; vi sono maschi adulti, femmine e molti piccoli. Terminato l’arenile, dove la costa sale un elefante marino giace sulla sabbia, è molto distante dagli altri, sembra morto, ma Andrea ci diffida dall’avvicinarci; il mammifero è vivo e sta mutando la pelle; da nera diventerà grigia. E’ un’operazione che durerà dai 12 ai 20 giorni ed in questo periodo l’animale resterà immobile al sole per permettere alla pelle di essiccare e staccarsi. Gli elefanti marini presentano un’enorme stazza, arrivano fino ai 7 metri di lunghezza e possono superare le tre tonnellate di peso, sulla terra si muovono abbastanza lentamente ma in acqua sono agilissimi. Vanno a “mangiare” negli abissi oceanici ed arrivano alla profondità di 1.000 metri dove si cibano di calamari giganti e di altri animali presenti sui fondali.
Al termine della spiaggia lo scenario è fantastico; la bassa marea lascia affiorare degli scogli che sono pieni di polipi, di vongole e di ostriche; una vera manna per i pescatori locali. Seduti sulla sabbia ci fermiamo ad osservare lo scenario nel suo complesso, l’azzurro del mare, il grigio verde degli scogli, il nocciola della sabbia con gli elefanti marini. Si vedono i maschi dominanti posizionati lontano dagli altri componenti il branco, che fermi ed immobili, controllano attentamente che nessuno si avvicini. Nel gruppo alcuni maschi tentano d’accoppiarsi con le femmine che puntualmente scappano ed è un continuo rincorrersi. Mi diverto ad osservare questo incanto e scatto fotografie.
Si avvicina l’ora della partenza, risaliamo il crinale sabbioso e giunti in cima, prima di partire, andiamo a vedere un’altra baia anch’essa popolata di elefanti marini che stazionano al sole.
Rientriamo verso Puerto Madryn; attraversiamo la penisola Vadés e giunti al posto di controllo ci fermiamo per visitare il locale museo dove sono allestite delle sale monotematiche: fauna, flora, geologia, località principali, storia; la sala principale è dedicata alla regina del luogo, la balena Franco australe presente con uno scheletro lungo oltre 15 metri. In una teca sono conservati dei fanoni, i denti della balena che un tempo venivano usati dagli abitanti come materia prima per la fabbricazione di utensili per molti usi comuni; alcuni risultano molto particolari come gli ombrelli.
Uscendo dal museo siamo accolti dal cielo nuvoloso e grigio che minaccia pioggia; benedizione per i contadini e allevatori ma maledizione per pinguini ed uccelli; questa è la natura ed il gioco delle parti.
Rientriamo in albergo, doccia, poi appuntamento per la cena che come la sera precedente è in un ristorante. C’incamminiamo sul lungomare in direzione del locale .. e camminiamo .. camminiamo, chiediamo informazioni: la direzione è corretta, e dopo ben 3 km giungiamo al locale; antipasto di salumi e formaggio, filetti pesce fritto e come dolce un tiramisu. Per il rientro il gruppo si divide; chi sceglie il taxi e chi rientra a piedi. Io sono nel secondo gruppo e dopo una bella camminata di oltre mezz’ora arriviamo in albergo quando sono trascorse le 23; prima di coricarmi preparo la valigia per la partenza dell’indomani.
Prima parte
venerdì 20 novembre 2009
Alle 5,00 la sveglia suona, colazione e caricate le valigie sul pullman partiamo per Punta Tombo, dove dovremmo vedere i pinguini; vista l’ora il sonno accumuna molti di noi.
Lasciando la città ritorniamo a percorrere la Route National n.3 e dirigendoci a sud, dopo 2,30 ore di viaggio nella steppa, arriviamo ad una deviazione dove tramite una strada sterrata accediamo ad una fattoria privata; siamo in un’azienda di 65.000 ettari con oltre 7.000 pecore al pascolo e nella parte di territorio che lambisce il mare ospita la Riserva naturale di Punta Tombo (A-LP 503): uno dei luoghi di nidificazione dei pinguini di Magellano. Il tratto di costa interessato alla deposizione e cova delle uova è lungo 15 km ed i pinguini si spingono nell’entroterra fino a 2 km per costruire i loro nidi; la popolazione locale degli uccelli è stimata in 500.000 animali. Mentre ci addentriamo nel parco osservo con curiosità che pecore e guanaco convivono armoniosamente con i pinguini.
I pinguini di Magellano sono una delle 17 specie esistenti; sono ovipari, alti fino a 45 cm, di colore bianco e nero. Come altre specie, presentano sul dorso delle squame che permettono loro un’ottima impermeabilizzazione quando sono in acqua. Per proteggersi dai predatori, in questa zona, costruiscono i loro nidi scavando buche nel terreno sotto i cespugli spinosi che crescono abbondanti. Questa strategia permette di proteggere le uova e i piccoli dai gabbiani e altri predatori che, con la loro presenza, sono una minaccia costante. Solitamente il pinguino deposita 2 uova che vengono curate a turno dalla coppia che si alterna nella cova e poi nell’alimentazione dei piccoli.
Girando per la Riserva abbiamo la fortuna di vedere alcuni nidi dove la schiusa delle uova non è ancora avvenuta. Noto che molti nidi sono foderati di piume poiché le uova o si stanno schiudendo o i piccoli sono appena nati; ho la fortuna di ammirare la nascita di un piccolo che sta uscendo dall’uovo. I piccoli appena nati sono di colore nero/marrone e sono protetti dal genitore che amorevolmente li accudisce.
Sul terreno posto tra i cespugli osservo divertiti dei pinguini che goffamente e con passo ondeggiante camminano diretti alla spiaggia dove si tuffano in mare sia per lavarsi, sia per la ricerca del cibo. Mentre cammino tra i nidi il vento trasporta gli odori degli animali, rendendo l’aria molto gradevole, ma appena questo cala un poco, ecco che al naso giunge un forte ed intenso “profumo” di pesce.
Con Andrea, che ci illustra molti particolari sui pinguini, compiamo una bellissima gita nella Riserva naturale ed essendo i primi visitatori della giornata, possiamo godere e gustare tranquillamente lo spettacolo e la magia del luogo. Mentre ci apprestiamo a partire arrivano altri gruppi di turisti che riempiono la zona.
Lasciamo la Riserva naturale riprendendo la Rn n.3 dirigendoci verso Trelew dove prenderemo l’aereo per Uschuaia, ma siccome siamo in perfetto orario ed il programma prevede la visita ad un villaggio di gallesi chiediamo ad Andrea che ci porti a visitarlo. Dapprima si dimostra restio, ma vista l’insistenza accetta d’accompagnarci anche se non sa se troveremo un locale per il pranzo. Ci dirigiamo quindi verso Gaiman (A-LP 501): località abitata da gallesi trasferitisi qui. Lungo la strada il brullo paesaggio si trasforma in verde e rigoglioso, ricco di piante con ampi campi coltivati; come mai questo radicale cambiamento? Siamo in prossimità di un fiume e l’acqua saggiamente incanalata e sfruttata offre la possibilità di sviluppare piantagioni di pioppi, di salici piangenti che con le loro alte chiome creano un’utile e preziosa barriera contro il costante vento caratteristico della Patagonia; questo produce un microclima adatto alla coltivazione di frutta, verdura ed ortaggi. Possiamo osservare piantagioni di fragole, di patate, di erba medica oltre che piante con frutti di ciliegie, fichi, pesche e noci; molta di questa frutta sta giungendo a maturazione e la troveremo fra qualche settimana, a Natale, sulle nostre tavole italiane.
Fermandoci alla fattoria di Don Julio, Andrea chiede se è possibile effettuare una sosta per lo spuntino; è possibile ma dobbiamo aspettare un poco. Nel frattempo, mentre il forte sole ci riscalda, approfittiamo per passeggiare fra campi e frutteti che circondano la fattoria.
Dopo qualche minuto accediamo alla casa laddove siamo gentilmente accolti dalla proprietaria, una signora attempata che velocemente, nell’ampio soggiorno ha preparato tre tavoli; nel gestire un’accoglienza improvvisata è stata veramente brava, precisa ed ordinata. Noto che in un locale attiguo, che è in ristrutturazione, vi è un caminetto ed un bancone da bar, l’ambiente è pulito ed accogliente; ai muri sono appese molte foto di famiglia e trofei sportivi che i proprietari hanno conquistato quando in gioventù gareggiavamo in competizioni di atletica leggera.
Ci servono: torta di mela, torta di cioccolato e panna, paste, pane con burro leggermente salato (una vera delizia per il palato), marmellate di fragola e melone, salame, pane caldo; stuzzichino? Affatto no! Un vero e proprio abbondante pasto ricco di zuccheri. E’ mezzogiorno e dobbiamo lasciare il locale per dirigerci in aeroporto. Lì giunti imbarcate le valigie, paghiamo la tassa del volo; la struttura aeroportuale è piccola ed affollata di passeggeri, quindi cerchiamo un posto dove stare in gruppo per aspettare la partenza del volo per Ushuaia, nella “Tierra del Fuego”.
Arriva il momento dell’imbarco, l’aereo è pieno e passando tra i sedili sento un’inflessione dialettale familiare, chiedo agli italiani di dove sono e scopro che abitano in un paese limitrofo al mio: il mondo è veramente piccolo!
A bordo del MD 80 decolliamo con 30 minuti di ritardo; ma qui il tempo sembra assumere ben altra dimensione e ben altri valori rispetto alla frenesia di Milano. Durante il volo parliamo della cena che non è prevista dal programma, Salvatore ha un indirizzo di un locale tipico, ma telefonando ha trovato posto per 10 persone, quindi si è deciso di fare due gruppi in due ristoranti differenti.
Durante il volo leggo il programma e la guida, scoprendo che la Terra del Fuego è una zona naturalisticamente molto importante.
Sorvolando la piatta, arida distesa patagonica lo sguardo si perde fra gli onnipresenti arbusti e osservando i miei compagni di viaggio, noto come l’alzataccia di stame abbia portato stanchezza a tutti noi. Il cielo sta diventando nuvoloso ed approfitto della calma del volo per sistemare gli appunti di viaggio; il mio continuo annotare suscita curiosità tra i viaggiatori e qualcuno mi chiede coma mai; spiego che scrivo diari di viaggio e fornisco loro le indicazioni dove poterli reperire. Sono trascorse quasi tre ore dal decollo e ci stiamo apprestando all’atterraggio, stiamo viaggiando illuminati dal sole, ma sotto di noi il cielo è nuvoloso, oltrepassando le nuvole appaiono laghi, montagne innevate con le pendici ricoperte di boschi e poco lontano il mare frastagliato da molte isole. Il pilota ci avvisa che la temperatura a terra è di 9°C, il cielo è sempre più nuvoloso e grigio, il mare appare cupo e tetro, le montagne sono verde scuro; questa è una delle molteplici immagini della Tierra del Fuego, un luogo dove in una giornata è possibile incontrare la temperatura di tutte e quattro le stagioni. Il contrasto del paesaggio argentino è davvero forte: a nord vi è un paesaggio verdeggiante, al centro in Patagonia è brullo, mentre qui a sud appare verde e rigoglioso.
Appare Ushuaia (A-LP 594), l’ultima città prima dell’Antartide, la città sorge sulla costa e s’inerpica sui fianchi delle montagne, le case sono basse e colorate, ai margini della città appare la zona industriale. Atterriamo sulla pista di cemento, scendiamo dall’aereo mentre piove: benvenut
Seconda parte
venerdì 20 novembre 2009
Sbarchiamo, ritiriamo i bagagli e saliamo sul pullman che ci porterà in albergo, qui troviamo una graziosa fanciulla che ci attende, è la nostra accompagnatrice, di origine italiana si chiama Karina Bonanno. Attraversiamo la città ed in breve giungiamo all’albergo edificato sul fianco della montagna, totalmente immerso nei boschi, offre un’incantevole vista sulla città, sulla baia e sulle isole poste frontalmente. Appena sopra di noi vi sono le cime innevate delle montagne, Karina ci dice che a poche decine di metri dall’albergo, vi è la partenza di una seggiovia che porta ad un ghiacciaio che scende dalla montagna.
Quando scendiamo dal pullman siamo accolti da una temperatura fredda e frizzante; sarà solo la temperatura serale oppure è proprio è il clima locale? D’altronde con la neve a poca distanza il caldo lo dobbiamo dimenticare. Assegnazione delle camere e poi ci prepariamo per la cena; Salvatore parte con il primo gruppo, mentre noi ci ritroviamo poco dopo nella hall dell’albergo diretti al ristorante “Kaupe” dove abbiamo prenotato; riunitici chiamiamo tre taxi per farci accompagnare, scendiamo in città ed in breve arriviamo al ristorante. L’idea iniziale era quella di fare un giretto nella cittadina prima di cenare, ma visto che nevischia decidiamo di andare direttamente a cena. Entriamo nel locale dove l’atmosfera è calda, accogliente, ricercata e raffinata. Alla reception dell’albergo ci avevano detto che questo ristorante è tra i più cari della città; qualche timore per la spesa l’abbiamo, ma decidiamo di sederci ai tavoli. Ci portano il menù alla carta e scorrendolo vediamo il prezzo espresso in dollari; siamo colti da un colpo apoplettico: le cifre sono esorbitanti. Chiediamo al cameriere l’esatto prezzo e ci spiega che pur essendo riportato il simbolo del dollaro americano, l’importo numerico indica i pesos argentini; essendo il valore un quarto del dollaro, tutto si ridimensiona.
Scelgo il menù: granchio al naturale, merluzzo nero, dolce al cioccolato; c’è chi accompagna il cibo con dell’ottimo vino argentino. I piatti sono raffinati, con un ottima presentazione, i cibi sono veramente gustosi. Durante la cena, dalle finestre del locale, possiamo ammirare la baia ancora illuminata dal sole, mentre il sole si avvia al tramonto e lo sguardo si perde nelle luci delle strade ed in quelle del porto, nelle navi ormeggiate, negli aerei che atterrano.
Terminata la cena arriva il conto; 200 pesos a persona (circa 40 €), prezzo davvero contenuto rispetto all’Italia.
Chiamiamo dei taxi per rientrare in albergo, quando nel cielo le nuvole lasciano passare gli ultimi raggi del sole che sta tramontando rendendo la visione della baia molto suggestiva; vedremo se sarà un buon segno per la giornata di domani dove ci aspetta l’escursione in un parco.
Sono nella sala dell’albergo e sto aggiornando il mio Moleskine, quando arriva l’altro gruppo e aprendo che la loro è stata una serata discreta, non sono molto contenti della cena che la reputano scarsa sia come qualità, sia come servizio, il granchio è stato servito freddo ed il locale era poco più che discreto; un pò di delusione si nota sui loro volti.
Mentre sto scrivendo lo sguardo segue l’incanto della città e del porto illuminati dove le cui luci si riflettono in mare.
La sala dell’albergo è poco frequentata e gli italiani riunendosi per giocare a burraco portano allegria che invade l’intero locale.
Prima di coricarmi il pensiero va all’abbigliamento da preparare per l’indomani, ma vedendo le mutevoli condizioni climatiche decido che solo al mio risveglio deciderò cosa indossare.
Prima parte
sabato 21 novembre 2009
La sveglia suona alla 7,30 ma con Chen è da oltre un’ora che stiamo osservando la baia ed il movimento delle navi; vi è una buona luce, il cielo è grigio e nuvoloso ma per ora vi è assenza di precipitazioni, decido di vestirmi a cipolla con indumenti caldi e tenere quelli impermeabili a portata di mano. Nella hall dell’albergo troviamo la giuda della giornata, si chiama Luca e parla bene l’italiano. Colazione, poi prepariamo le valige che nel pomeriggio imbarcheremo e nel frattempo lasciamo in custodia presso l’albergo; infine col pullman partiamo per la visita nel Parco naturale di Lapataia (A-LP 605).
Lasciata la città percorriamo una strada verso nord ovest ed in pochi km arriviamo ai confini del Parco. Tassa d’entrata e poi proseguiamo il viaggio fino ad una radura dove sorge un edificio coloniale; è la stazione ferroviaria del “Treno della fine del mondo” (A-LP 608). In origine questo treno partiva dalla cittadina e percorrendo la valle si fermava nel bosco, trasportava i carcerati della locale prigione che fungevano da boscaioli; lungo le pendici dei monti sono ancora visibili le piante abbattute ed abbandonate. Alla stazione ci dicono che entrambi i trenini sono pieni, quindi piuttosto che aspettare molto tempo e trovare il parco affollato di turisti, decidiamo di proseguire il viaggio col pullman ed anticipare coloro che viaggiano col trenino.
Addentrandoci nel parco costeggiamo le ultime torbiere vergini rimaste e viaggiando sulla carreggiata che si snoda fra boschi di faggio giungiamo al lago Roca. Qui scendiamo ed iniziamo un’escursione sulla riva del lago; camminando possiamo ammirare piante, fiori ed animali. Tra le piante risalta il faggio locale, enormi distese di queste bellissime piante, un similfaggio chiamato Lenga (Nothofagus pumilio) ovvero un faggio australe denominato curiosamente dai locali “non autentico”. Tra gli arbusti fioriti si distingue il Cafante, una pianta autoctona dai cui frutti si ricavano marmellate e liquori; mentre camminiamo possiamo ammirare conigli, lepri ed anatre. Una curiosità: i conigli e le lepri sono veramente indisturbati in quanto, oltre ad essere animali protetti del parco, qui non sono la base di piatti prelibati come in Italia: siamo i maggiori consumatori mondiali di dette carni. Gli argentini non apprezzano questi animali “con poca carne e tante ossa”.
Arriviamo nei pressi di un campeggio attrezzato dove, malgrado il clima rigido, è presente qualche campeggiatore. Nell’aera vi è un rifugio; entriamo ed in un’ampia sala troviamo un camino dove possiamo riscaldarci al calore dello scoppiettante fuoco. Quando esco per scattate delle fotografie, comincia a piovere; d’altronde il grigio cielo non prometteva certamente il sole. Anche questa è una caratteristica della Terra del Fuoco, ma il clima fresco e gli scenari naturali che ho dinnanzi mi ripagano ampiamente di un po’ di pioggia.
Riprendiamo il viaggio tra i boschi di similfaggio e appena smette di piovere, ci fermiamo per percorrere a piedi un sentiero che, sviluppandosi alla base di innevate montagne si snoda tra boschi, collinette e laghi. Vediamo conigli, oche e anatre, mentre nel fiume alcuni escursionisti in canoa pagaiano dolcemente.
Arriviamo ad un punto panoramico dove, nel lago sottostante, possiamo ammirare una diga costruita dai castori, animali che importati nello scorso secolo, attualmente sono diventati un vero flagello e per questo cacciati. Foto ricordo, poi Luca chiede se vogliamo proseguire ancora a piedi; la risposta è affermativa. Percorrendo il bosco costeggiamo una torbiera, ci inerpichiamo sul fianco di una montagna dove possiamo osservare una variopinta flora finchè arriviamo ad un belvedere; la visione sulla baia sottostante è davvero stupenda, i colori e le ombre creano uno scenario di impareggiabile bellezza. Lasciando il belvedere scendiamo verso la baia e troviamo una strada sterrata con una piccola rotonda: è il termine della Route National n. 3 “la Panamericana”, la strada che abbiamo percorso quando eravamo a Trelew: un cartello indica che siamo a 3.079 km da Buenos Aires ed a 17.848 km dall’Alaska.
C’incamminiamo nell’aera protetta dove per non rovinare il delicato terreno sono state posate delle comode passerelle e questo permette di accedere a luoghi altrimenti irraggiungibili per l’acquitrino caratteristico della torbiera. Vediamo un catamarano della locale linea di navigazione che entra nella baia, l’attraversa ed attracca al molo scaricando i passeggeri, una visione fiabesca; sono immerso in una dimensione diversa dal mondo consumistico, un luogo incantato e piacevole dov’è la natura a determinare i tempi e gli avvenimenti che si susseguono e mi sento non come un visitatore ma come un ospite privilegiato che può ammirare questa magnificenza.
Durante il rientro in città chiediamo a Luca dove ha imparato così bene l’italiano; Luca, nato e cresciuto a Buenos Aires per scelta si è trasferito qui per vivere a contatto con l’incontaminata natura di questi luoghi, gli piace girare compiere escursioni, trascorrere le notte campeggiando e d’inverno fare gite con gli sci; nel 2002 ha frequentato l’università di Perugia ed ha girato l’Italia e la Svizzera.
Racconta in modo affascinante e coinvolgente la storia e le caratteristiche del parco, mentre poco prima di arrivare in città ci mostra alcune foto di animali che vivono qui la cartina della Terra del Fuoco e dello stretto di Magellano. Pubblicizza dei libri, stampati in inglese ed italiano, di flora e fauna locali, scritti da un suo amico. Qualcuno di noi sfruttando l’occasione li acquista; ottima scelta perché poi troveremo solo stampe in altre lingue.
Per il pranzo rientriamo in albergo dove dalla sala da pranzo possiamo gustarci la vista sublime sulla baia e sulle isole che la circondano, tutte illuminate dal sole. Arriva il pranzo: polpette di granchio con insalata, cordero (rotolo di agnello cotto al forno) con verdure, sbrisolona con cioccolato accompagnata da un gelato di banane e cocco; un pranzo raffinato e gustoso.
Il locale è molto caldo, chiediamo di abbassare il riscaldamento, ma aprono le finestre, mi chiedo come mai simile comportamento. Luca ci spiega che siccome nella regione vi sono dei giacimenti di metano, qui il riscaldamento ha dei costi irrisori e l’usanza per regolare la temperatura è tenere aperta la finestra.
Durante il pranzo si chiacchiera e si osserva il panorama. Ritornando in città, facciamo il chek-in per l’imbarco sulla nave, consegniamo i bagagli ed il passaporto che riprenderemo solo allo sbarco in Cile. Passeggiando per la cittadina ci dedichiamo allo shopping; c’è chi acquista libri, chi abiti, chi souvenir e chi telefona a casa. Osservo alcuni capi d’abbigliamento, noto che sono rifiniti bene e ben curati, ed i prezzi risultano convenienti.
Mentre giriamo per la cittadina, troviamo l’ufficio del turismo, mi faccio apporre sul moleskine i timbri di Uschuaia, la città più australe del mondo.
Seconda parte
sabato 21 novembre 2009
La temperatura è piacevole ed il sole brilla nell’azzurro cielo, con Chen, Salvatore e Luigia decidiamo di andare a visitare il museo locale realizzato nella vecchia prigione. Attraversiamo velocemente la città ed arriviamo alla meta; l’edificio carcerario a 5 raggi, oggi è sede del museo del carcere e del museo navale, o meglio quello navale è stato realizzato in un raggio del carcere ed i due musei si integrano l’uno con l’altro. Pagato il biglietto cominciamo la visita e le prime sale sono quelle del museo navale in cui possiamo vedere modellini delle navi che solcavano questo tratto di mare e che hanno fatto la storia locale; poi accediamo ad un raggio dell’ex penitenziario e percorrendolo notiamo che nelle celle poste alla nostra sinistra è stato ricostruito l’ambiente carcerario; dove possiamo osservare dei manichini raffiguranti alcuni detenuti ed una breve descrizione della loro storia; vi sono assassini, ladri, insomma la peggior delinquenza dell’epoca era stata “convogliata” in questo carcere estremo. I carcerati erano impiegati nella costruzione dell’edificio, nel taglio della legna per il riscaldamento e per i servizi comuni sia del carcere che della città. Fuggire da questo posto risultava pressoché impossibile per l’ambiente freddo ed ostile. Le poche fughe avvenute si sono dimostrate vane in quanto i fuggitivi sono sempre stati ritrovati morti per il freddo.
Nelle celle della parte destra dell’edificio sono visibili attrezzature, personaggi, divise, mappe nautiche del museo marino. Terminato il raggio, arriviamo alla rotonda centrale, vediamo che il raggio n. 3 si presenta nelle condizioni originali; i muri sono grigi, le celle erano chiuse da porte con inferriate metalliche e poi da porte lignee, al centro del corridoio vi sono due spartane stufe che servivano per il riscaldamento. Si comprende il rigore che regnava in questa struttura costruita alla fine del mondo. In fondo al corridoio vi sono i servizi igienici; lavabi, lattrine e docce, tutte molto spartane e realizzate con manufatti di cemento.
Terminata la visita al museo, ritorniamo verso la città ed in attesa dell’imbarco curioso nelle vetrine dei negozi dove osservo dei prodotti “Made in Italy” sinonimo che la qualità esiste ed è riconosciuta. Osservo scarpe da montagna, mi guardo i piedi, calzo la stessa marca: l’orgoglio italiano emerge.
Incontrando altri componenti del gruppo decidiamo d’imbarcarci; passiamo i controlli doganali e c’incamminiamo sul molo dov’è ormeggiata la nave con cui effettueremo la crociera; giunti a bordo della “Mare Australis” siamo ben accolti dal personale di bordo. La nave non è grande, le cabine sono confortevoli, i locali comuni sono ampi, spaziosi ed accoglienti. Io e Chen, abbiamo la cabina al primo ponte, ovvero appena sopra la linea di galleggiamento e questo non ci permetterà di fotografare dall’interno della cabina perché il vetro dell’oblò è costantemente bagnato dagli schizzi delle onde; per fotografare dovremo salire sui ponti superiori, ma questo non si rivelerà un problema. Visitiamo la nave, saliti sul ponte superiore scattiamo qualche foto alla baia prima di salpare, poi scesi nella sala bar partecipiamo alla riunione sulla sicurezza e sulle norme comportamentali: in quest’occasione facciamo la conoscenza del comandante, degli ufficiali e del personale che ci seguirà nelle escursioni; infine il brindisi di benvenuto.
Gli ufficiali ci spiegano la rotta che percorreremo, l’elenco, l’orario delle escursioni e l’abbigliamento da indossare. La crociera viene definita una “crociera escursionistica” per il fatto che il programma, in caso di avverse condizioni meteorologiche, potrebbe sensibilmente mutare e comunque le escursioni richiedono sempre molta attenzione ed abbigliamento adatto. Durante la navigazione sono previste delle conferenze su varie tematiche quali la fauna, la flora, la geografia, la glaciologia, la storia (Magellano, Capo Horn, l’Antartide ed il Cile).
Vengono accesi i motori della nave, un leggero rullio e lentamente l’imbarcazione si muove staccandosi dal molo; siamo salpati ed inizia la crociera, la nostra avventura nella parte più meridionale del globo. Nella rada, l’imbarcazione, girandosi su se stessa si pone dritta verso il canale di Beagle ed inizia la navigazione; il sole illuminando le cime innevate pare darci un saluto di buon viaggio. Mentre la nave lentamente e silenziosamente scivola sull’acqua costeggiando la costa e le montagne, nella sala al quarto ponte ha luogo la prima conferenza sul tema “la storia di Capo Horn”, chiamato Capo de Horrnos in spagnolo e nel salone bar viene proiettato un filmato sulla località che domattina, condizioni climatiche permettendo, raggiungeremo.
Giunge l’ora della cena; polpa di granchio, zuppa di piselli con salmone, poi scelta fra pesce e tris di filetto di manzo con salse differenti. Assaporo il vino cileno, colore rosso scuro, sapore barricato, gusto particolare e ben diverso dai vini italiani.
La navigazione procede nel canale di Beagle ma prima d’entrare in mare aperto la nave si ferma, a bordo sale la polizia marittima cilena per il controllo dei documenti; nel buio della sera si vede la baia con le luci di Ushuaia.
Il dopo cena ci vede riuniti al bar dove si gioca a carte e si conversa, poi vado in cabina per la notte e mi addormento cullato dal beccheggio della nave.
Prima parte
domenica 22 novembre 2009
E’ notte fonda, la nave sobbalza, le onde sbattono rumorosamente contro le lamiere dello scafo, a volte s’infrangono sul vetro dell’oblò; si traballa.
Alle 5,00 suona la mia sveglia, l’avevo puntata perché la sera prima ci avevano avvisato che a quell’ora saremmo transitati per una zona incantevole, degna d’essere fotografata; mi alzo, guardo fuori dalla finestra e vedo solo nebbia e onde alte; la visibilità è pessima; non mi pongo neppure il problema di come vestirmi per uscire a fotografare: ritorno sotto le coperte. Il programma prevede la sveglia alle 6,00 ed alle 7,00 il ritrovo per sbarcare a Capo Horn. Puntuale 6,00 la sveglia suona, in coperta è pronto caffè caldo per chi lo desidera, ma vedendo lo sballottamento della nave, decido di non assumere nulla di liquido onde evitare i problemi del mal di mare. Alle 7,00 ci ritroviamo per il possibile sbarco sulla terra più meridionale del pianeta. A fatica sediamo sulle poltroncine del bar, siamo completamente bardati ed indossiamo i salvagente ben allacciati, ci muoviamo goffamente; sembriamo dei pinguini fluorescenti.
Il personale di bordo che ci accompagnerà ci dà le informazioni per salire sui gommoni, su come sedersi, come fare per scendere; poi pian piano recandoci a poppa della nave, cominciamo ad imbarcarci sui gommoni che ci porteranno a terra. La temperatura esterna è di 2,5°C, vi è un vento forte, il cielo è nuvoloso e grigio. Dalla nave noto che qualcuno dell’equipaggio è già nella baia per mettere in sicurezza il luogo dove sbarcheremo.
Sui gommoni “zodiac”, si sale uno alla volta, ci si siede e poi sale un’altra persona, in totale siamo 10 passeggeri oltre all’addetto alla navigazione. Ci stacchiamo dalla nave e partiamo verso la riva sassosa. Il mare è scuro come il cielo, delle bianche onde creano belle increspature nell’acqua scura, sul gommone si salta, mentre qualche onda ci bagna la schiena, dal cielo comincia a cadere qualcosa: acqua e neve ci danno il benvenuto a Capo Horn (C-LP 460 C).
Attracchiamo e per sbarcare senza problemi dobbiamo eseguire esattamente le indicazioni che il personale della nave impartisce, un movimento sicuro e rapido evita di essere risucchiati dalle onde nonché di fare un bagno fuori programma nelle gelide acque.
Appena sbarcati ci attende una lunga scalinata di legno che percorrendola ci permetterà di raggiungere la sommità della nera scogliera; cominciamo a salire, i gradini di legno sono resi scivolosi dall’acqua e dalla neve, occorre camminare con prudenza, ma in breve giungiamo alla sommità dei faraglioni dove sorge la stazione del carrello a fune che scende fino al mare; mezzo indispensabile per il trasporto di cose e cibo per coloro che soggiornano in questa località. Qui ci attende un militare della marina cilena che controlla l’accesso alle terra cilena; poco lontano sorge il faro ed una base militare con un elicottero fermo nella piazzola d’atterraggio.
Siamo sull’isola di Capo Horn, la terra più meridionale del mondo, qui il terreno è coperto solo da erba bassa di colore verde/marrone, il vento forte è una presenza costante. Per i turisti e per chi soggiorna in questo luogo è stata costruita una passerella lignea, un modo per preservare la natura, ma anche per rendere più agevole il camminare; a fatica e lottando contro il tagliente vento e la pioggia insistente e gelida, la percorriamo interamente finché giungiamo al monumento di Capo Horn; una struttura metallica posata nel 1991, raffigurante un albatros in volo. Ostacolati dal forte vento, a fatica faccio delle foto ricordo; fa freddo e continua a piovere. Restiamo pochi minuti sulla cima e poi ci dirigiamo verso un altro promontorio dove sorge una casetta con il faro. Tutt’intorno il mare coperto dalle nuvole è grigio e l’acqua continua ad essere increspata dal vento. Osservando questo scenario, comprendo la difficoltà che incontrano i marinai che navigano in queste acque e capisco perché è così temuto.
In breve tempo giungiamo al faro e troviamo una sorpresa; una piccola chiesetta lignea: è l’edificio religioso più australe del mondo, all’interno una foto di Papa Giovanni Paolo II, un ritratto di Santa Rita da Cascia e un sacerdote saveriano (che non conosco). Accedo al faro e salendo in cima vorrei fare delle foto, ma i vetri sono tutti bagnati quindi risulta impossibile ottenere buone inquadrature. Nella casetta esiste un piccolo negozio di souvenir; mi faccio apporre i timbri di Capo Horn sul moleskine e poi firmo il libro delle visite al faro; un segno tangibile del mio passaggio.
L’alta marea sta per terminare e dobbiamo velocemente avviarci verso i canotti, nello scendere le bagnate scale mi accorgo che in una nicchia scavata nella roccia vi sono dei fiori ed una statua della Madonna del Carmine, la protettrice di Rovello Porro, il mio piccolo paese; qui una foto ricordo è indispensabile.
Ci imbarchiamo sul canotto facendo attenzione a sfruttare bene l’onda del mare, per evitare di finire nelle fredde acque, riattraversiamo la baia e giungiamo alla nave, i gommoni attraccano a poppa, dove possiamo sbarcare; tolgo il salvagente e mi preparo per andare a colazione: dopo l’escursione a Capo Horn la fame è tanta.
Terminato d’imbarcare le persone ed issati i gommoni, la navigazione riprende e le alte onde del mare aperto si fanno presto sentire. La giornata trascorrerà in navigazione fino a metà pomeriggio quando sbarcheremo per un’altra escursione. Ne approfitto per fare il bucato, per sistemare appunti e foto, poi nell’appuntamento culturale ascolto la spiegazione storica e antropologica della Terra del Fuoco e dell’Antartide.
Sono le 11 e la navigazione procede in prossimità delle isole per evitare l’agitato mare aperto, ci stiamo dirigendo verso Nord Nord Ovest alla velocità di 10,9 nodi; il cielo continua ad essere grigio, piove, tira vento ed il mare mantiene il colore scuro e tetro. Solo in lontananza si vede chiaro, spero che il sole compaia nelle prossime ore quando sbarcheremo; siamo diretti verso l’isola di Navarino (C-LP 456)a sud di Ushuaia.
Alle 12 inizia la conferenza sulla Patagonia ed i suoi ghiacciai, la flora, la fauna; benché Maurizio (un componente dell’equipaggio) esponga in spagnolo la presentazione si rivela interessante ed avvincente.
Giunge l’ora del pranzo: cucina all’italiana! Veramente ottima e mangiamo abbondantemente. Il cielo si mantiene grigio ma permette, in lontananza, di ammirare alcune isole con montagne innevate.
Le prime ore del pomeriggio trascorrono in tranquillità mentre nei locali comuni c’è chi legge, chi sonnecchia, chi gioca a carte, io leggo sulla guida il capitolo riguardante la Terra del Fuoco, sia la parte argentina che quella cilena.
Alle 16,30 ci prepariamo per lo sbarco sull’isola di Navarino, alle 17,00 il ritrovo per le informazioni sul comportamento da tenere. I componenti dell’equipaggio ci offrono due possibilità:
• una tranquilla camminata sulla spiaggia;
• un’escursione fra i boschi fino ad un punto panoramico.
Divisi nei due gruppi inizia lo sbarco a bordo dei gommoni.
Seconda parte
domenica 22 novembre 2009
. Approdando sull’isola togliamo i salvagente e li depositiamo sulla spiaggia; siamo gli unici umani presenti sull’isola. Ora veniamo ulteriormente suddivisi in gruppi secondo l’idioma parlato, i gruppi sono tre, spagnolo, italiano e inglese/francese. Con noi c’è Vittorio, un uomo dall’aspetto cordiale sui 55 anni che parla un italiano fluente. Iniziamo l’escursione e la prima sosta è solo dopo pochi passi vicino ad un edificio, Vittorio ci spiega che la costruzione originariamente era una base della marina militare cilena mentre attualmente è un museo dedicato a Darwin; lo scienziato inglese che per qualche tempo ha vissuto e studiato in questi luoghi. Proseguiamo per un tratto di strada poi, altra sosta dove Vittorio ci descrive la storia delle Terra del Fuoco. Quest’isola, come quelle vicine, erano popolate da aborigeni Jamana. Questi indigeni, di cui sono visibili alcune foto e descrizioni nel locale museo, vivevano in capanne costruite con i rami degli alberi, erano nomadi e migravano da un’isola all’altra. L’abbigliamento non esisteva e per proteggersi dal freddo utilizzavano il grasso di foca; alle donne, essendo più adipose degli uomini, veniva affidato il compito di usare le canoe e di immergersi nelle fredde acque, mentre gli uomini erano dedichi alla caccia ed alla pesca. Era una società semplice la cui cultura veniva tramandata solo oralmente, in quanto erano analfabeti. La loro religione si basava su idoli e tradizioni locali di cui, nel tempo si sono perse le tracce. Nel periodo invernale, queste popolazioni sostavano sulle isole più grandi, mentre d’estate si spostavano su isole più piccole. Un dato curioso è l’origine del nome “Terra del Fuoco” i primi navigatori europei che giunsero videro i fuochi dei villaggi e delle capanne sempre accesi ed anche sulle canoe, visto che gli aborigeni usavano trasportare il fuoco acceso; da qui il nome che tutti noi conosciamo.
Ora possiamo osservare la ricostruzione di una capanna fatta con i rami di faggio Lenga. Nei secoli questi aborigeni come peraltro tutte le popolazioni locali hanno dovuto cedere le loro terre ai colonizzatori europei che si stavano insediando in questi territori per coltivare terreno od allevare bestiame.
Come spesso è accaduto nella storia, l’impatto delle popolazioni autoctone con i colonizzatori si è rivelato drammatico per i locali che a seguito di malattie, violenze, soprusi sono stati decimati e l’ultimo diretto discendente di questa razza è deceduto circa 60 anni fa.
Attualmente l’isola è un parco ecologico, completamente disabitata dove gli unici animali che vivono allo stato selvatico sono quelli importati dall’uomo in particolar modo maiali e castori.
Iniziando l’escursione Vittorio ci mostra dei funghi che crescono sui tronchi dei faggi; anticamente erano una delle principali forme di sostentamento delle popolazioni. Ne stacco uno e lo assaggio, il sapore è neutro, in effetti hanno pochissimo valore nutritivo e servivano solo per riempire lo stomaco.
Percorriamo un sentiero che s’inerpica sulle pendici della montagna interamente ricoperta di faggi e proseguendo nell’osservazione botanica possiamo osservare un tipo di vischio che cresce sui rami come parassita, questo vegetale cresce e si sviluppa solo dove l’aria è veramente pulita.
La salita è relativamente facile, se non per alcuni tratti di terreno molto fangoso, dove occorre porre molta attenzione per evitare di scivolare. Ad un tratto notiamo che il gruppo davanti a noi è fermo e sta fotografando, velocemente lo raggiungiamo e ci troviamo ai bordi di una diga costruita dai castori. Facciamo passare il gruppo che sta rientrando verso la barca e ci fermiamo per fare delle foto al lago che è illuminato dal sole che sta comparendo tra le nuvole quando, dai tronchi spunta un castoro che nuotando tranquillamente arriva fino a pochi metri da noi, si fa fotografare e poi decide di dirigersi verso la sua tana.
Tutt’intorno al lago vi sono gli alberi rosicchiati dai possenti denti dei roditori e quelli abbattuti sono veramente molti.
Riprendiamo la salita ed in breve arriviamo ad uno spiazzo dove appare un’incantevole visuale sulla sottostante baia. Il sole rende il paesaggio emozionante; la vista si prede nei colori delle piante, del mare, delle montagne e delle nuvole. E’ una bella soddisfazione aver compiuto quest’escursione, posso constatare ulteriormente come in questi luoghi in una giornata si osservano il climi delle quattro stagioni.
Ritorniamo verso la spiaggia, con Salvatore ed Ambrogina chiudo il gruppo, quando giungiamo al lago dei castori, il roditore fa la sua comparsa come per salutarci: bellissimo regalo di questa meravigliosa terra.
La discesa procede veloce sullo stesso tracciato della salita; stiamo attraversando un tratto boschivo quando, alle nostre spalle, dal profondo del bosco sentiamo uno strano rumore: io e Salvatore ci guardiamo in faccia e contemporaneamente esclamiamo: un grugnito? Poi ne giunge un altro: sono i maiali selvatici che popolano il bosco. Con tranquillità proseguiamo sulla nostra strada senza curarci di quanto possano essere vicini.
Giungendo sulla spiaggia ci accorgiamo che siamo gli ultimi e ci rimane poco tempo a disposizione per visitare il museo informativo su Darwin, perciò accediamo celermente. All’interno sono appesi dei cartelloni con foto e descrizioni, un percorso storico, culturale, antropologico davvero interessante, ma purtroppo non ho il tempo di approfondire quanto esposto.
Ci avviamo per recuperare i salvagente che abbiamo lasciato sulla spiaggia, quando in riva al mare scorgo un tavolino, l’equipaggio offre da bere; acqua, coca cola, cioccolata e whisky. Bevo un po’ di coca per dissetarmi e poi col gommone rientriamo velocemente sulla nave, dove veniamo accolti da un “servizio di pulizia” delle scarpe; un idrogetto toglie velocemente il fango che ricopre le calzature.
Rientro in cabina, controllo le foto fatte, poi doccia e ci prepariamo per la cena: filetti di salmone, crema di patate con vongole, tagliata di carne con patate, dolce. Durante la cena, il personale della nave distribuisce, per ciascun tavolo, un foglio con delle domande: un piccolo concorso con premi a sorpresa.
Mentre ceniamo si naviga fra canali ed il mare è calmo, poi entrando nel canale di Beagle ritroviamo il mare mosso. Dagli oblo della sala da pranzo osservo il bel tramonto che illumina le montagne innevate; mi precipito in cabina a prendere la macchina foto e faccio qualche scatto.
La serata è rallegrata da una sfilata di moda i cui modelli sono passeggeri che indossano abiti del negozio di bordo, tra gli indossatori vi sono Chen e Luigia. La serata prosegue con il bingo dove fra false vittorie (chi comprende male i numeri) e vittorie vere, il divertimento è assicurato. Ritornato in cabina mi appresto a coricarmi accorgendomi che la nave è ferma.
lunedì 23 novembre 2009
Alla mattina la luce opaca del cielo nuvoloso entra dalla finestra, il natante sta solcando le calme acque del canale, ora è veramente un piacere navigare. Alle 8,00 l’annuncio che la colazione è pronta. Per mantenere la linea, visto il poco movimento, mangio poco; solo frutta e biscotti secchi per evitare il mal di mare.
Durante la mattina la rotta procede tra vari canali, tutt’intorno montagne innevate, isole, isolotti; lungo le coste sono posizionati i molti segnali marini che facilitano la navigazione.
Osservando il panorama noto come sulle isole l’erba e le piante crescano storte per l’incessante azione del vento; sono le 9,30 e il viaggio procede tranquillamente, oggi la giornata trascorrerà sulla nave e solo nel pomeriggio è prevista l’escursione per vedere i ghiacciai Piloto e Nena che terminano il loro percorso gettandosi in mare.
Alle 10,00 inizia la spiegazione storica della stretto di Magellano, seguo la descrizione in spagnolo quando qualcosa fuori dal finestrino attira il mio sguardo: vi sono degli albatros che seguono la nave.
Abbandono la conferenza ed esco sul ponte per scattare delle foto: è stupendo vedere questi maestosi uccelli con un’apertura alare di oltre 3 metri lasciarsi trasportare dal vento e librarsi in aria. Ma sono senza giacca a vento ed il freddo pungente si sente. Rientro in sala per seguire la lezione di cui ho perso irrimediabilmente il filo, quindi mi pongo ad osservare l’incantevole paesaggio: sulle pendici delle montagne noto il millenario lavoro dell’erosione glaciale, le colline sono dolci, erbose e dove le intemperie sono meno violente, crescono delle piante.
Ore 11,00 lezione di nodi; il nostromo ci insegna o almeno tenta di insegnarci qualche nodo da poter utilizzare quando ne avremo necessità; è un’ora molto divertente dove i presenti si dilettano nella realizzazione di annodamenti vari.
Mentre la navigazione prosegue tra isole e fiordi alle ore 12,00 mentre inizia la lezione sui vini cileni, indossata la giacca a vento vado sul ponte per cercare di fotografare la Petrello (un uccello antartico) che vola mutando continuamente direzione; inquadrare e scattare è una bella prova di velocità e precisione, ma alla fine riesco, con un poco di fortuna ad immortalarlo in volo.
Dopo il pranzo a buffet, ci ritroviamo nella sala comune ad attendere l’ora dello sbarco. Sono le 15,20 quando giungiamo nei pressi di un fiordo, qui vedo galleggiare dei piccoli iceberg; la nave rallenta, il personale di bordo getta l’ancora ed iniziamo l’escursione verso i ghiacciai.
Per sbarcare hanno organizzato tre gruppi suddivisi per nazionalità; noi italiani sbarcheremo per ultimi alle 17,30. Visto il tempo di attesa decido di salire sul terzo ponte posto a prua per osservare il primo gruppo che sbarca, quando inizia a piovere copiosamente. Il gruppo a bordo dei gommoni entrando nel fiordo scompare alla mia vista per ricomparire dopo quasi un’ora; poco dopo entra il secondo gruppo; auspicando che smetta di piovere continuo a guardare fuori dalla finestra ma la speranza è vana.
Si avvicinano le 17 e fra poco tocca a noi, è ora di prepararsi per lo sbarco ed alle 17,10 siamo tutti riuniti sul ponte dove Vittorio ci dà le informazioni necessarie per l’escursione ed infine ci apprestiamo ad imbarcarci sui gommoni. Sul natante siamo in 8 persone oltre l’accompagnatore ed il pilota. Lasciamo la nave e velocemente ci avviciniamo al fiordo dove sull’acqua galleggiano dei piccoli iceberg; navighiamo fra essi e man mano che ci addentriamo nello stretto canale costeggiato da verticali pareti granitiche, gli iceberg diventano sempre più grandi, la destrezza del pilota nell’evitarli è notevole.
Dopo circa 15 minuti di navigazione, avvicinandoci ad uno sperone roccioso, appare una miriade di nidi di cormorani, ci fermiamo ad osservarli, poi proseguiamo e superata una parete rocciosa improvvisamente appare la montagna di ghiaccio; un vero, verticale, impressionante muraglione di ghiaccio azzurro e verde che si riversa in mare, il fronte è alto 30 metri e largo oltre 100: rimango incantato di fronte a simile spettacolo.
La pioggia incessante ci bagna inesorabilmente e fotografare risulta molto difficile, infatti, è una continua lotta per asciugare l’obiettivo dalle gocce che s’infrangono sul vetro, molto più difficile risulta il cambiare l’obiettivo senza bagnare la delicata ottica.
Cristobal, l’accompagnatore, ci spiega alcune caratteristiche dei ghiacciai che abbiamo di fronte; l’impressionante Ghiacciaio Piloto ed il più lontano e piccolo ghiacciaio Nena. Ogni tanto dal ghiacciaio Piloto si staccano dei blocchi di ghiaccio che finiscono in acqua con un rumore sordo e tetro; anche questo è parte della bellezza e dell’incanto del luogo.
Fotografo i ghiacciai, il panorama, gli altri gommoni che navigano con noi; cerco di cogliere i colori blu e verde del ghiacciaio ed alcuni particolari, e malgrado la pioggia aumenti, l’incanto di tal posto fa superare il freddo pungente.
Lasciando il fiordo rientriamo velocemente, sbarchiamo dal gommone ed appena risaliti sulla nave ci attendono cioccolata calda, vin broule e whisky come benvenuto a bordo.
Arrivo in camera che sono bagnato fradicio, tolgo gli indumenti, li metto ad asciugare e pulisco subito la macchina fotografica. Chen fa una doccia mentre io sdraiato sul letto sono intento a vedere le foto appena scattate, quando l’altoparlante annuncia l’imminente arrivo al ghiacciaio Gunther Pluschow.
Guardo dal finestrino e vedo il ghiaccio a poche centinaia di metri, velocemente indosso i primi vestiti che ho sottomano, prendo la macchina fotografica e mi precipito sul ponte superiore per scattare delle foto. Rientro in cabina, doccia e poi cena: antipasto di granchio, zuppa di zucca con patate e formaggio, filetto di manzo, dolce e caffè.
Nella serata ci ritroviamo sul ponte per il saluto finale del comandante, poi si gioca a carte e si chiacchiera mentre la navigazione procede tranquilla tra i fiordi, costeggiando le innevate montagne ed i ghiacciai che si buttano in mare. Infine, recatomi in cabina, preparo le valige per lo sbarco dell’indomani.
Prima parte
martedì 24 novembre 2009
La sveglia è puntata alle 6,00 ma molto prima Chen è già in piedi; vedendo l’alba non ha resistito a fotografarla. Rimango a letto fino a quando suona la sveglia e mi preparo per l’ultima uscita sui gommoni. Il ritrovo è previsto per le 6,55 presso il quarto ponte; la meta è l’isola Magdalena (C-LP 414) dov’è un parco naturale protetto popolato da circa 60.000 coppie di pinguini di Magellano.
Nel cielo nuvoloso si scorge qualche tratto di sereno ma non piove; sbarcando sull’isola osserviamo che è densamente popolata dai pinguini, il terreno è completamente spoglio; non vi è nessun cespuglio ed i pinguini costruiscono i loro nidi scavando nella terra arida e battuta dal vento. Un fatto mi incuriosisce; oltre ai pinguini, vi sono tantissimi gabbiani che camminano tranquillamente e pacificamente fra i nidi dei pinguini, ma non sono i loro eterni nemici che si cibano delle loro uova?
Osservando i pinguini che stanno covando noto che a differenza di Punta Tombo, qui le uova non sono ancora schiuse. Gli animali che covano appaiono sporchi e quando nella coppia avviene il cambio per la cova, il pennuto si dirige verso il mare, dove prima si lava e poi si getta nell’acqua in cerca di cibo. Vittorio nota a poche decine di metri dalla riva dei movimenti strani nell’acqua, e ci fa notare che vi sono dei leoni marini a caccia di pinguini; osservando bene posso vedere le teste dei leoni marini che ogni tanto emergono per respirare.
Compiamo un giro fino al faro che sorge sul punto più alto dell’isola, poi ritorniamo verso la nave dove ci cambiamo prima della colazione, infine terminiamo la preparazione delle valigie visto che tra poche ore scenderemo sulla terra cilena. Siamo nello stretto di Magellano e ci stiamo avvicinando a Punta Arenas (C-LP 410). Ad un tratto, inaspettatamente, la nave viene affiancata da dei delfini che sembrano darci il benvenuto.
Lo sbarco avviene tra lungaggini amministrative, il ritiro dei passaporti, il controllo delle valigie; poi a piccoli gruppi si lascia la nave. Noi italiani siamo sul ponte di prua e possiamo veder le persone che pian piano sbarcano, nel frattempo posso osservare i variopinti colori della case di Punta Arenas, il bianco, il giallo, il verde, il rosa, l’azzurro, il marrone, tonalità che danno un tocco di bellezza suggestiva alla baia. Le case sono costruite sulla collina che dolcemente scende verso il mare. Nel cielo nuvoloso compare qualche tratto di azzurro. Infine tocca a noi scendere, scopriamo che siamo l’ultimo gruppo, saliamo su un pullman che ci porta al posto dell’immigrazione dove ritroviamo le nostre valige e poi i controlli. I doganieri sono molto scrupolosi nel controllare che nessuno abbia vegetali o insaccati, aprono tutte le valige, gli zaini ed i marsupi. Passato il controllo, uscendo, troviamo il pulmino che ci porterà al Parco Torri del Paine; le valige vengono caricate su un carrello e noi prendiamo posto sul mezzo. Conosciamo Jerdo la nostra guida cilena e ci avverte che per arrivare al parco dovremo percorrere circa 420 km ed il tempo di viaggio previsto è di 6 ore. Partiamo e facciamo una sosta per ammirare la piazza di Punta Arenas al cui centro vi è la statua di Magellano, nella piazza vi è un mercatino d’arte locale, ottima occasione per fare acuisti di lapislazzuli e di manufatti in lana di alpaca, poi una sosta per vedere la città dall’alto; qui lo spettacolo è unico, si vedono bene le case basse costruite per resistere alla furia del vento e la baia illuminata dal sole. Noto come la città sia di recente edificazione, derivante dallo sviluppo petrolifero, della lavorazione dei prodotti del mare e dei metalli. Penso anche alla bellezza ed al paesaggio selvaggio che si era presentato ai primi esploratori.
Infine prendiamo la strada che conduce a Puerto Natales; la strada è cementata ed è un continuo sobbalzare a causa dei giunti di contatto delle varie gettate ma dopo un poco ci si abitua; il paesaggio è stepposo, l’immensa pianura è costellata da aziende con allevamenti di bestiame: vedo bovini, ovini, struzzi e l’onnipresente guanaco. In lontananza nel cielo azzurro svettano le montagne del Parco Torri del Piane, il nostro punto d’arrivo.
Man mano che ci avviciniamo alle montagne il paesaggio muta, si notano delle colline ricoperte di piante, i contrasto con la steppa è davvero forte. Dopo circa 3 ore di viaggio ci fermiamo per pranzo, sono le 16, nel locale c’è chi mangia un panino, chi un piatto; ordino un panino farcito con una bistecca e formaggio, una birra; la spesa è di 12 dollari.
Riprendiamo il viaggio e troviamo un cartello che indica 127 km al Parco; proseguiamo sulla strada fino a Puerto Natales (C-LP 429), qui sosta. L’autista stacca il rimorchio, trasporta le valigie sul pulmino mentre facciamo qualche foto ad un immenso lago: la guida ci informa che non è un lago ma un fiordo marino. La località è stata scoperta dai navigatori che cercavano un’altra via oltre allo stretto di Magellano e percorrendo l’intero fiordo sono arrivati a questa località; immagino come fossero avventurosi i viaggi a bordo dei velieri qualche secolo fa, quando la zona era sconosciuta e non esistevano carte topografiche e nautiche.
Riprendiamo il nostro percorso su questa terra desolata, il paesaggio è sempre verde e pianeggiante. Ad una deviazione l’autista imbocca una strada sterrata, ci stiamo avvicinando al Parco del Molodon, un animale preistorico simile ad un orso, un plantigrado vissuto nell’era quaternaria le cui ossa sono state ritrovate in una caverna che andremo a visitare. Da questo Parco si ha una visione stupefacente delle montagne e della Patagonia cilena. In questo luogo terminò anche il viaggio di Bruce Chatwin, lo scrittore inglese famoso per la sua opera sulla Patagonia.
Terminata la visita al Parco riprendiamo il nostro viaggio verso le Torri del Paine. Il paesaggio non muta per molti km; terreni cintati, pascoli per pecore, mucche e cavalli; sulle pendici delle colline si vedono alcune piante ed in lontananza le montagne innevate si stagliano sotto un bellissimo cielo azzurro cosparso di nuvole bianche; il sole è caldo ed il clima ventoso.
Ad un tratto scorgo in lontananza l’inconfondibile sagoma delle Torri del Paine: la nostra meta si sta rapidamente avvicinando. Lungo la strada noto dei campi cintati con filo spinato difficile da superare con evidenti cartelli recanti la scritta “Mines”; siamo vicino al confine argentino e questi campi minati che costeggiano la strada sono frutto delle tensioni politiche fra i due stati.
Giungiamo ad un paese di confine dove, effettuando una deviazione, imbocchiamo una strada sterrata ed il viaggio prosegue fra scenari mozzafiato. Il gruppo delle Torri si avvicina sempre più, ad un punto panoramico ci fermiamo per fare delle incantevoli fotografie, poi proseguiamo fino al confine del Parco dove sorge un posto di controllo dei guardiaparco. Lì lasciamo il nostro pulmino e trasbordate le valigie su furgoni saliamo anche noi, ora si prosegue a bordo di questi mezzi, non comprendo il perché, ma fatte poche centinaia di metri ecco giungere la risposta: dobbiamo attraversare un ponte metallico costruito nel 1914 il cui transito è permesso solo ad auto di dimensioni limitate; i pulmini passano di stretta misura e l’autista procede con estrema cautela per non rovinare la fiancata degli automezzi. Proseguiamo per 7 km su una strada sterrata; infine oltrepassato un campeggio giungiamo all’Hotel Les Torres, una struttura lignea molto bassa, carina e ben inserita nel contesto naturale del luogo.
Seconda parte
martedì 24 novembre 2009
Sistemate le valige nelle camere andiamo a cena quando sono già passate le 21; mentre mangiamo, osservo che sul prato antistante la sala da pranzo vi sono dei cavalli: sono animali stupendi ed è un piacere ammirarli mentre tranquillamente pascolano in questo paesaggio suggestivo.
Dopo cena voglio sistemare gli appunti della giornata, ma prima di farlo esco a guardare il cielo; è nero e cosparso di stelle brillanti, le osservo cercando le costellazioni, ma mi è difficile individuare la Croce del Sud. Rientro in albergo e mentre sorseggio una birra fresca guardo le previsioni del tempo; per domani danno pioggia, ma tutto sommato va bene: sono alle Torri del Paine, un mio sogno. Seduto nella struttura lignea, sistemo gli appunti di viaggio ascoltando la musica di una radio locale. L’atmosfera del locale è magica, saranno le travi a vista, oppure la vetrata a copertura del bar che permette di osservare il cielo. Sono quasi le 24 e decido di andare a dormire, domani la partenza è prevista per le ore 9,00 e spero che le previsioni meteo siano errate.
mercoledì 25 novembre 2009
Mi sveglio prima delle 8, Chen, il mio compagno di stanza è in giro per il parco a fare foto, mi vesto e vado a colazione. Poi, riunito il gruppo, partiamo con i furgoni verso il fondovalle quando attraversato lo stretto ponte metallico ci scaricano e riprendendo il nostro pulmino iniziamo il tour nel Parco Paine; la prima sosta è al punto di migliore visione delle torri, qui osserviamo una piccola cascata il cui scenario naturale è molto bello, riprendiamo il percorso e ci fermiamo ad ammirare i guanaco, ogni tanto vediamo un animale solitario, Jerdo ci spiega che è il maschio che dalla sua posizione domina il territorio curando le femmine ed i piccoli. Poi ci fermiamo ad osservare un lago con anatre e fenicotteri, proseguiamo verso i “Corni del Paine” irte montagne che si stagliano verso il cielo, ulteriore sosta al Salto Grande (C-LP 436), una cascata di 50 metri. In questo punto il vento incanalato tra le montagne assume una forza paurosa, è impossibile rimanere in piedi: chi vuole fotografare è costretto a sdraiarsi per terra.
Proseguiamo e poco dopo siamo alla vista degli imponenti Corni del Piane, qui il vento è meno impetuoso e posso fare alcune stupende foto. Poco dopo arriviamo al lago Pehoé, un bacino dal colore azzurro/verde intenso. Sosta per il pranzo, il cielo è nuvoloso e promette pioggia; promessa mantenuta. Visto che qualsiasi escursione nei paraggi è impossibile, in un negozio acquisto frutta liofilizzata ed acqua, un nutriente pasto leggero.
Jerdo, si allontana con la sua macchina foto, incuriosito chiedo cosa fotografa, “orchidee” mi dice; resto scettico per la risposta, ma avrò tempo per capire che dice il vero.
La temperatura è fresca e visto che la sosta prevista è di 60 minuti, salgo sul pulmino, aggiorno il mio diario, guardo le foto e la cartina del Parco mentre ipotizzo come realizzare la presentazione del viaggio. Poco dopo il mezzo si riempie, partiamo prima del previsto con meta il Lago Grey dove giungiamo dopo 45 minuti di viaggio mentre piove copiosamente.
Jerdo ci annuncia che vedremo degli iceberg galleggiare nell’acqua, penso una visione simile al perito Moreno che vedrò nei prossimi giorni. Arrivando al posteggio ed osservando la pioggia penso che sia molto utile coprirsi bene visto che ci attende una camminata di oltre 1 ora. Lasciato il posteggio la prima difficoltà che affrontiamo è un ponte sospeso su un fiume, dobbiamo attraversarlo camminando al massimo in 6 persone contemporaneamente per evitare troppi sballottamenti ed infatti procedere su questo ponte dove ogni passo crea delle oscillazioni è entusiasmante. Poi attraversando un bosco arrivo in vista del lago dove una meraviglia ci attende: sull’acqua galleggiano degli enormi iceberg. Uscendo dalla zona boscosa in breve siamo presso una spiaggia sassosa, frutto dell’erosione glaciale. La visibilità è ridotta a causa delle nuvole, qualche foto e ripercorrendo la strada verso il pulmino ho l’occasione di fotografare le orchidee della Patagonia.
Durante il viaggio posso notare come i boschi andino patagonici siano distrutti dagli incendi, Jerno ci spiega che in parte i boschi erano stati incendiati per creare pascolo, ma negli ultimi decenni, dopo la nascita del Parco i maggiori incendi siano stati prodotti da campeggiatori; anche per questo il campeggio ora è dichiarato illegale. Gli ultimi due incendi hanno creato distruzioni enormi, un primo ha bruciato 5.000 ettari di bosco ed un secondo ben 15.00 ettari. Qui la vegetazione cresce lentamente e, malgrado siano passati alcuni anni, sono ancora ben visibili le piante semi carbonizzate che bianche e lucide spiccano sui verdi pascoli.
Rientrando verso l’albergo una pioggia torrenziale ci accompagna quasi fino al cambio dei pulmini per attraversare il ponte quando, scendendo, improvvisamente un condor sbuca dal nulla e comincia a volteggiare sopra le nostre teste; la sua presenza silenziosa e maestosa è fugace e solo i più fortunati riescono ad immortalarlo in fotografia.
Percorsa la strada sterrata, arriviamo in albergo e visto che ha smesso di piovere con Chen decido di camminare sui verdi pascoli del parco, fotografiamo uccelli, cavalli e fiori; rientrati in albergo doccia, saldo dei conti, cena e poi la serata trascorre fra molte attività dallo studio del plastico del parco, al gioco a carte mentre i più intrepidi fanno una passeggiata all’aperto. Seduto frontale ad un camino acceso dove la legna arde scoppiettando, sistemo gli appunti della giornata appena trascorsa e attraverso le finestre dell’albergo osservo i pascoli antistanti mentre gli ultimi escursionisti rientrano verso il campeggio posto a pochi metri.
Sono trascorse le 22,00 e nel cielo ancora chiaro si vedono solo poche nubi bianche che sembrano dipinte.
Domani ci aspetta il trasferimento in Argentina, ma il desiderio di rimanere qui sotto le imponenti torri è veramente tanta, esco a dare un’occhiata alle spettacolari montagne che svettano verso il cielo, ammiro la torre Monzino con i suoi 2600 mt, la torre Centrale con i suoi 2800 mt, la torre D’Agostini con i suoi 2850 mt e poco più distante il Monte Almirante Nieto che svetta alla quota di 2640 mt.
Il paesaggio è caratterizzato dalle verdeggianti e dolci colline che scavate dai fiumi fanno corona ai laghi del parco e dietro le colline queste torri granitiche che svettano verso l’alto. Usando termini geologici, si può affermare che sono recenti con i “soli” 12 milioni di anni, poggiano su una base di conglomerato sedimentoso; il lavoro del vento, dell’acqua e del ghiaccio le hanno modellate così nel corso dei millenni ed è veramente un incanto poterle osservare così da vicino.
giovedì 26 novembre 2009
La sveglia suona poco prima delle 7,00 e guardando nei prati adiacenti la camera posso osservare cavalli che tranquillamente pascolano, uccelli che volano leggeri e conigli selvatici che saltellano sulla verde erba. Oggi ci attende un lungo viaggio di trasferimento su strade non asfaltate e visto il bel tempo osserverò il panorama con un cielo azzurro e limpido mentre soffia costante il vento. E’ bello osservare questi aspetti della natura mentre il silenzio regna sovrano.
Sul verde pascolo compio gli ultimi passi prima della partenza, mi soffermo ad assaporare il profumo della legna che brucia nella caldaia per la produzione di acqua calda, l’aroma riempie i polmoni e mi rammenta che al rientro in Italia il caminetto di casa sarà in funzione. Il buon odore della legna bruciata e l’aria fresca mi ricordano alcune stupende giornate trascorse sulle Alpi tra pace e serenità.
Preparo la valigia, colazione e poi, mentre osservo i gaucho che a cavallo accompagnano le mandrie al pascolo, ci apprestiamo alla partenza; controllate le valigie e caricatele sul pulmino partiamo per il fondovalle, sempre ponendo lo sguardo sulle vette che imponenti si stagliano verso il cielo azzurro.
Giungiamo nel fondovalle quando per motivi di peso dobbiamo scendere dal furgone per attraversare a piedi il vecchio ponte inglese il cui cartello avvisa che la portata massima è di 14 tonnellate, risaliamo sul pulmino e poco dopo superiamo un recente ponte il cui cartello indica di non superare le 10 tonnellate; qualche dubbio sull’esattezza dei cartelli mi sorge.
Ripreso il pullman ci dirigiamo verso il confine con l’Argentina percorrendo le sterminate distese di pascoli recintati, in cui pascolano cavalli e pecore, nel viaggio vediamo dei solitari gaucho che a cavallo controllano le staccionate.
Mentre il cielo azzurro frastagliato di bianche nuvole rallegra il viaggio giungiamo al confine, dove effettuiamo una sosta. Qui siamo accolti dal vento freddo ed incessante e questa è l’occasione per rifugiarsi presso un piccolo bazar dove trovo ogni mercanzia; il locale è affollato ed è riscaldato da una stufa a legna, c’è chi prende un caffè e chi rovista fra libri (alcuni veramente interessanti), maschere aborigene, tessuti ed altri manufatti; ma visti i cari prezzi si decide di rimandare le spese ad altra occasione.
Sto girando per il locale quando sento parlare italiano, è una compagnia di Bergamo che sta visitando il Cile da ben quattro settimane e sono diretti alle Torri del Paine. E’ sempre bello trovare connazionali e scambiare qualche parola.
Ripartiamo; dogana, controllo dei passaporti, visto, poi accediamo in Argentina. Viaggiamo su strade sterrate e, quando incrociamo altri autobus i due autisti si salutano dicendo “Buon viaggio” o “Buona sorte”, un’usanza rispettosa del viaggiatore. Percorrendo il territorio argentino mi accorgo come il terreno da verdeggiante è divenuto brullo e stepposo: è la caratteristica della Cordigliera delle Ande. Le nuvole provenienti dal Pacifico scaricano l’acqua sulle montagne creando il bosco andino patagonico, lungo ben 2.000 km, presente in Cile in Argentina nella parte confinante fra i due stati; poi le nuvole si dissolvono ed è per questo che nella Patagonia argentina piove pochissimo.
Durante il viaggio, Jerdo ci proietta un film che ha reperito negli archivi dei Padri Saveriani. Il lungometraggio racconta la vita di un missionario piemontese, Padre De Agostani, le sue esplorazioni e ricerche naturalistiche. E’ utile apprendere storia e studi di un nostro connazionale; al mio rientro in Italia mi documenterò su questo grande personaggio. Il film si intitola “Finis Terrae”, ha un’introduzione di Cesare Bonatti ed è un’edizione del CAI di Torino, Museo Duca degli Abruzzi.
Termina la proiezione ed arriviamo ad un piccolo viaggio, dove ci fermiamo per fare rifornimento e sosta pranzo.
Accediamo in un locale, forse l’unico del villaggio e siamo accolti da un’enorme albero natalizio tutto addobbato; mi rammento che il Natale è alle porte. Scelgo il menù bistecca, patatine fritte, birra il tutto 35 Pesos (7 €).
Riprendendo il viaggio verso El Calafante (A-LP 552), ascoltiamo dei cd di musica italiana e dopo oltre due ore di viaggio nell’infinita steppa recintata a pascoli e incessantemente battuta dal vento, ad un tratto in lontananza appare il lago Argentino; siamo ormai in prossimità della cittadina, l’attraversiamo raggiungendo l’albergo che sorge su un promontorio: da qui si domina il lago con la baia che in questo periodo dell’anno presenta un’estesa spiaggia, infatti sarà il caldo sole estivo a sciogliere i ghiacciai e permettere al livello del lago di salire.
Un tiepido sole rende piacevole la giornata invogliandoci a visitare la città, quindi, sistemate le valige, prendiamo la navetta dell’albergo per recarci nel centro abitato.
Girovagando nella cittadina costruita con case ad un piano trascorro un simpatico pomeriggio, il gruppo si frammenta fra gli innumerevoli negozi mentre mi dedico ad osservare quanto di caratteristico la città offre. Noto alcuni negozi di abbigliamento sportivo che espongono capi d’importazione, comprese marche italiane, mentre altri hanno dei prodotti “Made in Argentina”; rimango ammaliato dall’abbigliamento che è ben rifinito ed appare funzionale. Mi soffermo nelle librerie dove approfondisco la conoscenza di Padre De Agostini, il video di stamattina mi ha incuriosito e comprendo che è stato un grande personaggio della storia della Patagonia. Peccato che le edizioni in vendita siano solo in inglese ed in spagnolo; al mio rientro cercherò documentazione in italiano.
I ristoranti della cittadina hanno enormi braci accese dove, alla griglia, vengono cotti agnelli interi; prima da un lato e poi dall’altro, le carni vengono posizionate molto distanti dal fuoco in modo da cuocere lentamente e sgrassare completamente.
El Calafante, città natale del presidente dell’Argentina e della moglie, appare moderna ed il suo sviluppo è avvenuto solo negli ultimi dieci anni.
E’ sera, lasciamo il centro città e ci rechiamo in albergo dove un bellissimo tramonto sul sottostante lago ci dà l’augurio per una buona cena; formaggio caldo, filetto con patate e dolce.
Dopo cena vi è una riunione tecnica visto che il gruppo, nei prossimi giorni si dividerà; chi andrà a vedere la zona dei laghi ed invece, chi come me, andrà a vedere le cascate di Jguazù. Durante la cena il tempo è peggiorato e risulta impossibile uscire sia per la poggia, sia per il forte vento che si è sollevato; penso al tempo farà domani: potrò vedere il famoso ghiacciaio del Perito Moreno?
venerdì 27 novembre 2009
Mi sveglio alle 6 e fuori dalla finestra il cielo appare nuvoloso e grigio, alle 6,45 quando la sveglia suona il cielo ha mutato colore ed è azzurro con qualche bianca nuvola. Colazione e poi ci prepariamo per la partenza. Ho il dilemma di cosa indossare in quanto non conosco i luoghi che andremo a visitare, opto per un abbigliamento medio tendente al pesante, sempre a cipolla e con la giacca a vento a portata di mano.
Arriva la guida di questa giornata, si chiama Cesare, un ragazzo che apparentemente appare rozzo, ma solo dopo pochi minuti mi accorgo che è gentile, simpatico, preparato e durante la giornata noterò che ha un grande cuore.
Caricate le valigie sul pullman partiamo verso il Perito Moreno, l’enorme ghiacciaio di cui ho visto solo filmati e fotografie; la curiosità aumenta moltissimo.
Durante il viaggio Cesare ci dà una conferma: non possiamo effettuare l’escursione sul ghiaccio perché bisognava prenotarla il giorno prima, ma, non sapendolo, non lo abbiamo fatto. La destinazione è circa 80 km da El Calafante e per raggiungerla percorriamo la strada che costeggia il lago Argentino; il più grande lago della nazione dall’estensione enorme, oltre 20 km di larghezza per una lunghezza di oltre 100 km con una profondità massima di 750 metri. Il nome deriva dal colore delle sue acque che sono azzurrine e come in tutti i laghi glaciali questo colore è procurato dai microscopici sedimenti che galleggiando dando delle tonalità cromatiche che variano con l’irraggiamento solare.
Lungo il percorso vediamo dei condor, ci fermiamo per ammirare il loro volteggiare leggiadro e maestoso, questi uccelli con i quasi tre metri di apertura alare sono i più grandi volatiti delle Ande; si cibano di animali morti ed è solo leggenda il fatto che rapiscono agnelli e bambini.
La zona prende il nome dal Calafante, frutto noto per le sue marmellate e per il liquore che ne viene prodotto; si sviluppa in cespugli e produce dei frutti che a maturazione diventano blu.
Costeggiamo fattorie con estensioni medie di 50.000/60.000 ettari al cui interno sorgono concentrate le abitazioni, dove si trovano tutti i servizi necessari per rendere indipendente la comunità, mentre sparse nei pascoli sono edificate delle casette di alloggio dei pastori che seguono le greggi.
Arriviamo ad una curva, detta la “Curva del Sospiro” ed infatti alla fine della stessa restiamo senza fiato ammirando l’imponenza dell’enorme ghiacciaio, il Perito Moreno, che appare di fronte a noi; compare il fronte sud una parete lunga 2 km, ed alta fino a 50 metri.
Mentre facciamo una sosta per fotografare il ghiacciaio Cesare è intento, con altre guide, nel rito del mate: versa erba essiccata nel recipiente, aggiunge acqua calda e la sorseggia attraverso una cannuccia che funge da filtro, il recipiente viene fatto passare di mano in mano a tutti i partecipanti al rito. E’ un’usanza antichissima, serve per stare in compagnia ed è una consuetudine molto diffusa in Argentina. Pare che l’erba abbia un fatto salutare, abbassa notevolmente il colesterolo e infatti gli argentini non soffrono di questo disturbo.
Col gruppo decidiamo di compiere un’escursione in catamarano per avvicinarci il più possibile alla parete sud del ghiacciaio. Tutt’intorno montagne verdeggianti, qui il terreno è molto acido e permette solo la crescita di poche piante spontanee ed essendo qui primavera possiamo ammirarne alcune fiorite.
Poco dopo arriviamo al catamarano, 45 $ per il giro, pagato il biglietto saliamo a bordo, in breve il natante si riempie di turisti e salpiamo per la navigazione sulle verdi acque. Arriviamo a circa 300 metri dall’imponente muraglia di ghiaccio, ci fermiamo e solo allora possiamo accedere al ponte superiore dove il ghiacciaio appare in tutta la sua imponenza: dinnanzi a me vi è la muraglia di ghiaccio che termina con guglie che svettando verso il cielo sfidano le leggi della gravità; dei fantastici colori fra cui il bianco, l’azzurro il verde danno delle tonalità uniche.
Pian piano percorriamo tutto l’immenso fronte sud del ghiacciaio e poi, ritornati al punto di partenza, riprendiamo il pullman e ci dirigiamo sulla penisola dove il ghiacciaio termina. Superato un bosco, di fronte a me, come una visione, appare il Perito Moreno, quest’enorme ghiacciaio che nasce sulle montagne della Cordigliera Andina e dopo un percorso di oltre 30 km termina proprio qui ai piedi di questa penisola. Dall’alto la visone è ancora più stupefacente; la vista si perde in lontananza, il bianco ghiacciaio appare come una lunga striscia che si confonde con le nuvole che sovrastano le montagne.
Il fronte del ghiacciaio è di circa 6 km, divisi in tre parti di equivalente larghezza, il lato sud, la parte centrale, dove sono ora e il lato nord.
Il sito è attrezzato con passerelle metalliche che facilitano il cammino dei visitatori e permettono di preservare il fragile terreno ricco di piante e di cespugli; lungo le passerelle vi sono vari punti d’osservazione da dove possiamo ammirare entusiasti la vista incantevole del fronte centrale. Ogni tanto dei rumori sordi rompono il silenzio, sono i blocchi di ghiaccio che, staccandosi, precipitano in acqua. Percorriamo sempre più affascinati le passerelle, fermandoci a fare foto e cercando di capire dove il ghiaccio si stacca; ma solo in pochi casi abbiamo la fortuna di vedere tutta la dinamica del distacco e della caduta del ghiaccio.
Terminata l’escursione giungiamo al ristorante, sto facendo le ultime foto quando il sordo rumore ricompare; ho la fortuna di vedere cadere in acqua un blocco di ghiacciaio lungo almeno 50 metri: uno spettacolo affascinate ed irripetibile.
Arriva l’ora del pranzo: zuppa, filetto con patate, frutta.
Rientriamo a El Calafante ed in attesa del volo del pomeriggio, abbiamo il tempo per fare l’ultima passeggiata nella cittadina prima di partire per l’aeroporto, l’appuntamento è fissato per le 16,20. Ma al ritrovo mancano due persone che erano andate a cercare una farmacia. La tensione aumenta in quanto la partenza del volo ormai è prossima. Cominciano le affannose ricerche, ci dividiamo in gruppi e seguendo una traccia ben pianificata iniziamo la ricerca, ma nessuna traccia. Infine Giorgio, Salvatore e Cesare compiono l’ultimo tentativo che si rivela infruttuoso: le due persone sembrano scomparse nel nulla; la tensione è palpabile. Arriva una telefonata, i 2 “scomparsi” non vedendoci all’appuntamento hanno preso un taxi e sono in aeroporto. Risaliti sul pullman velocemente arriviamo all’aeroporto dove li troviamo: hanno confuso il luogo dell’appuntamento. Fortunatamente siamo in tempo per i voli. Infatti qui il gruppo si divide, un gruppo con Salvatore volerà alle 17,30 verso Bariloche nella regione dei laghi e l’altro gruppo, alle 18,40 volerà a Buenos Aires per andare a vedere le cascate di Iguazù; in questo momento avviene l’investitura di Ambrogina a capogruppo.
Cesare ci comunica che hanno anticipato il volo per Buenos Aires, quindi veloce check-in e poi alle 18,00 partiamo; poco dopo il decollo possiamo ammirare dall’alto la regione de Los Glaciales per poi sorvolare la sconfinata pianura patagonica. Il volo è tranquillo e man mano che ci avviciniamo a Buenos Aires il cielo appare nuvoloso e solo a tratti possiamo vedere la pampa sottostante.
Verso le 20,30 arriva il tramonto e poco dopo atterriamo nella capitale argentina; qui troviamo Diana, la nostra guida che ci accompagna in albergo. La temperatura è calda, ci cambiamo ed usciamo per una cena veloce. Essendo prossimi alla zona pedonale, ci dirigiamo verso un immenso centro commerciale; vista l’ora un gelato va più che bene.
Rientrando in albergo e accendendo la tv, posso ascoltare notizie dall’Italia, sapere quanto succede nel mio paese è sempre un cordone ombelicale.
sabato 28 novembre 2009
Sveglia alle 7,30, dalla finestra dell’albergo osservo il cielo grigio e gli edifici del centro città, dove alti palazzi si affiancano a case di pochi piani creando una disordinata e bizzarra diversità architettonica, divertente da osservare.
Mentre facciamo colazione ci accordiamo con Diana sul giro da compire e calibriamo il tour anche in funzione delle compere da fare, chiedendo “consigli per gli acquisti”.
Iniziamo il giro della città dalla Casa Rosada, siccome al sabato è aperta al pubblico vorremmo visitarla; l’apertura è alle 10,00 ma essendo arrivati prima delle 9,00, optiamo per vedere altri luoghi ed il primo dove ci rechiamo è proprio in piazza de Mayo: tramite una scala stile liberty accediamo alla vecchia metropolitana. Scendendo nella stazione sottoterranea possiamo apprezzare la struttura datata 1913 conservata nello stato originale, come lo sono anche i treni in servizio sulla linea; attualmente solo parte delle stazioni, rispetto al percorso originale sono ancora in funzione.
Ritornati in superficie proseguiamo in pullman verso Piazza Dorrego (A-LP 93), breve giro nella piazza dov’è presente un mercatino di artigianato, poi sosta al Caffè Dorrego, storico locale della capitale, il cui interno mantiene la struttura e l’arredamento ligneo del primo ‘900. Successivamente facciamo un giro a La Boca (A-LP 94), dove posso cambiare dei soldi ed acquistare gioielli di Rosacrosita, “la piedra National Argentina”; quale migliore regalo di Natale per le persone a me più care?
La mattinata sta giungendo al termine e Diana ha terminano il suo lavoro, prima di lasciarci ci porta a vedere una libreria ricavata in una teatro liberty ristrutturato, dove gli scaffali dei libri sono collocati su quelli che una volta erano palchi e platea. Alcuni palchi tutt’ora perfettamente conservati fungono a sala di lettura mentre nella parte della buca dell’orchestra e del palcoscenico è stato ricavato un bar con relativa sala di lettura; un’atmosfera davvero bella e coinvolgente.
Essendo a pochi isolati dall’albergo decidiamo di rientrare a piedi in modo da poter guardare la città nei suoi molteplici aspetti e colori; arriviamo nella zona pedonale e facciamo sosta al Centro Commerciale “Galleria Pacifico” dove, approfittando dei numerosi locali di ristoro, facciamo una veloce sosta per il pranzo, degustando un’ottima bistecca alla griglia. Il pomeriggio è dedicato agli acquisti in città, si gira per i negozi ubicati lungo il viale commerciale Florida, molto frequentato da turisti e da argentini.
La città appare popolata da una moltitudine di persone dalle etnie più variegate, i negozi sono addobbati per Natale, la mercanzia a volte appare cara a volte abbordabile, la qualità dei prodotti è varia: da quella mediocre a quella pregiata e finemente lavorata. Alla sera, quando i negozi volgono a chiusura, lungo le vie del centro si materializza un mercatino di artigianato, dove la merce va dalla dozzinale a manufatti pregevoli; qui l’immancabile animazione dei ballerini di tango infonde alla città una vitalità unica. Una realtà che, osservandola bene, fa emergere i suoi grandi contrasti di città cosmopolita, ricca comunque di umanità, dai senzatetto che popolano le vie e che si notano prevalentemente la sera, al suonatore di arpa, ai musicanti, agli artigiani che creano al momento i loro prodotti evidenziando la loro arte e bravura, alla donna che seduta su una sedia tranquillamente allatta il suo bimbo, alla venditrice di acqua e di bibite in termos, a chi, vestito elegantemente sta compiendo shopping: un piccolo crogiolo della collettività che ad un attento osservatore non può passare inosservato.
Si sta avvicinando l’ora della cena, rientro in albergo a cambiarmi e poi col pullman in pochi minuti raggiungiamo il locale “La Ventana - Barrio de Tango”, una tangheria (www.laventanaweb.com), dove ceneremo assistendo ad uno spettacolo di tango; il ballo che alla fine del XIX secolo ha trovato in questa città la sua origine. Diana ci avverte che all’interno del locale è possibile solo fotografare mentre è vietato filmare, quindi chi ha la cinepresa la lascia sul pullman. Il locale è in stile liberty, la sala da pranzo ha le pareti in mattoni rossi a vista ed i tavoli sono posizionati ai piedi del palcoscenico.
Ai muri sono appese foto di personaggi storici argentini tra cui emergono Evita Peron, Fangio, Maradona, Che Guevara, Carlos Cardel (cantante), Astor Piazzolla (fisarmonicista); nelle pareti perimetrali sette archi sostengono dei palchi attrezzati con tavoli, mentre il soffitto è abbellito da vetrate liberty; l’atmosfera complessivamente appare calma e riservata.
Arriva la cena; antipasti, bistecca con patate, dolce. Il tutto accompagnato da un Malbec, un vino rosso della zona di Mendoza, colore rosso rubino, sapore leggermente acidulo.
Inizia lo spettacolo: esibizione di tango, poi musica andina argentina, il gaucho che fa roteare vorticosamente sopra la testa ed ai lati del corpo le sue bolas, l’orchestra di fisarmonica con il grande ed incomparabile maestro Juo D’Arienzo, infine la chiusura dello spettacolo con un tango.
Uscendo dal locale siamo accolti dalla calda aria della sera, rientriamo in albergo che è passata la mezzanotte.
Prima parte
domenica 29 novembre 2009
Quando alle 7,00 suona la sveglia, sono intento a preparare il bagaglio a mano per andare alle cascate di Igauzù; colazione, poi lasciando le valigie in custodia all’albergo partiamo verso l’aeroporto.
Essendo domenica mattina, la città è deserta, il cielo è grigio e l’umidità è palpabile; comincio ad rimpiangere il clima fresco ed asciutto della Patagonia.
Mentre costeggiamo l’imponente Rio de la Plata noto persone che pescano ed altre che sono impegnate a fare jogging. Sull’altra sponda, in prossimità dell’ Uruguay, il cielo appare bianco e luminoso, mentre sopra di noi grigie nuvole minacciano piaggia ed infatti poco dopo comincia a piovere intensamente; i pescatori e gli sportivi cercano un riparo di fortuna, sotto i ponti o le piante.
Arriviamo all’aeroporto, il pensiero va al tempo; visto che ieri non pioveva, oggi chissà che tempo troveremo ad Iguazù e che tempo troveranno gli altri che giungeranno a Buenos Aires? Siccome stiamo andando verso il tropico ed il tempo è molto variabile, nel bagaglio a mano ho messo giacca e pantavento contro possibili piogge.
In aeroporto mentre attendiamo l’imbarco giunge un gruppo di persone in età avanzata, sono 34 italiani che creano un caos fastidioso, sono di disturbo a gran parte dei passeggeri; parlo con qualcuno di loro, vengono dal Piemonte e non sanno esattamente né dove stanno andando, né tanto meno cosa andranno a vedere; sembra che per loro sia importante solo il girare comodamente e lo stare in compagnia; non manifestano interesse culturale di nessun genere.
Quando ci imbarchiamo ha appena terminato di piovere, ora l’umidità e la calura si sentono. Decolliamo e oltrepassando le nuvole ci troviamo nel cielo azzurro; sotto di noi si vede verde terra a perdita d’occhio. Volando verso nord il paesaggio si mostra diverso da quello visto al sud del paese, al posto della sterminata verde pampas appaiono corsi d’acqua e terre coltivate; poi muta nuovamente, ora è visibile la pianura perfettamente coltivata; un susseguirsi di boschi e terreni ben ordinati e sistemati con vera maestria.
Atterriamo a Iguazù (a-LP 250) dove incontriamo la nostra guida, Ary, un personaggio che suscita simpatia al primo istante.
Saliti su un pulmino ci dirigiamo al parco delle cascate, dove trascorreremo l’intera giornata compresa un’escursione facoltativa sul battello per vedere le cascate da vicino. Ary ci spiega che le cascate mediamente hanno una portata d’acqua di 1.600 metri cubi al secondo ma attualmente dopo le piogge la portata è di 3.200 metri cubi al secondo; un livello davvero eccezionale che crea uno spettacolo incomparabile.
Mentre viaggiamo, Ary ci racconta qualcosa di questa parte dell’Argentina caratterizzata da una fertile terra di colore rosso per la presenza di ferro; qui siamo nella provincia di Missiones, il cui nome deriva dalle antiche missioni dei gesuiti, che nel periodo di massimo splendore hanno raggiunto in numero di 10.000 religiosi operanti in questo territorio.
Dopo un tragitto di poche decine di minuti, arriviamo al parco delle cascate e lasciando quanto non serve sul pulmino iniziamo il giro; prendendo un trenino che si addentra nella foresta ci inoltriamo nel parco costeggiando il fiume Iguazù le cui acque sono di colore rosso/marrone. Essendo in una località molto umida, sono colpito dall’assenza di zanzare ma altrettanto affascinato dalla presenza di moltissime farfalle che colorano l’ambiente rendendo questo posto magico, di una seduzione unica.
Giunti alla stazione terminale iniziamo un percorso attrezzato su passerelle che dopo 1,2 km ci condurrà alla Garganta del Diablo (C-LP 253), un salto maestoso ed impressionante.
Mentre cammino sulla passerella, una farfalla si posa sul dorso della mia mano e restando attaccata a me, la mia mano diventa oggetto di simpatiche foto; solo quando impugnerò la macchina fotografica, l’insetto l’abbandonerà.
Giungiamo nei pressi della Garganta del Diablo, l’impressione è notevole, si vede l’imponente fiume sparire nel nulla, come in un baratro senza fondo e solo sporgendomi dalle passerelle posso vedere il salto dove l’acqua cadendo nel vuoto, si trasforma in nuvole che trasportate dal vento ci bagnano completamente. Per poter scattare fotografie devo continuamente asciugare la macchina foto, è un susseguirsi di spruzzi e di lavate, ma l’incanto del luogo merita: osservo l’acqua che gettandosi nella verticale crea una schiuma di alcune decine di metri ed arrivando nel fiume sottostante provoca una maestosa nuvola.
Dopo una lunga sosta ed essendo fradici decidiamo di rientrare verso la stazione e mentre camminiamo il sole caldo asciuga pian piano i nostri vestiti e scalda la pelle. Nel fiume un movimento attira la nostra attenzione, è un caimano che tranquillamente nuota nelle basse acque, mentre nella boscaglia adiacente vediamo un’iguana ed una moltitudine di variopinte farfalle.
Giunti alla stazione prendiamo il trenino e scendiamo alla stazione intermedia, dove facciamo una sosta per un caffè ed una bottiglia d’acqua, poi c’incamminiamo verso la parte sud delle cascate; le passerelle rendono facile il percorso, così possiamo superare agevolmente i rami del fiume che si riversano nell’imponente cateratta. In alcuni tratti le pedane sono collocate vicino alle cascate e questo permette, facendo molta attenzione, di sporgersi sulla verticale del salto per avere una visione davvero suggestiva. L’ambiente è spettacolare, il verde delle piante si mescola con il rosso/marrone dell’acqua; il cielo azzurro frammentato da nuvole bianche fa da sfondo: una visione sublime.
L’imponente cascata consta di 265 salti fra maggiori e minori, il salto più alto è di quasi 80 metri, lo spettacolo è creato dal mix tra la quantità di acqua e gli innumerevoli salti. Continuando nel giro giungiamo alle cascate gemelle, due cascate che appaiono identiche con angolazione, come portata e come salto: qui gli spruzzi dell’acqua trasportata dal vento ci bagnano per l’ennesima volta. Il nostro percorso che si snoda nella foresta pluviale, a tratti siamo rapiti da scorci impareggiabili offerti da questo mirabile angolo del mondo: l’arcobaleno appare in continuazione ed a volte si intreccia con un secondo; lo sguardo si perde in questo incanto di colori.
Avvicinandoci al fiume raggiungiamo la riva per iniziare la navigazione sotto le cascate; mentre ci apprestiamo a salire sul gommone, tolgo la maglietta indossando k-way e salvagente. All’imbarco ci viene data una borsa impermeabile dove ripongo la macchina foto, marsupio e maglietta, con la speranza che non si bagnino. Poco dopo, saliti sul gommone partiamo e ci avviciniamo alle imponenti cascate; sul natante il fotografare si rivela più difficile di quanto pensassi e solo tra mille difficoltà e sobbalzi riesco a scattare qualche foto al fiume ed alle cascate che viste dal basso rivelano un altro aspetto della la loro grandiosità.
Ad un tratto il personale di bordo ci avvisa di chiudere bene le sacche, che succede? Il timoniere si dirige proprio sotto le cascate; siamo inondati dall’acqua, è un bagno totale; nulla viene risparmiato, se non quanto accuratamente riposto nelle sacche impermeabili.
Lasciamo la zona e percorrendo il fiume costeggiamo le rive ricoperte di foresta pluviale, ammiro alcuni uccelli che, al rumore del gommone, si levano in volo; superando delle rapide, dopo qualche minuto di navigazione, giungiamo al porto dove attracchiamo. Sbarco dal gommone ed indosso i pochi abiti asciutti che mi sono rimasti mentre la maggior parte dei naviganti si spoglia e strizza gli abiti prima di reindossarli.
Seconda parte
domenica 29 novembre 2009
Pochi del gruppo hanno il cambio ed il rientro sulla terra ferma si trasforma in sofferenza; un lungo ed inerpicato sentiero ci porta alla piazzola dove ci attendono dei camion. La stanchezza, accentuata dalla brezza del tardo pomeriggio che esalta il freddo degli indumenti bagnati, si fa sentire; chiediamo un attimo di pausa per sistemarci un poco ma i pochi minuti a noi concessi trascorrono velocemente. Nel posteggio è fermo un camion che ci accompagnerà al pullman, saliamo sul pianale dove sono collocati dei sedili e partiamo viaggiando nella foresta all’imbrunire. Una guida ci illustra dei particolari delle specie vegetali e animali locali; ma sinceramente il nostro unico pensiero è togliere gli indumenti fradici e freddi ci stanno gustando la bellezza della giornata.
Finalmente giungiamo al pullmino, ed essendo in condizioni pietose, chiediamo di non accendere l’aria condizionata, dopo minuti di viaggio giungiamo all’albergo; una bella struttura posta nelle vicinanze del confine con il Brasile. Quando ci presentiamo alla hall appaiamo in condizioni pietose; il personale ci scruta bene, consulta la guida e comprende che siamo reduci della “lavata” delle cascate: per gli indumenti ci offre il servizio di asciugatura che l’albergo ha a disposizione.
Una bella doccia calda toglie l’ultima umidità del corpo, ma devo asciugare i vestiti che non ho inviato il lavanderia. Per fortuna ho portato pantalone e maglietta di ricambio, almeno posso vestire asciutto e presentabile per la serata.
La cena è classica; empanadas, carne alla griglia con verdura, dolce. Il dopo cena trascorre tranquillamente in albergo, si chiacchiera, si guarda la tv, si ascolta musica, infine vado a dormire dopo aver controllato che la biancheria si sia asciugata.
lunedì 30 novembre 2009
Dopo una notte quasi insonne, la sveglia suona alle 6,00, da tempo una pioggia incessante accompagna il riposo, il cielo tetro e grigio, non annuncia nulla di positivo. Colazione e poi partiamo verso il lato brasiliano delle cascate; il confine tra Argentina e Brasile dista poche centinaia di metri dall’albergo; lo raggiungiamo velocemente, superati i controlli doganali ci avviamo verso il parco.
Nel percorso che dura circa un’ora posso vedere come le strade e le infrastrutture del Brasile sono molto più curate di quelle argentine, ma sicuramente sarà l’influsso delle due grandi città brasiliane che sorgono a pochi km.
Giunti al centro per turisti del Parco di Iguazù (A LP 250), scendiamo dal pulmino, fatti i biglietti possiamo accedere all’area protetta. Nell’edificio oltre ai negozi di souvenir, vi è un bel museo dov’è riprodotta l’intera area delle cascate, con foto, plastici e reperti archeologici rinvenuti nell’area; veramente un momento interessante ed istruttivo.
Adiacente all’edificio sorge un immenso posteggio con autobus a due piani che ci porteranno alle cascate, salendo tentiamo d’accedere alla parte superiore, ma dobbiamo fare attenzione all’acqua che trafila dai teloni di plastica; comunque troviamo posto e malgrado l’incessante pioggia il viaggio nella foresta è piacevole.
Giungiamo nei pressi di un edificio che sorge in riva alle cascate, scendiamo dall’autobus e siamo accolti dal frastornate rumore dell’acqua del fiume che potente ed impetuosa si getta nel baratro, vedere le cascate da quest’angolazione è davvero suggestivo. Con un ascensore scendiamo lungo la verticale parete, siamo proprio a contatto con la cascata: è stupefacente osservare come l’acqua passa a pochi centimetri da noi, posso ammirarne il colore marrone, la bianca schiuma; qui il frastuono è davvero forte e si riesce comunicare solo gridando.
Da questa prospettiva la vista è affascinante, unica e maestosa; sentire il rumore di milioni di metri cubi di acqua che si riversano nel baratro è incredibile, poter ammirare le decine di salti che compongono le cascate è meraviglioso. Mentre stiamo fotografando, la pioggia diminuisce ma aumenta il vento che porta verso di noi l’acqua della cascate; il risultato non cambia di molto: è un continuo bagnarsi. Ma l’acqua è anche una grande opportunità per fare fotografie; con il continuo cambio di luce, diventa un’occasione unica poter cogliere varie sfumature di colore.
Vista l’ora ed il perdurare della pioggia, decidiamo di ritornare verso il nostro pulmino, sosta presso i negozi di souvenir, un caffè caldo e poi riprendendo il pullman attraversiamo la foresta giungendo al Centro turistico da dove possiamo ripartire verso l’Argentina; ora l’unico quesito è: in quanto tempo supereremo la dogana? Lungo la strada percorriamo un viadotto posto sul fiume Iguazù, confine naturale fra tre stati: l’Argentina, il Brasile ed il Paraguay. Arrivando al posto di frontiera il transito si dimostra un vero dilemma, ma tutto sommato facciamo abbastanza velocemente, quindi possiamo fermarci per una sosta in alcuni negozi di artigianato locale e di minerali prima di ripartire per l’aeroporto.
Il clima subtropicale è caratterizzato da piovaschi e da sole ed in questi due giorni posso affermare di averli visti entrambi potendo cogliere le mille sfaccettature che le cascate offrono: davvero una bella esperienza.
Giunti nella struttura aeroportuale salutiamo Ary e poi attendiamo l’imbarco del volo che ci porterà a Buenos Aires; durante il volo, oltre sistemare le foto delle giornate, ammiro il paesaggio che cambia, partendo dalla zona subtropicale, alle coltivazioni, alla sterminata pampas che termina in prossimità della capitale. Atterriamo ed incontriamo Diana che ci aspetta; ci accompagna in albergo a riprendere le nostre valigie dove ci cambiamo per il rientro in Italia; a Milano le previsioni danno pioggia, quindi prepariamo indumenti pesanti ed abbandoniamo i vestiti leggeri che ci sono serviti in questi giorni di clima subtropicale.
Un’ultima occhiata alla capitale dell’Argentina con i suoi viali addobbati a festa e pensando al Natale che si sta avvicinando, posso solo osservare il forte contrasto climatico.
Lasciamo l’albergo verso le 18,30; il volo previsto per le 21 è stato posticipato alle 23,15 quindi dobbiamo affrontare qualche ora d’attesa in aeroporto. Qui bisogna proprio impegnare il tempo, c’è chi legge, chi chiacchiera, chi cammina fra le varie uscite; le quattro ore d’attesa passano lentamente. Ceniamo, osservando la TV a circuito chiuso resto incantando da bellissime foto della Patagonia e rivivo le emozioni provate a vedere le balene, i pinguini, gli elefanti marini, le distese semidesertiche, la luce magica della Terra del Fuoco.
Alla partenza siamo in ritardo di un’ulteriore ora, l’aereo si riempie e poi, finalmente si decolla, sorvoliamo l’atlantico ed attraversiamo una leggera perturbazione, cena e poi il meritato riposo, le ore di volo trascorrono abbastanza bene.
martedì 1 dicembre 2009
Il cielo azzurro ci dà il benvenuto in Italia, sbarchiamo dall’aereo che è quasi sera, il sole è già tramontato e solo la luce artificiale illumina l’aeroporto ed il piazzale antistante. Ritiriamo le valigie, i saluti al gruppo con la speranza di ritrovarci in un prossimo viaggio e poi aspettiamo Lorenzo che venga a prenderci con l’auto.
Caricate le valigie e, come nell’andata solo con dei movimenti da contorsionisti riusciamo ad entrare nell’abitacolo invaso dai bagagli; infine partiamo per Rovello. Durante il viaggio Lorenzo ci aggiorna sugli ultimi avvenimenti del nostro piccolo paese, poi, giunto a casa, accendo il camino e mentre il tepore della fiamma scalda l’ambiente, nel togliere gli indumenti dalla valigia trovo la confezione di mate che ho acquistato; quale migliore occasione per provarla mentre scarico le foto sul pc? La scheda sta trasferendo le immagini da analizzare e sistemare, mentre placidamente sorseggio il mate, questa bevanda calda che sa di erba, nel frattempo la mente ripercorre le innumerevoli tappe di questo fantastico viaggio che resterà sempre nel mio cuore per la bellezza del paesaggio, per la semplicità dei luoghi, per la sterminata e solitaria Patagonia, per le imponenti Torri del Paine, per lo spettacolare Perito Moreno e non certamente per ultimi i componenti del gruppo con cui ho condiviso e convissuto questa impareggiabile esperienza.
Tre motivi per effettuare un viaggio in Patagonia
martedì 1 dicembre 2009
• Per eccellenza è il luogo fantastico che offre la possibilità di viaggiare in dimensioni immense, prati estesi dove gli animali pascola indisturbati e si è “cullati” dalla forza del vento. IL luogo dove il mare mostra la sua forza e dove la terraferma termina lasciando spazio al solo oceano prima della banchisa antartica.
• La gente con la sua bellezza, la sua educazione e lo stupendo idioma spagnolo. La cucina, impareggiabile nella carne, nel pesce, nelle empanadas; il vino da assaporare e degustare. Arte e cultura di in popolo dal fascino che diventa travolgente nella sua massima espressione: il tango.
• Il poter osservare la flora e la fauna come in Patagonia è un opportunità da non perdere. L’incontro ravvicinato con tante specie animali e vegetali, da solo è un motivo per affrontare questo affascinante viaggio.
Ringraziamenti
martedì 1 dicembre 2009
Alla fine di questo lavoro, sento di esprimere il mio personale ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questo viaggio si bello ed affascinate; ricco di luoghi, storici, culturali e naturalistici ma anche impregnato dell’umanità, della dignità dei popoli e delle persone che ho avuto modo d’incontrare. Riconoscenza anche a chi mi ha esortato e a chi mi ha assistito alla realizzazione di questo diario.
Un particolare grazie a:
• Salvatore , responsabile del Circolo Ricreativo Ciba, ideatore del viaggio.
• Diana, Silvia, Andrea, Fabio; Jerdo e Aryo, le guide che ci hanno accompagnato per l’alta professionalità dimostrata; per averci fatto avvicinare con competenza, preparazione ed assoluto rispetto alle culture e alle tradizioni argentine e cilene.
• Foto ottica Balestrini Luca di Rovello Porro (tel. 02.9675.2227) per la consulenza e l’attrezzatura fotografia fornitomi.
• Laura che ha contribuito alla presentazione ed alla correzione del diario.
Bibliografia
martedì 1 dicembre 2009
• La rivista – Cai – Novembre dicembre 2009
• Meridiani Patagonia – Terra del Fuoco
• Trenta anni in Patagonia
• Ande patagoniche
L'autore
martedì 1 dicembre 2009
Personaggio eclettico, sempre alla scoperta delle novità per un costante miglioramento professionale e personale, da oltre 20 anni è attivo nella formazione, inizialmente solo per le associazioni di volontariato appartenenti al “terzo settore”.
Nel suo percorso professionale ha potuto ampliare e sviluppare la propria passione verso la formazione, progettando, gestendo vari corsi e percorsi formativi. Ha ottenuto risultati ed apprezzamenti dalle aziende e dal mondo associativo dove ha collaborato per la ricerca, la selezione, la formazione e la motivazione del personale.
Attualmente è impegnato in molteplici attività, sia per aziende sia per associazioni, per le quali consolida percorsi esistenti e ne sviluppa dei nuovi, riscuotendo sempre un ampio consenso e alta considerazione da parte di tutti.
Da anni ha scoperto il piacere di scrivere e pubblicare i suoi diari di viaggio e, nella versione multimediale, arricchirli di fotografie di cui da sempre è appassionato così da renderli coinvolgenti per chi li legge.
Pietro Fondrini
Docente e formatore
Ha stilato i seguenti testi:
• La selezione del personale: un percorso da saper gestire
• Prontuario per il soccorso sanitario
• Manuale per corsi di formazione
Tra i suoi corsi e le iniziative di successo evidenziamo:
• Metodo ViVOSA – Il modo per ottenere eccellenti risultati attraverso la pianificazione strategica delle proprie attività
• Previdenza pubblica e complementare – Le scelte per costruire un proprio futuro
• La formazione finanziata (una grande opportunità per le aziende)
• Mental coaching, ovvero come progredire verso ambiziosi risultati sapendo superare le proprie credenze limitanti, difficoltà o blocchi mentali .
E’ il coideatore di www.lavorabene.it il primo portale per l’incrocio tra domanda ed offerta di prodotti e servizi per imprese, associazioni e cittadini che cercano soluzioni integrate e qualificate.